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II RIFORME.
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Le opinioni politiche afforzate da esempio operativo si comunicano colle celerità dell'elettricismo, e per quanto rigorose fossero le sue misure, il governo non potè far sì che non si commovessero gli animi de' Napolitani agli eventi di Roma. — I principi Piemontese e Toscano da sè operarono e proclamarono quelle riforme che i popoli avrebbero ottenute colle rivoluzioni e la strage, ed il plauso dei popoli rispose alle regie concessioni: gli esuli tornarono ai lari disertati, e i prigionieri videro un giorno non invano lungamente sperato: era felice per l'Italia l'epoca in cui il vessillo di Cristo operava rivoluzioni senza sangue basate sulla fiducia dei popoli ed il buon talento dei re: e Ferdinando II che facea intanto? il popolo inerme si portava sotto il suo palazzo a gridare — Viva Pio IX, vivano i Principi riformatori, — ed egli rispondeva con decreti che condannavano simili dimostrazioni come attentati all'ordine pubblico e rigorosamente punibili: e s'empievano le carceri, e si instruivano processi.

Intanto simili dimostrazioni si eseguivano in Palermo. Ingordi intendenti l'aveano ammiserita, e ad essa aveano preclusa ogni via di civile progresso, e d'altra parte usava Ferdinando tenervi grossa guarnigione: per essa era giunta l'ora che il fremito si facea universale, le opinioni mature. Dapprima i Siciliani inviarono pietosissime suppliche al re, che togliesse in considerazione lo stato loro: non voler altro che miglioramento di amministrazione e intendenti meno tirannici ed impudentemente ladri; a codeste suppliche aggiungevano de' moniti prudentissimi; gli fecero intendere la natura dei popoli che non vuol esser torturata a segno nè esser messa a tal partito che ogni altro sia migliore.

Ed egli che facea?

Passeggiava Capodichino colle sue migliaia di soldati; s'affacciava dal regio balcone, e di là guardava una darsena riboccante di cannoni, il nuovo porto con parecchi vapori e fregate, e tale apparato ragionava al suo cuore la santità del suo diritto, ed in esso vedeva il baluardo contro i clamori dei popoli; e guardava cannoni, soldati e navi e con quelli si preparava a far ragione a sette milioni di uomini. Quindi nel 12 gennajo contro una dimostrazione inerme che seguiva in Palermo, facea irromper la cavalleria sul popolo, ed il popolo la respingeva: inviava i suoi battaglioni, ed il popolo li sperdeva: facea fumare i suoi vapori ma contro un popolo intero e risoluto che s'unisce si stringe e pugna per la libertà, è vana la potenza dell'oppressore, è Dio contro lui.

E tanti tiranni trionfano? — I decreti del Signore sono imperscrutabili, e l'albero prezioso della libertà va lungamente educato onde i popoli possano gustarne le frutta suavissime.

Ferdinando nelle sue falangi scorse una spaventosa decimazione; nel veder tornato un vapore carico delle vestimenta di soldati uccisi.... pianse! — e gli uccisi di Palermo che la sua impudenza addimandava suoi figliuoli, non meritavano una sua lagrima paterna? sì pianse gli uccisi: gli mancavano altrettante braccia a compiere le stragi che designava. — Fu mestieri sgomberare Palermo e cedere le fortezze di Castellamare: i Siciliani baciarono il nimico vinto, come ferocemente l'avean battuto oppressore — Ma son prodigii di incivilimento codesti, ma è l'eroismo dei cuori liberi! — aspetta e guarda come i Borbonici sanno fare nel 15 maggio quando la città è in mano loro!... Sì, la tirannide non riconosce incivilimento mai; la viziosa radice non darà mai pomo che velenoso, e contaminato non fosse.

Le cose andavan male per esso: in tutti i punti del regno si tumultuava: ei ripartiva le sue forze per le province, ma non bastavano: la polizia spogliata della sua forza morale se ne giaceva inerte; Napoli vedea di dì in dì moltiplicati i seguaci del liberalismo, ed inermi migliaja ad alta voce reclamavano riforme. Nel 27 gennajo si fè una sontuosa dimostrazione; vi prese parte l'ultima plebe, la nobiltà, preti, professori, artigiani e mercatanti, era tutto un paese che si commovea; innanzi agli occhi gli stava l'esempio siciliano troppo recente; ma ei tentò un ultimo sforzo, fè uscire il cannone e schierare la truppa, e la turba correa al soldato e l'addimandava fratello, e raddoppiava la festa al cospetto del cannone e della miccia fumante... seguì il 28, giorno di commozione, di oscillazione: nel dì precedente il Borbone, avea gittato il guanto di sfida, il popolo lo avea raccolto... S'aprì il dì 29 con un sole fulgidissimo ed un cielo azzurro e le prime ore del mattino trascorsero colla trepida espettazione di eventi decisivi.

Storia del 15. Maggio in Napoli con l'esposizione di alcuni fatti che han preparato la catastrofe

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