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CAPITOLO 2

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Il cubicolo svanì dalla sua mente, sostituito pian piano dal corridoio che aveva lasciato al termine dell’ultimo atto. Janet gli era di nuovo accanto ed entrambi correvano la loro disperata gara contro il tempo. Ricordò a se stesso – e agli spettatori – che lui e Janet erano una coppia di esperti agenti governativi a caccia di terroristi urbani. La Dramatic Dreams non intendeva essere accusata di utilizzare Onirica per fare propaganda contro le convinzioni più profonde di chicchessìa, dunque la filosofia degli avversari era mantenuta volutamente vaga, anche se di solito optava per l’omicidio di innocenti e per la distruzione di quei valori sociali che tutti invece avevano a cuore.

Dai terroristi che avevano catturato e interrogato, Wayne e Janet avevano saputo che i componenti della banda avevano costruito una rudimentale bomba atomica ed erano pronti a farla detonare a Los Angeles se non fossero state soddisfatte le impossibili richieste che avanzavano. Non c’era tempo di chiamare la Polizia o gli artificieri; era un lavoro da portare a termine immediatamente e Wayne e Janet erano i soli in grado di salvare milioni di vite.

I terroristi, però, non avrebbero ceduto senza combattere. Avevano posizionato nel corridoio una squadra suicida scelta tra le loro fila per sorvegliare il loro strumento di distruzione. Quegli uomini sapevano che, se la bomba fosse scoppiata, sarebbero morti: ed erano preparati a sacrificare le loro vite per la causa. Avrebbero combattuto come indemoniati per proteggere la bomba; non avevano niente altro per cui vivere e quindi non si sarebbero risparmiati in nulla.

Appena giunti nel corridoio dove era stata piazzata la bomba, Wayne e Janet afferrarono immediatamente la situazione. C’erano venti metri di pericolo a separarli dal loro obiettivo. Nel momento in cui apparvero nel campo visivo dei tre uomini di guardia del corridoio, fu allerta immediato. I tre, che già avevano i fucili spianati e puntati per una simile evenienza, con gesto spontaneo spararono immediatamente agli agenti governativi.

Wayne sentì l’aria calda del raggio laser del fucile di un terrorista sfrigolargli a pochissimi millimetri dalla guancia per poi perforare superficialmente l’intonaco del muro. Sfruttò il tempo guadagnato con lo scatto e con una spinta si gettò pancia a terra, col fucile in mano, scivolando per poi fermarsi sul pavimento liscio; puntellò i gomiti al suolo, mirò rapidamente, ma con cura; fece fuoco. L’avversario che gli aveva sparato urlò dal dolore mentre il raggio ustionante della pistola di Wayne gli vaporizzava il tessuto della spalla destra.

Dopo Wayne era entrata in azione anche Janet. Entrando nel disimpegno era rimasta un passo dietro di lui, allertata in tempo dal rumore degli spari. Gettandosi d’un lato finì in ginocchio con il fianco sinistro al sicuro, contro il muro. Anche lei aveva il fucile in mano e aprì il fuoco sul nemico.

Avvantaggiandosi dalla copertura, lui strisciò come un serpente per dodici metri lungo il corridoio e arrivò al pulsante che controllava il cancello di metallo che ostruiva la via per proseguire. Attorno a lui un susseguirsi di colpi laser, ma li ignorò, concentrandosi esclusivamente sul pulsante.

Per ottenere un effetto drammatico, Wayne rallentò un pochino il suo senso del tempo. Come tutto il Sogno, anche il corso del tempo era controllato dai Sognatori. Wayne poteva allungare un istante fino all’eternità per far accadere tutto al rallentatore, oppure poteva comprimere un certo numero di avvenimenti in un singolo istante. Allungare il flusso del tempo era un effetto artistico per accrescere la suspence nel pubblico, facendo sembrare più lenta la sua avanzata e ingigantendo la minaccia dei laser dei terroristi. Tutti gli uomini che si identificavano con lui nel Sogno si sarebbero sforzati per raggiungere quel fatidico pulsante, eppure avrebbero dovuto agire nella vischiosità che Wayne imponeva. Naturalmente aveva discusso il cambio del flusso del tempo con Janet e anche lei aveva rallentato la sua percezione del tempo; altrimenti per Wayne i movimenti di lei non sarebbero stati altro che una rapida azione sfocata e così sarebbe stato per tutti gli spettatori di sesso maschile che vivevano l’azione attraverso i suoi occhi.

Finalmente Wayne raggiunse il pulsante. Lo premette e, obbediente, il cancello metallico si avvolse sul soffitto. Contemporaneamente Wayne tornò al flusso di tempo normale. Ora sembrava avere la strada spianata per potersi impossessare della bomba. Ma proprio mentre veniva sommerso da un’ondata di trionfo fu colpito al polpaccio desto da un raggio laser avversario.

Era un effetto alquanto complicato e Wayne si era sentito lusingato quando il direttivo della stazione trasmittente gli aveva permesso di realizzarlo. Tutta l’industria aveva adottato regole molto severe riguardo al dolore percepito nel corso dei Sogni. Sensazioni del genere avrebbero potuto avere effetti traumatici su un utente tranquillamente addormentato nel letto di casa sua. Agli inizi dell’attività i Sognatori avevano perduto diverse battaglie legali contro accuse di danni mentali e fisici causati da traumi. Ecco perché ora ci andavano coi piedi di piombo, toccando l’argomento stress nei Sogni con estrema cautela.

Correndo, durante un Sogno, Wayne non aveva mai il fiatone; anche in imprese estenuanti non si stancava mai, mai aveva uno stiramento muscolare; ora che il copione prevedeva che venisse ferito, non poteva soffrire alcun vero dolore. Se si fosse lasciato sfuggire una cosa del genere attraverso le connessioni sarebbe stato licenziato immediatamente.

Invece doveva gestirsi la ferita a livello mentale. Invece di trasmettere la lacerante agonia causata da una vera bruciatura di laser doveva inviare il pensiero freddo e razionale della gamba colpita dal fuoco nemico e del dolore che provava. L’arto non sarebbe riuscito a sopportare tutto il suo peso e avrebbe mostrato visivamente tutti gli effetti della ferita; l’unico ingrediente mancante sarebbe stato proprio il dolore. Portare a termine con successo quella manovra significava conferire al Sogno un tocco da esperto; Wayne era contento dell’occasione, perché poteva dimostrare le proprie capacità.

Urlò il suo “dolore” proprio mentre il laser di Janet sbaragliava l’ultimo terrorista rimasto. Wayne, però, non poteva permettersi di subire rallentamenti. Mancavano pochi minuti all’esplosione programmata della bomba ed era lui, non Janet, l’esperto artificiere. Ora il cancello era sollevato e sembrava non ci fosse nulla che gli impedisse di raggiungere l’obiettivo. Con la gamba in quelle condizioni non riusciva a stare in piedi: ma con la forza della disperazione iniziò a trascinarsi sul pavimento con i gomiti per arrivare alla fine del corridoio.

I due terroristi sembrarono apparire dal nulla accanto al cancello. Fino a quel momento erano rimasti nascosti senza abbandonare le proprie postazioni, sperando che i loro compagni riuscissero a gestire la minaccia da soli. Rappresentavano l’ultima linea difensiva e indubbiamente erano i migliori uomini di cui la banda disponesse.

Wayne sentì dietro di sé il laser di Janet terminare la carica e lei mormorare imprecazioni soffocate; ma rifiutando di arrendersi e con una precisione da far invidia a un battitore di serie A, la donna lanciò l’arma dritta sulla mano armata di uno degli avversari rimasti. Ora toccò a lei dover allungare il senso del tempo; il fucile si librò al rallentatore in aria, verso il suo obiettivo. L’avversario avrebbe avuto tempo di sparare prima di farsi colpire? No! All’ultimissimo secondo Janet accelerò di nuovo il tempo. La sua arma colpì quella del terrorista con forza sufficiente a scaraventarla lontano.

Anche l’altro avversario era armato: proprio come Wayne, che aveva avuto tempo sufficiente per mirare al secondo uomo grazie alla manovra diversiva di Janet. Wayne aprì il fuoco, ma nel frattempo l’altro si mosse appena e il colpo lo raggiunse solo di striscio ad una mano senza mettere veramente fuori combattimento il terrorista ma provocandogli dolore sufficiente a fargli cadere l’arma per scuotere la mano e alleviare la sensazione di bruciore. Che fosse un avversario a provare dolore nel Sogno andava bene: era solo una figura fantasma creata da Wayne e Janet, e nessuno spettatore si sarebbe identificato nelle sue sensazioni.

Wayne si preparò a colpire ancora, ma si accorse che anche lui era scarico. Disgustato gettò via l’arma e ricominciò a strisciare lungo il corridoio. Tra lui e la bomba c’erano otto metri e due avversari con istinti suicidi, ma non poteva far altro che strisciare e sperare che fosse Janet a occuparsi degli avversari.

Il terrorista, perduto il fucile grazie all’accurato colpo di Janet, si guardò attorno per cercare la sua arma ma ad una prima, frettolosa ricerca attorno a sé non riuscì a trovarla. Rendendosi conto che era più importante fermare la missione di Wayne, l’uomo interruppe la perlustrazione e si mosse verso l’agente che avanzava sul pavimento. A quel punto arrivò Janet a salvarlo di nuovo. Balzò in aria con il suo corpo delizioso – modificato nel Sogno perché fosse più sensuale che nella realtà, con le gambe svettanti un poco più di quanto ci si potesse aspettare nel mondo reale - attaccò il robusto uomo e lo stese a terra. Colpendolo, fece roteare lateralmente le gambe e si trovò a precipitare sull’altro avversario che si dirigeva verso Wayne.

Wayne non ebbe l’opportunità di godersi la rissa; era troppo impegnato a raggiungere la bomba prima che esplodesse. Avendo letto il copione sapeva esattamente cosa stava accadendo: Janet era impegnata in uno scontro tutto personale, anche se il risultato era inequivocabile. Le donne che si identificavano in lei si sarebbero divertite parecchio prima di riuscire a mettere a tappeto i due avversari. Ma nel frattempo lui aveva un’atomica da disinnescare.

Mantenne un senso del tempo placido e piacevole; non c’era scopo di velocizzare l’azione e un po’ di suspence in più non avrebbe fatto male a nessuno. Con la coda dell’occhio teneva conto attentamente dei progressi di Janet: era la sua scena madre e lui non aveva il diritto di rovinargliela arrivando alla bomba troppo presto, prima che lei mettesse bene al tappeto tutti gli avversari.

La tempistica fu perfetta; raggiunse l’obiettivo proprio mentre l’ultimo terrorista cadeva a terra incosciente. Janet non ansimava neppure.

Lo guardò chiedendo: “Quanto tempo?”

Wayne guardò il timer su un fianco della scatola. “Tre minuti” rispose. Con cautela esagerata si poggiò al muro, tirò fuori di tasca la scatola degli attrezzi miniaturizzata e iniziò a lavorare.

Con calma, senza permettersi fretta, svitò i quattro bulloni che tenevano fermo il timer nell’alloggiamento. E poi lentamente, molto lentamente, tirò fuori il dispositivo di controllo del tempo fuori dalla scatola contenente la bomba e lo mise con cautela in terra accanto a sé. Si permise alcune gocce di sudore sulla fronte come tocco artistico; le tirò via pulendosi poi la mano sui pantaloni. Il timer segnava due minuti.

Il dispositivo a tempo era collegato alla bomba vera e propria da un groviglio di fili colorati – un ingarbuglio tale che sicuramente un principiante si sarebbe confuso; ma Wayne aveva instillato nei suoi spettatori la fiducia di sapere ciò che stava facendo. “Devo disconnetterli con una sequenza particolare” disse a Janet, informando di conseguenza anche il suo pubblico. “Se faccio uno sbaglio la bomba esplode immediatamente.” Studiò l’ordine dei fili per alcuni lunghi secondi. “Qui non sfugge nulla” disse alla fine.

Tirando fuori un cacciavite elettrico dal piccolo kit iniziò ad allentare alcuni fili dal corpo del timer. Si guardò le dita che diventarono più affusolate e agili – un altro effetto artistico per far apparire le mani più abili. Separò l’ultimo filo dal timer quando non mancava che un minuto: ma la bomba restò innescata. La guardò incredulo per un momento e poi disse: “Ci deve essere un dispositivo ausiliario”.

Ora il tempo era prezioso. Fece sentire meglio il ticchettio della bomba, tanto da farlo quasi echeggiare nello corridoio stretto. Controllò in fretta la superficie del dispositivo cercando un secondo fusibile. “Devono averlo messo da qualche parte a portata di mano” disse alla sua partner. “Per poterlo disinnescare loro stessi se avessimo acconsentito alle loro richieste. E’ solo questione di…. ah, eccolo qui.” Indicò una protuberanza su un fianco della bomba.

Quaranta secondi. Il timer era attaccato con una sola vite. Riprendendo in mano il cacciavite elettrico lo allentò. Venti secondi. Cauto, usò le lunghe dita sottili per staccare il timer dalle connessioni e esaminarlo. C’era soltanto un gruppo di fili.

Dieci secondi. Non c’era tempo per fare i delicati. Wayne lasciò il cacciavite e prese la tronchese e con due movimenti precisi recise la coppia di fili. Il forte ticchettìo si arrestò di colpo a cinque secondi dalla detonazione.

Si fletté contro il muro con un gran sospiro di sollievo. Janet era seduta accanto a lui e anche sul suo viso il sollievo era evidente. Tese le braccia verso di lui e lo baciò lievemente sulle labbra; lo sguardo nei suoi occhi prometteva altre ricompense a seguire.

Poi si alzò e aiutò anche lui a rimettersi in piedi. Wayne le mise un braccio sulle spalle e si appoggiò a lei per non dover sforzare la gamba “ferita”. La posizione costringeva il suo corpo a restare a distanza ravvicinata dalla donna e fece godere agli spettatori – e se stesso – della sensazione.

“E vediamo cosa ha da dire ora il Capo per come gestiamo le situazioni esplosive” disse sorridendo Janet riferendosi a una frase pronunciata all’inizio del Sogno. Anche Wayne sorrise e insieme zoppicarono per il corridoio.

Attorno a loro le pareti iniziarono a sbiadire, annerendosi. Il Sogno era finito; era tempo di tornare alla vita reale.

Se Non Farai Del Sogno Il Tuo Padrone…

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