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LE ORIGINI DEL COMUNE DI FIRENZE
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Ed ora, o Signori, siamo all'anno 1115, anno in cui muore la contessa Matilde, e l'indipendenza del Comune incomincia. Come incomincia? Prima di tutto l'esercizio principale del potere di Matilde in Firenze, consisteva nel rendere giustizia solenne nei tribunali che presiedeva; e noi abbiamo in fatti molte sentenze da lei pronunciate. Un dotto scrittore tedesco ha esaminato queste sentenze, ed ha osservato che in esse, a poco a poco, il carattere germanico margraviale del tribunale si andava alterando, sotto l'azione crescente del diritto romano. E quale era questa alterazione? Secondo l'antica usanza, il presidente del tribunale pronunziava solennemente le sentenze, le quali esso formulava col parere dei giudici. A poco a poco l'importanza dei giudici crebbe in maniera, che il presidente divenne inattivo, fece cioè poco più che pronunziare la sentenza da altri apparecchiata. Questo fatto semplicissimo portò che la presenza di Matilde cominciò a divenire quasi superflua, a segno che essa di tanto in tanto non intervenne nei giudizii, lasciando i tribunali a sè stessi. Negli ultimi quindici anni della sua vita, noi infatti non la vediamo quasi più comparire nei tribunali fiorentini. I giudici che spesso erano fiorentini, pronunziarono allora essi le sentenze, e così i cittadini si trovarono già fino dai tempi della Contessa, ad esercitare uno dei principali attributi della sovranità. Di maniera che, quando essa morì, restò un popolo, che non era ancora libero e indipendente davvero, ma che aveva già fatto guerre per proprio conto, e si amministrava da sè stesso la giustizia.

Quando la contessa Matilde scomparì dalla scena del mondo, vi fu nell'Italia centrale un periodo di estrema confusione. Essa aveva lasciata erede di tutti i suoi beni la Chiesa, la quale perciò voleva assumere il governo della Toscana. Ma il Margraviato apparteneva all'Impero che voleva riprenderlo. La Contessa poteva disporre dei soli beni allodiali, non dei feudali. Distinguere gli uni dagli altri non era facile, spesso non era possibile; e così ne nacque una crisi economico-sociale-politica. Il Margraviato ne andò in fascio, e le sue varie parti si separarono, per mancanza di un'autorità superiore che potesse esercitare il potere. In mezzo a questo stato di cose, Firenze si trovò libera e indipendente, senza quasi avvedersene, senza quasi sentire il bisogno di avere un nuovo governo. La società era già tutta quanta in mano delle associazioni; di un governo centrale v'era appena bisogno. Quelle famiglie che avevano comandato il presidio, che avevano amministrato la giustizia in nome di Matilde, continuarono a farlo in nome del popolo, e furono i Consoli del Comune. Quale è il primo segno di questa indipendenza? La ripresa della guerra contro il Castello di Monte Cascioli, che fu demolito e bruciato. Questo fatto ebbe una speciale importanza.

L'imperatore Arrigo IV aveva mandato un tale Rabodo a restaurare l'autorità dell'Impero in Toscana. Questi, a San Miniato al Tedesco (che allora cominciò ad essere così chiamato) raccolse i nobili, per riprendere, in nome del suo sovrano, il potere; andò poi alla difesa di Monte Cascioli e i Fiorentini, combattendo il Castello, combatterono il vicario e lo uccisero. Così essi presero finalmente il loro partito, e dichiarandosi avversi all'Impero, divennero un Comune indipendente, senza quasi accorgersene. E questa è la ragione per la quale gli storici rimasero maravigliati e confusi. Come! Firenze la patria di Dante, la patria di Michelangelo, quella che ha avuto così gran parte nella coltura del mondo, nasce senza che nessuno se ne avveda? Vi deve essere qualche errore, vi devono essere stati documenti ora scomparsi, deve essere avvenuta una catastrofe che è stata dimenticata. Non è avvenuta nulla di ciò. Firenze aveva cominciato ad essere di fatto indipendente; continuò per la medesima via, quando scomparve la contessa Matilde. La rivoluzione avvenne senza grandi scosse, senza quasi che alcuno se ne avvedesse. Ma gli scrittori come Giovanni Villani non sapevano persuadersi di dover cominciare così modestamente la storia della Città, essi che vivevano nei giorni in cui la patria loro primeggiava e risplendeva. E però, quando nel 1300, al tempo del giubileo, il Villani si trovò a Roma, e ne ammirò i grandi monumenti, «io voglio scrivere, esso diceva, la storia di Firenze, perchè Firenze è figlia di Roma, ed è ora nel suo salire, quando invece Roma è nel suo cadere.» Pieno di questa idea, voleva imitare Tito Livio, e scoprirvi qualche cosa di simile alle origini di Roma. Trovando invece una città nata modestamente da un gruppo di mercanti, arrivata alla libertà e indipendenza senza fare alcun rumore, non se ne contentava, non se ne persuadeva, e ricorreva invece alla leggenda, che connetteva Firenze con Roma, con Troja, con Enea, e la narrava come se fosse storia. Per queste stesse ragioni anche i moderni cercarono nella storia quello che non v'era. I fautori dell'origine germanica dei Comuni non vogliono credere che questa cittadinanza si sia potuta formare di artigiani, senza che vi sia entrato elemento feudale germanico; lo cercano, e non ve lo trovano, e non sanno di ciò persuadersi. Gli scrittori italiani, se sono nemici del Papa, ghibellini, non si persuadono che questa repubblica, la patria di Dante e del Machiavelli, sia nata, si sia formata, sotto la contessa Matilde, amica del Papa, e protetta da lei. E vanno anch'essi in cerca di avvenimenti che non seguirono mai. Gli scrittori guelfi, è vero, si rassegnano a ciò più facilmente assai; ma non sanno neppur essi capire come mai Firenze sia potuta nascere dopo di Pisa, di Lucca, di Siena, di tante altre città. Così tutti cercano quello che non si può trovare, perchè non avvenne mai, e non vogliono vedere la verità che è chiara e lampante sotto i nostri occhi, e sta tutta nelle poche notizie certe che abbiamo. Altre non ve ne sono, altre non sarà facile, non sarà possibile, io credo, trovarne.

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