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Capitolo I

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Londra, 1922

Stavo andando al British Museum su un taxi che avevo preso all'angolo di White Hart Lane ed ero già in ritardo per la mostra che si stava svolgendo quella sera nella sala principale. Tutti i redattori dei giornali più importanti della città erano presenti per coprire la notizia dell'anno. Per la prima volta la scoperta archeologica più acclamata degli ultimi anni poteva essere ammirata a Londra. Nessun redattore che si rispetti poteva perdersi quell'evento.

Quando arrivammo all'altezza di Piccadilly Circus ci imbattemmo in un ingorgo monumentale che ci sbarrava la strada e in dieci minuti riuscimmo a malapena ad avanzare di venti metri.

Se fossi arrivato in ritardo, avrei potuto considerarmi licenziato.

«Quanto le devo?» chiesi all'autista.

«Una sterlina e dieci» rispose, voltandosi verso di me.

Pagai il conto e scesi dal veicolo.

Attraversai Trafalgar Square camminando sotto una pioggia sottile e salii affrettando il passo attraverso diverse strade adiacenti fino a raggiungere Great Russell Street.

L'aspettativa era persino maggiore di quanto avessi immaginato. Un centinaio di fotografi, poliziotti e una moltitudine di curiosi si erano radunati all'ingresso del British Museum. Nonostante le sue enormi dimensioni, sembrava essere rimasto piccolo per l'occasione.

Le Rolls-Royce e le Duesenberg continuavano ad arrivare alla sua porta. Non ricordavo così tanto scalpore da quando Valentino era apparso nella Albert Hall un paio d'anni prima.

Due grandi punti luce facevano brillare le imponenti colonne doriche della facciata e la dea Atena sembrava prendere vita all'interno del frontone.

L'edificio scintillava quella notte come se fosse il gioiello più bello del Neoclassico.

Andai al controllo degli accessi, presentai il mio accredito stampa e, dopo un'esaustiva registrazione, mi lasciarono passare. Durante tutto il giorno avevano cercato di intrufolarsi con qualche falso accredito. Salii le scale e mi fermai nel luogo designato per il mio giornale.

«Ehi, Paul! Sei bagnato fradicio!» esclamò Tom, il corrispondente del Northern Star.

«Era impossibile arrivare in taxi e ho dimenticato l'ombrello a casa» risposi con rassegnazione. «È arrivato qualche pesce grosso?»

«Solo il sindaco. Ma questa non è più una novità» osservò sorridendo.

Sullo sfondo si udì un forte mormorio e la gente cominciò ad affollarsi all'ingresso principale.

«Penso che il nostro uomo arriverà lì» annunciò Tom mentre ricaricava la sua macchina fotografica.

Non dovemmo aspettare troppo a lungo, pochi istanti dopo la Aston Martin decapottabile, che trasportava il protagonista della giornata, si fermò accanto alla scalinata.

Una pioggia di flash immortalò il momento, mentre le persone gridavano il suo nome, e scendeva dall'auto l'uomo più ricercato del pianeta. Howard Carter, accompagnato dalla sua bellissima ed elegante partner, attraversò il tappeto blu che era stato installato per l'occasione, salutando da sinistra a destra come due star del cinema muto.

«Mr. Carter! Mr. Carter!» gridammo tutti noi corrispondenti all'unisono.

«Qualche parola per il Daily Telegraph!» esclamai mentre si avvicinava alla mia posizione.

Howard Carter si fermò proprio alla mia altezza, mollai la fotocamera e tirai fuori il taccuino dal mio cappotto.

«Ci dica Mr. Carter, qual è stata la parte più difficile della scoperta?»

«La cosa più complicata è stata trovare la tomba» scherzò. Tutti i presenti scoppiarono in una risata.

«Sì. Davvero.» aggiunse. «La cosa più difficile è stata mantenere una costanza sufficiente durante anni di intensa ricerca.»

«Grazie, Mr. Carter.»

Carter e la sua compagna salirono le scale dove il direttore del British Museum li stava aspettando con il primo ministro e altre autorità per stringergli la mano.

Durante la visita spiegò a tutti i presenti come era stata la scoperta della stanza che ospitava la tomba di Tutankhamon. Ebbero la possibilità ammirare fotografie e repliche della scoperta, poiché i pezzi originali si trovavano ancora in Egitto.

Successivamente, le autorità e lo stesso Carter se ne andarono ad un cocktail party che avevano preparato in suo onore in uno dei ristoranti alla moda della città. Nel frattempo, noi controllammo in modo più dettagliato l'incredibile scoperta che aveva fatto. Tutti gli oggetti nella camera sepolcrale erano in perfette condizioni. Era stato un vero miracolo che i ladri di tombe non avessero profanato un tesoro così incredibile per secoli.

Quella notte tornai in redazione per preparare l'articolo che sarebbe stato in prima pagina su tutti i giornali della città. Provai a dargli un tocco personale per differenziarlo dalle cronache dei miei colleghi.


La mattina seguente tornai presto alla sede del giornale, che era un edificio a cinque piani in stile modernista costruito all'inizio del secolo. Salii l'ampia scala fino al secondo piano e trovai la stessa routine che si respirava quotidianamente. Un incessante passaggio di persone che entravano ed uscivano dagli uffici con qualche notizia da raccontare.

Attraversai il corridoio tra il rumore assordante delle macchine da scrivere, il suono dei telefoni che squillavano senza sosta, le continue urla dei corrispondenti e un forte odore di tabacco che rendeva l'atmosfera irrespirabile.

Aprii la porta ed entrai nell'ufficio del direttore, un sessantenne scozzese con un naso aquilino, folte basette e una faccia magra. Quella mattina aveva riunito diversi redattori di cui si fidava.

«Entra e chiudi la porta» disse imbronciato. «Da quando mi è stato vietato fumare, non sopporto questo odore.»

«Subito signore» rispose Sarah, caporedattore.

Quel giorno aveva abusato del suo profumo francese e non lasciava nessuno indifferente.

«Abbiamo molto lavoro da fare stamattina. Il numero della domenica ha fatto diminuire le vendite in modo allarmante negli ultimi due mesi» affermò, battendo forte il pugno sul tavolo. «Se continuiamo così, il giornale colerà a picco. Abbiamo bisogno di qualcosa di nuovo che metta il Daily Telegraph in prima linea in questa città.»

«Potremmo aggiungere qualche racconto poliziesco» commentò un redattore appena arrivato dalla concorrenza.

«Troppo banale» disse mentre si metteva le mani sui fianchi. «L'hanno già provato in altri giornali ed è stato un fallimento. Tutti gli scrittori di questa generazione si considerano Conan Doyle.»

Un giovane corrispondente che aveva iniziato a lavorare la settimana precedente tirò fuori la sua pipa, la caricò di tabacco e accese un fiammifero. Lo scozzese si avvicinò e gli tolse la pipa dalla bocca.

«Non mi hai sentito prima?»

Il ragazzo impallidì e tutti trattenemmo una risata. Non sapeva con chi se la stava giocando.

«Altre idee?» ringhiò.

«Forse un manuale di giardinaggio o bricolage» aggiunse Sarah.

«In questo Paese, tutti si intendono di giardinaggio» rispose con un gesto sprezzante. «Se pensate di dire solo cose stupide meglio che stiate zitti» aggiunse con uno sguardo minaccioso. «Abbiamo bisogno di qualcosa di innovativo.»

Tutti i presenti rimasero in silenzio per alcuni minuti senza sapere cosa dire. Andai alla macchinetta del caffè e mi versai una tazza ben colma. Mi girava in testa un'idea dalla scorsa notte, ma non sapevo se dovessi dirla.

«Penso di avere qualcosa di interessante» dissi mentre appoggiavo il caffè sulla scrivania.

«Ti ascolto.»

«La scoperta di Carter in Egitto potrebbe rivelarsi una miniera d'oro. Ha fatto dimenticare alle persone i disastri della guerra.»

«Dove vuoi andare a parare?»

«La gente continua ad avere un insaziabile desiderio di conoscere delle storie dai nostri grandi esploratori.»

«Queste spedizioni possono si possono trovare in qualsiasi biblioteca pubblica.»

«È vero. Ma potremmo sorprenderli con qualche storia poco conosciuta. Ci sono migliaia di storie interessanti in attesa di essere pubblicate.»

«Non so se funzionerà» rispose incerto. «E dove pensi di trovarle?»

«Potremmo iniziare con la biblioteca del British Museum.»

Rimase qualche istante in silenzio, a testa bassa, e aggiunse:

«Se nessuno ha un'idea migliore, ci proveremo per qualche giorno.»

La riunione era terminata. Lasciammo l'ufficio e continuammo con il nostro lavoro quotidiano.


Al mio risveglio, la finestra era coperta da un manto bianco. Dopo un anno intero senza neve, aveva nevicato e le strade erano piene di bambini che continuavano a lanciare palle di neve. Sulla strada per il British Museum vidi un paio di passanti che scivolarono senza essere in grado di evitarlo; il ghiaccio aveva reso impraticabili diverse strade e alcuni operatori iniziarono a spargere il sale per evitare mali maggiori.

Nonostante questo, la biblioteca del Museo era affollata come al solito, attraverso le sue porte entrava e usciva un'ondata incessante di persone: studenti, lettori, turisti e ricercatori che trascorrevano ore tra quelle mura.

Salii le scale facendo attenzione a non scivolare, attraversai l'ingresso e raggiunsi l'atrio: una grande sala di lettura circolare con spazio per più di mille persone. Lì si trovavano i volumi più antichi di Inghilterra.

Dovetti fare la fila al banco della reception fino a quando una bella bibliotecaria con i capelli biondi di lunghezza media e un abito blu scuro mi indicò da dove potevo iniziare la ricerca.

«Possediamo tre tipi di inventari» spiegò, sollevando i suoi begli occhi oltre i minuscoli occhiali rotondi «topografico, cronologico e tematico.»

«Sto cercando i resoconti delle esplorazioni degli ultimi cinquant'anni.»

La funzionaria sospirò.

«Inizi la ricerca per “Argomenti”. Quindi può fare uno studio cartografico e, infine, espanderlo in ordine cronologico.»

«Ciò significa che posso trovare informazioni in tutti e tre gli inventari?»

Lei annuì con un mezzo sorriso.

Udendo le sue parole, mi coprii il viso con le mani.

Andai al secondo piano e, dopo aver attraversato diverse corsie piene di scaffali, trovai una sezione con vari manoscritti.

Chiesi al responsabile della documentazione e lui depositò sul tavolo una montagna di fascicoli che superava la mia altezza.

«È tutto per oggi?» chiese.

«Lo spero» risposi rassegnato.

«Se non finisce, abbiamo degli scaffali alla reception dove i ricercatori conservano le loro informazioni per il giorno successivo.»

«Molte grazie. Molto gentile.»

Accesi la piccola lampada verde disponibile per ogni tavolo e aprii il primo dossier, proprio come avrei fatto nei giorni seguenti.

Dopo un paio di giorni di ricerche iniziai a pentirmi della mia proposta, quella questione non sarebbe stata facile. Le informazioni erano infinite, ci sarebbero voluti anni per studiarle a fondo. Trovai dagli esploratori che avevano scoperto i luoghi più remoti in Africa e in Asia, agli archeologi che avevano scoperto l'eredità storica dell'Oriente.

A metà mattina, mentre giravo alcune pagine, vidi un ragazzo che continuava ad osservarmi alcuni tavoli più avanti. Non sapevo se lo conoscevo o se mi stesse cercando per qualche motivo. Provai a ricordare e non avevo debiti con nessuno. Un attimo dopo guardai di nuovo e non era più lì.

Dopo pranzo stavo percorrendo gli scaffali della Biblioteca. Mi sembrava un vero privilegio passare le punte delle dita su quei volumi con così tanti secoli di storia: il diario personale di Stanley nella sua odissea per l'Africa fino a trovare le fonti del Nilo e il suo successivo incontro con Livingstone. Le difficoltà che gli esploratori dell'Artico guidati da Shackelton affrontarono quando la loro nave rimase intrappolata nel ghiaccio per mesi e quasi persero la vita; la corsa per la conquista del Polo Sud tra Amundsen e Scott in cui tragicamente quest'ultimo finì per perdere la vita e le diverse scoperte archeologiche dei nostri più acclamati esploratori.

Quell'indagine non mi portava da nessuna parte e avevo bisogno di cambiare.

«Mi scusi, signorina, mi ha detto che oltre alla documentazione scritta potevo anche consultare le mappe.»

«Non abbiamo solo mappe, abbiamo anche giornali e fotografie.»

La mia faccia impallidì come il primo giorno; quella ragazza era una fonte infinita di buone notizie.

Questa volta dovetti scendere nel seminterrato. Lì rimasi a studiare diverse mappe e giornali del XIX secolo. Sebbene queste letture fossero interessanti, la maggior parte delle informazioni era già nota al grande pubblico. Il mio compito era quello di scoprire qualcosa di nuovo e in quattro giorni avevo trovato solo un paio di storie che vale la pena rivedere.

Ero assorto tra i giornali che emanavano ancora un forte odore di inchiostro quando qualcuno mi coprì gli occhi e l'inchiostro lasciò il posto a un profumo gradevole.

«Adriana!» esclamai senza essere convinto.

«Sei un indovino o cosa?» chiese sorridendo.

Adriana era una siciliana con intensi occhi verdi, un sorriso facile e la migliore ballerina che avesse mai conosciuto. Era emigrata con i suoi genitori da bambina.

«Cosa ti porta da queste parti?» mi chiese, sedendosi di fronte a me.

«Lo vedi. Al giornale un giorno sei in Parlamento e quello successivo alla ricerca di informazioni in una biblioteca.»

«Che invidia. Io passo tutto il giorno dal parrucchiere.»

Annuii con un sorriso.

«Andrai alla sala da ballo questo sabato?»

«Certo. Sono affascinato dalla mia insegnante.»

«La conosco?»

«Ora che ci penso, assomiglia molto a te.»

Lei scoppiò a ridere e dal tavolo accanto iniziarono a guardarci.

«Ti lascio continuare a lavorare. Stasera vado a vedere l'ultimo film di Gloria Swanson, vieni?»

«Impossibile. Ho molto lavoro. Ci vediamo sabato.»

Mi diede un bacio sulla guancia e se andò sorridente.

Dopo un po' scoprii tra gli scaffali il ragazzo che mi stava osservando tre giorni prima. Senza pensarci due volte mi alzai e andai a chiedergli spiegazioni, ma quando arrivai non c'era più nessuno. Percorsi un paio di sale e non lo trovai, sembrava che la terra lo avesse ingoiato; questa faccenda iniziava a puzzarmi.

Venerdì mi arrivarono voci che il mio capo non era soddisfatto del mio lavoro. Gli avevo ripetutamente detto che avevo bisogno di più assistenti per la ricerca, ma non prese sul serio le mie richieste.

Tutto il lavoro ricadeva sulle mie spalle. La cosa più frustrante era che se la pubblicazione si fosse rivelata un successo, tutto il merito sarebbe ricaduto sul giornale e sul suo direttore. Per me ci sarebbe stata solo una piccola recensione alla fine di ogni articolo con il nome stampato, mentre se fosse stato un fallimento l'unico colpevole ero io.


Dopo una settimana di ricerche, Mr. Dillan mi mandò a chiamare. Arrivato alla sua porta notai che le lune di vetro del suo ufficio erano cambiate e il suo nome poteva essere letto su un enorme cartello.

«Cosa mi porti oggi?» chiese scettico. Sapevo dai miei colleghi che non avevo scoperto nulla di nuovo «Hai trovato qualcosa che può essere pubblicato?»

Mi tolsi l'impermeabile e il cappello, li appesi all'attaccapanni accanto al portaombrelli. Poi mi sedetti su una sedia di rovere consunta.

«Ho un paio di storie di esploratori africani che hanno scoperto piccoli fiumi sulla costa occidentale.»

Lo scozzese scosse la testa ancora e ancora.

Si avvicinò alla radio e spense un discorso noioso del Primo Ministro.

«Aggiungendo una piccola avventura e decorando un po' l'articolo, potremmo pubblicarlo.»

«E me lo porti solo dopo una settimana?» rispose, fissandomi. «Non sarai stato al pub con quella bruna?»

Scossi la testa.

«Passo tutto il giorno a lavorare nel museo» risposi. «L'italiana è una buona amica che mi insegna a ballare il charleston

«Quella porcheria di ballo americano?»

«È divertente» affermai sorridendo. «Dovrebbe provarlo.»

Mr. Dillan mi fissò con i suoi occhi poco amichevoli ed io abbassai lo sguardo.

«Ho ricevuto un permesso dalla Royal Geographical Society per fare ricerche nelle sue strutture» annunciò, consegnandomi il documento. «A partire da domani lavorerai lì.»

«É una notizia fantastica, signore.»

«Spero che porterai notizie migliori la prossima volta. Ora levati dai piedi. Ho molto lavoro.»


Mi rigirai un paio di volte sul cuscino, balzai in piedi e preparai un caffè forte. Quella mattina mi sentivo con l'animo rinnovato. Era il mio primo giorno nella biblioteca della Royal British Geographical Society, il più alto esempio in materia. Lì lasciavano fare ricerche solo a personaggi molto influenti nel campo delle università di Oxford e Cambridge. Fortunatamente, Mr. Dillan era il nipote di uno dei mecenati più influenti di quell'istituzione e ottenemmo un permesso per fare ricerche per due settimane.

La biblioteca della Società era più piccola di quella del British Museum, ma conservava veri tesori. Nei primi giorni le ricerche proseguirono sugli stessi percorsi della settimana precedente. Erano tutti nomi noti di famosi esploratori che avevano scritto pagine gloriose nella storia dell'Impero Britannico.

La mia sorpresa arrivò quando meno me lo aspettavo: stavo rivedendo le spedizioni in Medio Oriente quando scoprii un nome che si ripeteva sia nelle scoperte dell'area mesopotamica che in quella egiziana: il suo cognome era Henson.

Ciò che mi colpiva di questo caso era che compariva solo nei documenti allegati all'originale, mai nel giornale ufficiale della spedizione, il che attirò in particolare la mia attenzione. Continuai le ricerche per due giorni senza trovare il suo nome in ulteriori esplorazioni; non sapevo se la ragione fosse la sua morte o la scomparsa in qualcuna di esse.

Il mio interesse continuò a crescere per un caso così insolito e decisi di concentrarmi su di lui.

Realizzai una ricerca dettagliata, prima in ordine alfabetico in base all'indice degli esploratori e, successivamente, in ordine cronologico per data, ma non c'era ancora nulla.

Decisi di provare una nuova strada e chiesi al responsabile dell'archivio se conoscesse un tale Henson. Sfortunatamente, svolgeva quel lavoro solo da un paio d'anni e non aveva mai sentito parlare di lui in tutta la sua vita.

Dopo aver pranzato con un polpettone con verdure tornai in redazione e chiesi ai colleghi che erano al giornale da più tempo se quel nome gli suonava familiare. Nessuno ne aveva mai sentito parlare.

Quel pomeriggio tornai alla biblioteca della Geographical Society e continuai a cercare per ore. Ancora una volta lo feci secondo l'indice degli esploratori, poi passai ai diari personali che esistevano di alcuni esploratori e, infine, feci una ricerca per l'indice topografico.

Fu in quest'ultimo indice che ritrovai il suo nome, ma questa volta associato ad una spedizione in Sud America. Ciò era ancora più improbabile, poiché pochi esploratori britannici si erano addentrati in quelle terre remote.

La cosa insolita è che lo trovai di nuovo in un documento allegato; non compariva nel diario della spedizione.

Adesso avevo tre riferimenti: due in Medio Oriente e uno nelle Americhe, ma le informazioni continuavano ad essere insufficienti.

Trascorsi l'intera giornata cercando di trovare qualcosa di nuovo, ma Henson era stato inghiottito dalla terra.


Cominciavo a demoralizzarmi con quella faccenda: i lettori del nostro giornale avrebbero dovuto accontentarsi di qualche piccola scoperta nel continente africano che sarebbe risultata minimamente interessante dopo essere stata adornata da un buon editore.

Quel pomeriggio uscii attraverso la porta dell'edificio a testa bassa. Un forte acquazzone imperversava all'esterno e aprii l'ombrello. Si erano formate numerose pozzanghere e il lampione di fronte all'edificio continuava a lampeggiare.

Il custode con cui avevo stretto una certa amicizia mi si avvicinò.

«Come è andata la ricerca?» chiese mentre le gocce di pioggia schizzavano sull'ombrello.

«Male. Non riesco a trovare niente di straordinario su questo Henson.»

«Ieri ho incontrato l'ex custode della Geographical Society. Ricorda che anni fa c'era un certo Henson?»

«Certo!» Come mai non ci avevo pensato prima?! Dovevo chiedere agli ex dipendenti.

Samuel si avvicinò al lampione, lo colpì alla base e risolse il problema. I blackout nei giorni di pioggia erano frequenti.

«Quanto manca alla chiusura?»

«Una mezz'ora. Il venerdì chiudiamo prima.»

«Devo trovare qualcosa per continuare la ricerca.»

Salii rapido le scale e cercai tra i volumi anteriori alla data su cui avevo indagato. L'attività più fruttuosa della Società Geografica iniziò a partire dal 1850, data dalla quale io avevo iniziato le mie ricerche. Ma fu fondata nel 1830, il che significava che c'erano venti anni nei quali non avevo guardato.

Verificai che i volumi appartenenti a quel periodo non avevano nulla a che fare con quelli che avevo studiato in precedenza: nei primi anni l'attività di esplorazione era stata minore.

Decisi di iniziare con la fondazione della Geographical Society e tutto fu più veloce di quanto mi aspettassi. Nelle prime pagine trovai il suo nome: si chiamava Philip Henson ed era stato uno dei co-fondatori della Geographical Society; veniva dal nord dell'Inghilterra, più precisamente dalla città di Newcastle.

Dopo un po', Samuel venne ad avvisarmi dell'orario di chiusura. Lo ringraziai molto per le sue informazioni, perché senza di lui non sarebbe stato possibile continuare. Ora avevo qualcosa di solido a cui aggrapparmi e potevo ottenere il tempo necessario per continuare le ricerche.

Trascorsi i giorni seguenti nella biblioteca a studiare la storia di Mr. Henson, che era un ricco industriale del carbone di una famiglia proveniente dalla parte settentrionale dell'Inghilterra.

Aveva prestato servizio in India nel distaccamento di Janipur, dove aveva incontrato sua moglie Maureen, la cui famiglia era di stanza lì. Dopo essere tornato in Inghilterra, continuò l'attività di famiglia nel settore minerario e dedicò il suo tempo libero limitato alla sua grande passione: la Geografia. Manteneva i contatti con i suoi colleghi dell'Università, che lo convinsero a far parte della nuova Società Geografica appena creata.

Ma divenne un socio simbolico a causa della sua dedizione alla sua attività e andò alle riunioni del Consiglio solo quando il tempo glielo permetteva. Aveva voce e voto in esse, ma non partecipò a nessuna spedizione organizzata nel territorio britannico. Solo quando si trasferì nel nord della Spagna fondò una Società Geografica nella Penisola Iberica e prese parte ad una spedizione.

Questo non aveva senso, poiché aveva trovato il suo nome in tre spedizioni, ma la sua biografia parlava solo di partecipazione alle riunioni del Consiglio.

Lasciai la biblioteca e andai a cercare Samuel, che stava controllando il registro dei visitatori.

«Ho bisogno dell'indirizzo del vecchio custode. Vorrei fargli visita questo pomeriggio.»

«Non sarà necessario. Mr. Mason trascorre tutto il giorno al Two Swans. Un pub alla fine di Kensington Road.»

Non ci pensai due volte e decisi di andare al pub a chiacchierare con Mason. Ne avrei approfittato per mangiare un buon piatto di stufato.

Era un locale situato in un seminterrato con una facciata nera vecchio stile.

Entrando scoprii che era piuttosto animato nonostante l’orario diurno. Lì distillavano un gin che avrebbe steso un cavallo. Mentre mi avvicinavo al bancone, l'odore era più intenso.

«Conosci Mr. Mason?» chiesi al cameriere.

«Ehi, amico! Lei chiede di Mason?» gridò un tipo alto e magro con le sopracciglia pronunciate seduto ad un tavolo vicino al bancone.

«É lei?» chiesi.

«Dipende per chi. Tutti quelli che mi offrono un boccale di birra sono i benvenuti.»

Girai la testa e chiesi al cameriere di servirci due pinte.

Il cameriere annuì abbozzando un sorriso. Dalla cucina mi arrivò l'aroma di uno stufato appena fatto. Ero affamato. Presi le birre e mi diressi al tavolo per sedermi.

«Mi chiamo Paul e sono un corrispondente del Daily Tel …»

«So chi è lei» mi interruppe.

Bevve un lungo sorso di birra e la posò sul tavolo.

«Ricordo solo un Henson. Lo vedevo una volta all'anno.»

«Perché non andava alle riunioni?» chiesi. «Ho capito che era uno dei cofondatori.»

«È molto semplice. La compagnia mineraria per cui lavorava lo trasferì nel nord della Spagna. Andava alla Geographical Society solo quando era in vacanza.»

Ad un tavolo vicino c'era un grande clamore per una partita di bridge. Poco più avanti si udiva il suono incessante di freccette che si piantavano nel bersaglio.

«Sai qualcos'altro?»

Mason scosse la testa.

«Molte grazie. Ho un lavoro in sospeso» gli strinsi la mano e tornai in biblioteca.


Ero in un vicolo cieco. La vita di Philip Henson non era interessante. Dopo una settimana di ricerche non avevo nulla di decente da pubblicare.

Chiesi al mio capo se fosse possibile un colloquio con suo zio, poiché era l'unica persona che lo aveva incontrato. Mi comunicò che era impossibile dato che aveva circa novant'anni, era in cattive condizioni di salute e aveva perso la memoria; avevano vietato totalmente le visite.

C'era ancora una settimana di ricerche ma non sapevo dove continuare a cercare. L'unico indizio che avevo era che la sua famiglia proveniva da Newcastle e che faceva parte della compagnia mineraria North Scale Foundation.

Dopo aver preso il tè, mi diressi al quartier generale della fondazione mineraria di Londra. Era un edificio sulle rive del Tamigi da cui si contemplavano eccellenti vedute del Big Ben.

Lì, Mr. Harris, un commercialista con profonde occhiaie, mi incontrò in un elegante ufficio vittoriano. La stanza era piena di fotografie delle industrie minerarie e di un paio di vasi di porcellana.

«Entri e si sieda» disse educatamente, «come posso aiutarla?»

Mi tolsi il cappello e la sciarpa e mi sedetti. C'era un forte vento quel giorno.

«Sto cercando informazioni su una posizione elevata nella sua azienda, Mr. Philip Henson.»

«Temo di non aver avuto il piacere di conoscerlo. Mr. Henson è morto diversi anni fa.»

Sul tavolo c'era un luccicante elmetto da miniera e un enorme pezzo di carbone all'interno di un'urna. Accennai a toccarla, ma rinunciai quando vidi che il tipo mi guardava accigliato.

«Potrebbe dirmi qualcosa su di lui?»

«So solo che la sua famiglia proveniva dalla contea di Melvintone, nei dintorni di Newcastle.»

Aprirono la porta e la sua segretaria gli disse che lo stavano aspettando.

«Sua moglie vive lì?»

«Non so nulla di più.»

«Grazie mille, Mr. Harris. Molto gentile.»

Mi congedai con una stretta di mano e uscii dall'ufficio.

Quando lasciai gli uffici, vidi in fondo alla strada la fermata del tram che mi avrebbe riportato a casa. Mentre i passeggeri salivano, mi sembrò di distinguere lo stesso ragazzo che mi stava osservando al Museo.

Senza pensarci due volte, corsi fino alla fermata; un paio di passanti mi insultarono quando li spinsi via. La distanza sembrava breve, ma mentre avanzavo mi sentivo soffocare; stavo invecchiando senza accorgermene.

Riuscii ad attaccarmi al binario posteriore del mezzo proprio mentre il tram si metteva in marcia. Arrivai dentro sfinito, mi chinai e iniziai a tossire, quasi vomitando nel mezzo del tram.

Un piccolo tumulto montò intorno a me, alzai la testa e guardai il ragazzo uscire dall'altra porta quando notò la mia presenza. Non mi restava più la forza per seguirlo di nuovo.


Prima del sorgere del sole andai a Victoria Station e comprai un biglietto del treno per Newcastle. Era la mia ultima possibilità e non me la sarei persa.

Il tragitto mi sembrò breve. Erano solo quattro ore di viaggio in cui si poteva contemplare la grande varietà di colori che i paesaggi della campagna inglese offrivano durante la primavera.

Newcastle è una città grigia, con case basse, dove le persone sono un po' scontrose e non accolgono troppo bene gli stranieri. Fortunatamente non ero lì in vacanza e avrei trascorso un giorno o due al massimo.

Quella mattina noleggiai un'auto e mi diressi in periferia. I paesaggi erano proprio come Emily Brontë li descriveva nei suoi romanzi: brughiere nebbiose con vegetazione sparsa, abbondanti paludi puzzolenti e piccole colline erose dal forte vento e dal freddo durante tutto l'anno. Il tutto accompagnato da una pioggia incessante ancora più intensa rispetto al resto del Paese.

Passai la notte nella pensione della città più vicina alla villa degli Henson. La cena fu squisita e il proprietario mi indicò il percorso che dovevo prendere per raggiungere le loro terre.

Gli Henson vivevano in una fattoria di diverse miglia di estensione a breve distanza dal luogo in cui avevo trascorso la notte: una formidabile dimora a due piani costruita nel XVIII secolo in granito scuro dove spiccavano grandi rampicanti che salivano alle grandi finestre. Sul lato destro si distingueva una piccola palude circondata da betulle dove diverse coppie di cigni bianchi nuotavano maestose.

Il maggiordomo mi fece aspettare alla porta per un po', poi mi disse di seguirlo sul retro della villa; lì c'era un'anziana che si prendeva cura di splendidi cespugli di rose.

Era sua sorella, Emma Henson, una vecchia signora con i capelli argentati e un ampio sorriso, che indossava un elegante abito bianco.

«Piacere di conoscerla.» Si tolse il guanto da giardinaggio e mi strinse la mano.

«Piacere mio.»

«Mi è stato detto che lei viene da Londra per vedere mio fratello.»

«Esattamente. Sono un corrispondente del Daily Telegraph. Stiamo realizzando una serie di reportage sulla Geographical Society.»

La signora Henson fece un cenno al maggiordomo e in pochi minuti ci servirono il tè con una fetta di torta di lamponi.

«Sappiamo che suo fratello era uno dei co-fondatori della Geographical Society e che in seguito partì per la Spagna.»

«Lì ha fondato una filiale della Geographical Society di Londra. Era comune in quegli anni che molti geografi destinati in altri Paesi fondassero nuove associazioni simili all'originale.»

Dall'altra parte del giardino si sentiva il suono delle cesoie del giardiniere che potavano una bella siepe.

«Potrebbe dirmi quali spedizioni sono state effettuate dalla società spagnola?»

Lei scosse la testa.

«E le spedizioni in Sud America e Medio Oriente?»

«Non conosco tali spedizioni. È la prima volta che ne sento parlare.»

Gli insetti cominciarono a svolazzare sul nostro tavolo attratti dal profumo delle torte e la signora Henson li spaventò rapidamente.

«Potrei parlare con sua cognata? Forse lei ha più informazioni.»

«La moglie di Philip è morta molto tempo fa. É stata malata per quasi tutta la sua vita, riuscendo a malapena a passare del tempo con suo marito.»

Mi portai alla bocca un pezzo di torta e sentii il profumo del tè al gelsomino. Decisi di godermi la merenda, perché quella conversazione non mi portava da nessuna parte ed era sempre più complicato ottenere qualcosa di chiaro su quell'argomento.

In quel momento vidi come Emma sorrideva.

«Pensa che ci sia un errore nei dati della Geographical Society?»

«Più che nei dati potrebbe essere nella persona» rispose «è sicuro di cercare il giusto Henson?»

«Non capisco.»

«Forse lei cerca James.»

«Chi è James?»

«James è il figlio di Philip. Fin da piccolo ha provato passione per la Storia e la Geografia. Ha vissuto un periodo in Spagna da adolescente e in seguito è tornato per studiare archeologia all'Università di Oxford. Aveva un grande spirito avventuroso.»

Un grande sorriso si disegnò sul mio viso. Ora capivo tutto. I dati che avevo trovato provenivano da spedizioni del primo decennio del ventesimo secolo.

«Le date che ho trovato coincidono con l'età del figlio a cui lei si riferisce. Non trovavo alcun rapporto tra Philip e le informazioni delle ultime settimane.»

Sorrise soddisfatta.

«E mi dica: dove posso trovarlo?

«Non ho notizie dal ragazzo da quando è andato all'Università. Lo abbiamo perso di vista per anni. L'ultima notizia che abbiamo avuto è che è stato ferito nella Grande Guerra.»

«Mi potrebbe descrivere com'era?»

«Un ragazzo con i capelli scuri e con gli occhi azzurri intensi come quelli di suo padre. Alto e di bell'aspetto, dai tratti squadrati» si fermò per un momento; si emozionava ricordando il nipote. è sempre stato un ragazzo sveglio e intelligente.»

«Grazie mille, Lady Emma. Mi è stata di grande aiuto. Devo prendere il primo treno per tornare a Londra.»

Durante il viaggio di ritorno non smisi di pensarci. Tutto finalmente cominciava a prendere forma, sicuramente il mio capo ora avrebbe accettato di finanziare la ricerca.


Passai per l'ufficio del signor Dillan e gli raccontai l'intera storia. Trovò sorprendente il corso degli eventi e mi disse di prendermi tutto il tempo necessario per risolvere quel mistero.

Senza tempo da perdere, partii per Oxford, a pochi passi da Londra.

A differenza di Newcastle, un intenso colore verde predominava in questa zona della campagna inglese. Si estendeva per miglia e miglia interminabili solcate da una moltitudine di canali fluviali costruiti durante la rivoluzione industriale in diverse parti del Paese.

Le abitazioni con diversi secoli di antichità erano veri gioielli architettonici. Era un piacere perdersi nelle sue strade e respirare quell'ambiente universitario in cui transitavano studenti provenienti da tutto il mondo.

Arrivai all'ora di pranzo e mangiai dei panini con un boccale di birra in un affollato pub del centro.

L'Università era composta da una serie di edifici in stile gotico con grandi finestre che inondavano il suo interno di luce. Quando attraversai il giardino del campus trovai alla mia destra diversi gruppi di studenti che chiacchieravano all'ombra di un albero, alla mia sinistra c'era una squadra che giocava a rugby in un ampio prato e, in fondo al sentiero, alcuni atleti trasportavano a spalle un paio di canoe.

Conoscevo già il concierge da precedenti indagini. Era un irlandese paffuto di mezza età con maniere squisite che mi riceveva sempre cordialmente.

«Buon pomeriggio, Richard. Come va la vita?»

«Molto bene. Cosa la porta qui stavolta?»

«Sto cercando la biografia di uno studente che ha frequentato nell'ultimo decennio del secolo scorso.»

«Lo troverà facilmente. Sa il suo nome e cognome?»

«Sì, James Henson.»

«Vada in segreteria e compili il modulo.»

Entrando nell'edificio passai accanto ad una classe dove si udiva un insegnante che faceva una lezione di Filosofia.

Dopo pochi minuti ottenni il fascicolo di James. Aveva studiato Archeologia tra gli anni novanta e novanta cinque. Era un esperto orientalista specializzato nella scrittura cuneiforme. Ciò spiegava le sue spedizioni in Medio Oriente, sebbene continuassi a non capire ancora cosa avesse fatto in Sud America.

Chiesi di nuovo a Richard se qualcuno potesse aiutarmi in quella questione.

«Il Dipartimento di Orientalisti è il più grande del campus. Tutti gli studenti vogliono scoprire i misteri della civiltà egizia.»

Io annuii.

«Il più appropriato sarebbe il professor McKingley. È dello stesso corso. Forse lo conosce. Ma questa settimana partecipa al congresso di archeologia del Medio Oriente che si tiene a Berlino. Dovrà aspettarlo.»

In quel momento suonò la campanella che segnava la fine delle lezioni e la maggior parte degli studenti iniziò ad uscire con grande entusiasmo.

«Chi potrebbe informarmi sulla spedizione in America Latina?» chiesi alzando la voce. Non si riuscì a udire nulla per alcuni istanti.

«Con quella parte avrà più fortuna. Non ci sono molte persone specializzate in questa materia nella nostra Facoltà. La più grande esperta in quel campo è Lady Margaret. Il suo ufficio è al secondo piano dell'ala ovest.»

Mi diressi verso l'edificio e, dopo aver attraversato l'imponente atrio, salii in ufficio e bussai alla porta. Mi ricevette educatamente ed entrai nel suo ufficio.

Lady Margaret indossava un abito verde che metteva in risalto ulteriormente i suoi occhi penetranti; i capelli biondi erano raccolti in un elegante chignon che abbelliva il suo viso sottolineando gli zigomi prominenti.

«James? Sì, certo che lo conosco. Abbiamo fatto una spedizione in Sud America insieme. Cercavamo le vestigia delle civiltà precolombiane.»

«In che epoca è successo?» chiesi con un sorriso.

«All'inizio del secolo.»

«Stavo facendo delle ricerche su quella spedizione alla Geographical Society e non ho trovato quasi nessuna informazione. Solo sul retro di un documento c'era il suo cognome.»

«Forse non ha fatto la ricerca giusta» rispose lei molto sorpresa. «Ora che me ne parla, l'ultima volta che ho controllato il registro sono apparsi solo i miei dati. Anche a me è sembrato molto strano.»

Sentii le sue parole sconcertate; non mi aspettavo quella risposta.

«Dovrà scusarmi, ma tra qualche istante ho una lezione» disse, alzandosi dalla sedia e raccogliendo un paio di libri. «Se vuole sapere qualcos'altro, può passare a casa mia questo pomeriggio.»

«Sarebbe formidabile, Lady Margaret.»

«L'indirizzo è Corton Road numero cinque. Si trova a sud, proprio all'uscita della città. Alle quattro va bene?»

«Ci sarò.»

«È l'ultima casa dell'isolato. Quella con i tulipani all'ingresso» aggiunse quando uscimmo nel corridoio. «Non può sbagliare.»

L'Eredità Perduta

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