Читать книгу Se Non Farai Del Sogno Il Tuo Padrone… - Stephen Goldin, Stephen Goldin - Страница 9
CAPITOLO 3
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Mentre il biancore inerte del cubicolo gli si materializzava di nuovo attorno riprendendo vita, sentì la Calotta Onirica bruciare e pizzicare sul cranio. Wayne lotto contro l’impulso di strapparla via; invece la alzò delicatamente dalla testa e la poggiò sul lettino accanto a sé, sedendosi per controllare le letture isometriche. A volte mi chiedo come faccio a sopportarla pensò, sapendo allo stesso tempo che senza di lei avrebbe odiato vivere. Come Sognatore era assuefatto a quella Calotta – emozionalmente se non fisicamente – come un drogato può assuefarsi all’eroina. C’era una sensazione speciale che ben conoscevano tutti i Sognatori; sognare faceva parte di loro; era per questo che era entrato in Onirica.
Lo stomaco gli brontolava pure; così, giusto per informarlo di quanto avesse fame. Aveva mangiato prima di iniziare il Sogno, ma non pesante; avere la pancia troppo piena distoglieva dalla prestazione. Sognare assorbiva molto e anche se la stazione amplificava i suoi segnali per poter raggiungere le migliaia di spettatori sintonizzati, occorreva comunque proiettare nel ruolo gran parte di se stessi. Qualsiasi buon attore conosceva la sensazione di immergersi completamente nel lavoro e risalire da quell’esperienza prosciugato, come per aver trascorso un’intera giornata alle prese con un faticoso lavoro manuale. Di solito Wayne arrivava alla fine di un Sogno con una gran fame; si chiedeva costantemente come potesse, una persona come Vince Rondel, farlo sembrare un lavoro sempre privo di sforzi.
Ernie White bussò al telaio della porta della cabina e esclamò: “Chiuso, Wayne.” Il Sogno era ufficialmente finito e non c’erano problemi tecnici di cui preoccuparsi. Se fosse stata una delle reti più importanti, sarebbero stati tutti pronti a iniziare un altro Sogno dopo l’intervallo minimo di quattordici minuti, semplicemente introducendo un altro Sognatore per iniziare una nuova storia. Ma la Dramatic Dreams era soltanto una stazioncina locale di Los Angeles; non avevano personale a sufficienza per mantenersi operativa fino al mattino. A volte erano fortunati e riuscivano a ottimizzare le risorse per riuscire a far qualcosa ogni notte. Si sarebbero potuti utilizzare Wayne e Janet separatamente, invece che insieme nel medesimo Sogno, ma questo avrebbe comunque abbassato l’ascolto per via del diverso fattore di identificazione tra uomini e donne. Bill DeLong, il coordinatore dei programmi, aveva puntato a rafforzare gli indici utilizzando i due Sognatori insieme. Una scommessa che, apparentemente, aveva perduto.
Gli spettatori a casa non dovevano svegliarsi per regolare le impostazioni della loro Calotta Onirica e cambiare stazione durante la notte. Ogni stazione pubblicava delle sinopsi e i tempi dei propri Sogni per la serata, sia nei quotidiani che sul Web; lo spettatore poteva programmare la selezione e i programmi desiderati da casa sua, così da poter cambiare canale in automatico senza doversi svegliare successivamente. Era esattamente ciò che stavano facendo in quel momento a Los Angeles esattamente ventiduemila Calotte Oniriche. Alcune si spegnevano completamente, la maggior parte però si sarebbe sintonizzata sul programma di un’altra stazione.
Allungandosi fuori dalla cabina Wayne si trovò faccia a faccia con un uomo basso e pelato, con crepe di preoccupazione scolpite indelebilmente sulla fronte. “E’ andato tutto bene?” domandò Mort Schulberg, il Direttore della stazione. “Ernie mi ha detto che nel penultimo atto abbiamo fatto una piccola papera...”
“‘Piccola’ è la parola giusta” rispose Wayne irritato. Guardò White ma l’ingegnere finse di giocare con il pannello comandi e non se ne accorse. “Non devi prendertela così.”
“Certo, facile da dire per te” Schulberg camminava per l’ufficio come un giocattolo in tilt. “Per te è solo un lavoro. Non hai mica il fiato sul collo della Commissione Federale per le Comunicazioni, tu. Quel tipo, Forsch, sarà qui dopodomani per controllare quella cosa di Spiegelman. Quand’è che inizierai a preoccuparti? Dopo che ti avranno tolto i permessi?”
“E’ stato solo un erroretto” ripeté Wayne. Sembrava che, ancora una volta, lo paragonassero, anche se implicitamente, alla perfezione di Vince Rondel. Rondel era un Padrone dei Sogni. La tempistica di Rondel era perfetta. Rondel non faceva mai errori. Certo —Rondel era bravo e Wayne era l’ultimo arrivato alla stazione, oltretutto con un passato da ripulire. Ma questo non dava loro il diritto di criticare ogni piccola cavolata che faceva.
“So di non essere Vince Rondel, ma qui alla Dreaming faccio un buon lavoro” continuò, mentre la voce gli saliva di volume. “Io e Janet abbiamo avuto bisogno di meno coordinazione e avremmo potuto fare anche di meglio avendo il copione con un giorno o due d’anticipo, per potergli dare una letta.”
“Noi lavoriamo bene insieme, Mort” disse Janet emergendo dalla sua cabina. Era rimasta ad ascoltare la discussione ed il tono freddo interruppe a metà la sfuriata di Wayne. Lui capì che lei stava cercando di placare la situazione e le fu grato. “L’ultimo atto è filato liscio come un treno.”
Schulberg si era preparato per rispondere a Wayne urlando a sua volta ma ora si rabbonì, voltandosi verso la donna. Janet sapeva come risultare graziosa e femminile, e riusciva a tirar fuori da Schulberg i suoi istinti più paterni. “Sicura?”
“Volevi forse che fermassi tutto e chiedessi al pubblico?” disse Janet facendo il verso all’accento di Schulberg.
Wayne vide Ernie White ridere nella cabina di regia, anche se dava loro le spalle e non avrebbe dovuto ascoltare la conversazione. Rosso in viso, ma senza rancore, Schulberg replicò: “Certo, andate avanti, ridete pure di me tutti quanti. Ma che sono io, il tipo divertente che vi firma la busta paga. Vorrei proprio vedere se riderete quando la Commissione Comunicazioni ci farà chiudere e voi la busta paga non la prenderete più. Allora vedrete com’è l’isteria da disoccupazione.”
Lasciò la stanza scuotendo la testa e percorse il corridoio fino all’ufficio, mormorando sufficientemente forte perché potessero sentirlo: “Se non ci fossi io, qui dentro, a gestire le cose, riderebbero fino a perdere il lavoro…”
Wayne rivolse un debole sorriso a Janet. “Grazie per avermi disinnescato prima. Mi stavo facendo prendere un po’ troppo.”
“Capita a tutti.” Janet scosse le spalle. “Specialmente appena usciti da un Sogno—siamo tutti un po’ sensibili. Però non dovresti farti sopraffare da Mort. Non ce l’aveva con te, è soltanto uno che si preoccupa per professione.”
“Lo so ma mi sentivo l’ultimo arrivato del quartiere.”
“E allora stagli fuori dai piedi fino a che non è finita questa storia della Commissione Comunicazioni. E’ questo che lo rivolta sottosopra, non lo critico se si preoccupa. Starà meglio quando sarà tutto finito.”
Wayne annuì. In ufficio, quel che veniva definito l’affare Spiegelman e le indagini della Commissione Comunicazioni che ne erano seguite erano ancora l’argomento principale delle conversazioni, anche a un mese di distanza. In un certo senso Wayne doveva esser contento: era stato assunto proprio grazie a Spiegelman. Ma forse proprio per quel motivo ad ogni suo gesto veniva guardato con sospetto da chiunque gli fosse accanto.
Elliott Spiegelman era stato un Sognatore impiegato alla stazione; ancor peggio, era il genero di Mort Schulberg. Un mese prima circa Spiegelman aveva recitato in un Sogno che doveva essere una storia poliziesca di serie ambientata negli anni ‘30, nello stile del detective Marlowe. La sceneggiatura era abbastanza innocua ed era stata approvata sia da Bill DeLong che dalla Sezione Legale—ma qualsiasi Sognatore sapeva che, per quanto la sceneggiatura potesse essere rigida, chi recitava aveva un’enorme libertà d’azione da ricavarne.
Apparentemente era proprio ciò che aveva fatto Spiegelman. Sin dal giorno successivo erano iniziate ad arrivare alla stazione telefonate e lettere che accusavano Spiegelman di aver utilizzato il Sogno per esporre le proprie teorie economiche e politiche, evidentemente di centrosinistra. Spiegelman aveva aggiunto benzina sul fuoco della controversia, dichiarando a un giornalista che negli anni ’30 i movimenti socialisti erano assai popolari e che lui si era solo limitato a rappresentare accuratamente quel periodo storico. Questo aveva sollecitato ulteriori lettere e telefonate.
Obiettivamente non c’era un modo imparziale di determinare cosa era successo perché era impossibile registrare un Sogno e visionarlo in un secondo momento. Ogni Sogno era realizzato dal vivo e svaniva nella memoria alla chiusura. Diventò uno scontro tra la parola di Spiegelman e quella di chi recriminava. A quel punto era entrata in scena la Commissione Federale Comunicazioni, sempre sensibile al tema della manipolazione politica dei media.
Spiegelman era stato sospeso immediatamente, in attesa di una revisione del caso. Per un po’ era sembrato che sarebbero stati sospesi pure Schulberg, Bill DeLong e lo sceneggiatore; alcuni tra i cittadini più inviperiti avevano chiesto che fosse revocata l’intera licenza dello Studio. La Commissione Comunicazioni aveva deciso di non fare un passo tanto lungo, ma aveva nominato un proprio uomo, Gerald Forsh, critico navigato dell’industria Onirica, perché indagasse sull’incidente.
Quando Wayne era stato assunto per sostituire Elliott Spiegelman lo Studio era in pieno fervore. L’industria in generale, e la Dramatic Dreams in particolare, temevano che il caso potesse avere ripercussioni serie. Per attenuare le paure peggiori, le indagini di Forsch erano avanzate con deliberata lentezza. Lo stesso Forsch sarebbe arrivato di lì a un paio di giorni per sentire la versione dei fatti fornita dallo Studio. Dietro consiglio del suo avvocato, Spiegelman non rilasciava dichiarazioni pubbliche. Nell’industria Onirica era opinione unanime che Spiegelman sarebbe stato gettato in pasto ai lupi come vittima sacrificale. Gli avrebbero addossato tutte le colpe; sarebbe stato bandito per sempre da Onirica e la Dramatic Dreams ne sarebbe uscita con un semplice rimprovero duro. Ma il povero Mort Schulberg non l’avrebbe avuta vinta in nessun caso; anche se avesse salvato la sua attività il genero sarebbe stato disonorato e sbattuto fuori dalla professione per sempre. Sì, non c’era da stupirsi che Schulberg fosse abbattuto dall’affare Spiegelman.
Eppure la persona per cui Wayne si sentiva veramente dispiaciuto era Elliott Spiegelman. I Sognatori diventavano professionisti perché avevano delle visioni interne che dovevano esprimere. Nei tempi andati avrebbero potuto essere sacerdoti o scrittori, artisti, attori o insoddisfatti —quelli che vedevano le cose in modo diverso e cercavano di impregnare gli altri con le loro visioni. Nel lungo termine Sognare era un modo di compiere perfettamente quella missione comunicativa. Una volta assaporata quella perfezione, quale Sognatore avrebbe potuto accontentarsi di meno? La vita di Spiegelman comunque non era finita; c’erano altri modi in cui poter esprimere sensazioni ed emozioni. Ma nulla gli avrebbe donato la gloria e il potere che il Sogno portava con sé. Un Sognatore non più in grado di sognare era meno di un intero: il resto della sua vita avrebbe risuonato a vuoto.
Wayne rabbrividì e quel movimento involontario ricondusse i suoi pensieri al presente. Janet stava per uscire dall’ambiente, probabilmente per andare nel proprio ufficio. “Ehi” la chiamò Wayne mentre usciva. “Non so tu, ma io ho una fame da lupo. Perché non ce ne andiamo di sotto a vedere se è rimasto qualcosa nei distributori?”
Janet si fermò e si voltò per guardarlo con l’occhiata più strana possibile, come se cercasse di leggere un qualche significato segreto delle sue parole. “Ah, grazie Wayne” disse infine, “ma veramente io non ho tutta questa fame al momento. Forse un’altra volta.”
“E’ quel che dici sempre”. Le parole gli scivolarono fuori prima di poterle fermare.
Janet sospirò. “Lo so. Scusami. Apprezzo l’invito, davvero, ma…”
Si guardò i piedi evitando il contatto col suo sguardo. “Davvero, non penso di essere una compagnia adatta per nessuno, in questi giorni. Ho un sacco di cose personali da risolvere e non sarebbe giusto fartele pesare.”
Wayne rimase in piedi, incerto su come rispondere. Più di ogni altra cosa avrebbe volute dire: “Ti prego, vorrei che tu mi piangessi sulla spalla, vorrei che tu mi confidassi i tuoi problemi” —ma non sapeva come avrebbe reagito la donna a quell’invasione della privacy. E dicendole che i suoi problemi non lo disturbavano sarebbe parso che non li reputava tanto seri da preoccuparsene; e lei lo avrebbe ritenuto un cinico.
Era ancora impietrito per l’indecisione quando Bill DeLong arrivò lentamente nella stanza. Il coordinatore dei programmi era un uomo alto e dinoccolato, sulla cinquantina. I segni dell’età che portava sui capelli grigi a spazzola contrastavano con la scintilla di giovinezza che portava negli occhi. Vestiva casual, maglione e calzoni; era amichevole e alla mano, ma ciò non nascondeva la mente acuta che celava in sé.
“Coordinatore dei Programmi” era un titolo generico che copriva una moltitudine di peccati. DeLong era capo sceneggiatore, capo censore, responsabile della programmazione e consulente dello Studio a tutto tondo. Mentre Schulberg gestiva la parte finanziaria dell’attività, DeLong era il gerente della parte creativa. DeLong non era un Sognatore, ma era amico di tutti i Sognatori dello staff. Nel caso fosse richiesto, fungeva anche da padre confessore per chiunque avesse bisogno di un orecchio amichevole. Se Schulberg era il capo della Dramatic Dreams, DeLong era la sua anima.
“Janet, sono contento di averti trovata” la chiamò DeLong. Il suo accento aveva tracce riconducibili al Texas e all’Oklahoma. “Ho pronta per te la tua prossima sceneggiatura.” Le tese un blocco di carta fermato da una molla.
Sollevata per averla passata liscia, lei tornò rapidamente al suo solito carattere chiacchiericcio. “Non ci posso credere. Una volta tanto una sceneggiatura in anticipo? So che non è un regalo di compleanno perché il mio compleanno è stato tre mesi fa…. Cos’ho fatto per meritarmelo?”
“Accidenti, mica lo so. Oggi pomeriggio è arrivata Helen e ha detto che aveva avuto un’ispirazione che l’aveva fatta sbrigare. E’ pure buona. Qualcuno dovrebbe ispirare quella donna più spesso: quando ci si mette d’impegno è una buona scrittrice.”
“Bene. La guardo subito. Grazie.” Janet sorrise a DeLong poi si voltò e lasciò la stanza allontanandosi dal disagio che era rimasto nell’aria tra lei e Wayne.
“Jack ha promesso che la tua sarà pronta per domani pomeriggio” disse DeLong, voltandosi verso Wayne. “E’ un Western se ricordo bene.”
“Oh no, un altro” gorgogliò Wayne.
“Beh, non è che possiamo fare sempre l’Amleto. Perlomeno i Western sono veloci e apolitici.”
“Lo so. E’ che mi sembra di segnare il passo. Mi piacerebbe avere la possibilità di allungarmi un po’, di mostrare ciò che posso fare, invece di sprecare tempo ed energie su roba da scribacchini.”
“Ascolta me che ne so qualcosa,” disse con cortesia DeLong. “In qualsiasi professione creativa i migliori sono quelli che iniziano col lavoro sporco e poi fanno carriera. Shakespeare, Dumas, Dickens, Michelangelo e da Vinci erano tutti scribacchini. Prima di poter costruire cose più grandi hai bisogno di fondamenta solide. Ho visto un sacco di superstar accendersi dal nulla e abbagliare tutti per un po’; alla fine finiscono per spegnersi altrettanto rapidamente. Così forse sei lento, ma cavalchi un cavallo su cui scommettere.”
“Ma nel frattempo è tutto talmente frustrante” disse Wayne.
“Sì lo so. Senti, ma non stavi proponendo di andare a mangiare qualcosa mentre arrivavo? Non sono carino come Janet, ma mandar giù un boccone ci starebbe proprio bene, se ti va di aver compagnia.”
Wayne sogghignò. “Certo perché no? Andiamo.”
I due lasciarono lo Studio e uscirono dall’androne. L’edificio che ospitava la Dramatic Dreams non era ne’ nuovo ne’ particolarmente antico. I quadrati di linoleum bianco e marrone del pavimento avevano perduto splendore ma non erano ancora talmente malconci da dover essere cambiati. I muri bianchi e nudi erano graffiati e rigati ma erano danni a cui ci si abituava presto e poi non si notavano più. I pannelli di plastica chiara sul soffitto mostravano delle crepe e i tubi fluorescenti che arrivavano all’ascensore per due terzi della lunghezza lampeggiavano un pochino. Ormai, dopo un mese, erano dettagli che arrivavano a malapena alla mente di Wayne. Era semplicemente un luogo di lavoro; anche meglio di altri dove era stato.
Ciò che veramente lo toccava era il silenzio. La maggior parte delle società ospitate nell’edificio seguiva orari normali e ormai tutti gli impiegati erano tornati a casa. La Dramatic Dreams, al sesto piano, era l’eccezione. Non c’era modo di registrare i Sogni per poi trasmetterli in un secondo momento; dovevano essere realizzati dal vivo. E ad eccezione degli sceneggiatori, che potevano lavorare quando desideravano, chi si guadagnava da vivere con Onirica si trovava incastrato in un ritmo di vita sottosopra. I Sognatori che non riuscivano ad abituarsi a un ritmo di lavoro notturno e ai palazzi vuoti dovevano trovarsi immediatamente un altro impiego.
Eppure Wayne odiava quel silenzio opprimente. Era una cortina tra lui e il resto dell’umanità. Forniva Sogni per far trascorrere ore e ore di sonno a moltitudini di persone in città, eppure man mano che il tempo passava aveva sempre meno contatti con loro.
I passi dei due uomini echeggiarono lungo il corridoio e DeLong gli disse: “Posso darti un consiglio non richiesto?”
“Mmm? Su cosa?”
“Su Janet. Sta uscendo da un brutto periodo. Non starle addosso. Siete entrambi giovani, hai un sacco di tempo per far crescere la cosa.” Arrivarono all’ascensore e DeLong spinse il pulsante di chiamata per scendere.
Wayne arrossì. “Non mi ero reso conto di essere così trasparente.”
La cabina arrivò in fretta e i due entrarono. “Forse non se ne accorgerebbe un cieco” disse DeLong “ma io devo prendere nota di tutto ciò che succede qui. Non posso lasciare uno dei miei Sognatori – tra parentesi uno dei più promettenti – a vagare con la testa irrimediabilmente tra le nuvole per una collega. Fa male al morale e ti distoglie la mente dal lavoro. Per non parlare del fatto che se ti dà alla testa io finisco per perdere l’uno o l’altro, il che è una cosa che non voglio. Siete entrambi troppo bravi.”
“Io non lo chiamerei restare con la testa fra le nuvole” obiettò Wayne.
“Beh chiamalo come vuoi, l’effetto è lo stesso. Quando mio figlio aveva 15 anni e cercava di strappare il suo primo appuntamento aveva più savoir-faire di te. Non sei un ragazzino adolescente che deve collezionare punti. Qual è il problema?”
Wayne scosse le spalle. “Non so. E’ una Sognatrice più brava di me; forse temo che lei pensi di essere sopra la mia portata. O forse ho paura che mi guardi dall’alto in basso per quel che ho fatto prima di venire qui.”
DeLong gli dette una tirata d’orecchie. “Figlio mio, Janet è una professionista. Lei sa cosa bisogna fare per sopravvivere, agli inizi. Non penso proprio che ce l’abbia con te per quella roba porno.”
“Sicuramente è un qualcosa che me la tiene a distanza.”
“Sì,” ammise DeLong, “ma non ha nulla a che fare con te.”
L’ascensore li depositò al piano terra e si incamminarono nel corridoio scuro arrivando alle macchinette del cibo. La “mensa” consisteva fondamentalmente in una serie di distributori automatici in una grande sala, illuminata, a quell’ora, soltanto da una fila di faretti. Dal pavimento spuntavano come funghi spettrali dei tavoli in plastica con gli sgabelli attaccati come anelli fatati. I passi dei due risuonarono ancor più a vuoto mentre si avvicinavano alle macchinette per vedere cosa c’era a disposizione.
“E allora il problema qual’è?” domandò Wayne.
Per un attimo DeLong finse di non aver udito e ispezionò con aria critica il distributore. “Accidenti! Gli addetti alle macchinette dovrebbero capire che se vogliono guadagnarci un po’, la notte ci devono lasciare qualcosa di decente da scegliere. E invece guarda qui, tutta roba avanzata di quelli del turno di giorno – e tutta roba vecchia!”
Alla fine il coordinatore dei programmi si decise per un patetico panino prosciutto e formaggio e una tazza di caffè nero, ma Wayne aveva più appetito, anche se il cibo a disposizione era tutt’altro che invitante. Finì per scegliere un barattolo di zuppa al pomodoro calda, un’insalata avvizzita, un Chinotto e un piatto con un dessert spugnoso dentro, come companatico per il proprio panino prosciutto e formaggio. Tenendo in allegro equilibrio il carico su un vassoio, giunse al tavolo dove DeLong si era già accomodato.
DeLong prese il panino e lo guardò a lungo prima di osare avvicinarlo alla bocca. “Lo sai, vero” disse noncurante “che Janet ha avuto una storia con Vince Rondel?”
Wayne si fermò con il cucchiaio a metà percorso dalla bocca. “Io, beh, sì, l’avevo sentito dire.”
DeLong scosse la testa. “Questo non è un sentito dire. Non solo era risaputo alla Stazione ma tutta la storia mi è anche arrivata all’orecchio di prima mano durante una lacrimosa cena con Janet. La relazione è durata un anno e mezzo circa e si è interrotta proprio prima della faccenda di Spiegelman. Forse se non avessi avuto tanto da fare a cercare di rimettere in piedi Janet, avrei fatto più attenzione a quel che faceva Elliott – anche se non penso che sarei riuscito a fermarlo…”
“Ma perché mi dici queste cose?” domandò Wayne. “Non stai tradendo la sua fiducia?”
“Probabilmente sì,” acconsentì DeLong, affatto preoccupato. “Ma penso di potermi fidare di te, che non userai nulla contro di lei: e penso che è veramente necessario che tu sappia.”
“Perché?”
“Perché ti farà capire ciò che può succedere quando due Sognatori della stessa Stazione si lasciano sfuggire le emozioni di mano. Quando è arrivata, qualche anno fa, Janet era una giovane donna molto impegnata – perché non esistono Sognatori equilibrati? Aveva un sacco di potenziale. Vince lavorava con lei e l’ha fatta diventare un grosso talento; professionalmente per lei è stato grandioso ma non sono certo di quel che ha fatto per lei come persona.”
“Alla fine, un mese fa viene da me in lacrime dicendo che non ce la fa più e che deve star lontana da Vince. Devo ammettere che avevo delle motivazioni egoistiche; è una Sognatrice stramaledettamente brava e non voglio perderla. Poi è venuta fuori questa cosa di Spiegelman e non ci potevamo permettere che Janet se ne andasse. E allora l’ho persuasa e lusingata e convinta a rimanere qui, anche se questo vuol dire che deve ancora vedere Vince praticamente tutti i giorni. Per lei non è facile; penso che buona parte di lei ancora lo ami.”
“E allora cosa ha interrotto la relazione?” domandò Wayne.
DeLong riuscì a dare un morso al panino e si appoggiò alla sedia masticando pensosamente. “La madre di Vince” disse alla fine. “La signora Rondel è la causa di molte cose infelici, una delle quali Vince stesso…. Ma questo non c’entra per nulla e probabilmente non avrei neanche dovuto sollevare la questione. Questa roba fa veramente vomitare, non trovi? Me ne accorgo ogni volta che vengo a mangiare qui. A quest’ora dovrei averlo capito…”
Poggiò il panino nrl piatto di plastica e guardò Wayne dritto negli occhi. “Ma dopo aver già aiutato Janet una volta a restare sana di mente dopo una relazione sfortunata, capisci che non intendo farlo di nuovo. Se qualcosa andasse storto o uno di voi se ne andasse… come ho detto siete entrambi troppo bravi. Non penso che vorrei perdere ne’ l’uno ne’ l’altro. Dovresti sentirti lusingato.”
“Sì, ma…”
“Io non sono uno di quei capi che non vuole che gli impiegati socializzino dopo l’ufficio. Non dico che non puoi vederti con Janet, o fare amicizia, o sposartela e farci diciassette figli. Dico soltanto: non andare di fretta. Fallo succedere. Ci sono ancora dei pezzi che non ha incollato al posto giusto. E anche se hai le migliori intenzioni del mondo, se la rivolti sottosopra potrebbe non riprendersi più. Siete due persone molto interessanti, e al momento giusto potreste davvero finire insieme…”
“Eccoci di nuovo” disse Wayne. “Prima mi dici di essere paziente con la carriera, adesso devo essere paziente con Janet…”
“Inizia a suonare come un disco rotto, vero?” sorrise DeLong. “Però è tutto vero. Pensa che ci sono persone che hanno scalato le montagne più alte dell’Himalaya, correndo grandi rischi personali e con grande fatica, per consultare il Grande Saggio e ricevere esattamente lo stesso consiglio che ti ho dato io ora. Ti sei guadagnato la saggezza degli Antichi, gratuitamente... abbi almeno un po’ di riconoscenza!”