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NAPOLEONE
V

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È a Milano, nell'atrio di Brera, un Napoleone di bronzo, colossale; non lui, veramente, ma il suo genio, come l'ha ideato Antonio Canova. Vedendolo, senza quegli indumenti ond'è caratteristica l'immagine dell'Imperatore, intendo la verità profonda di ciò che l'artista di Possagno diceva spesso e volentieri intorno alla significazione del nudo nell'arte. Così, fatto genio, Napoleone è il capolavoro del Canova. Altri lodi Ebe, e Psiche e le Grazie abbracciate; altri si compiaccia di Paolina giacente, o ammiri papa Rezzonico orante tra i suoi leoni pensosi. Nell'atrio di Brera penso io, davanti al colosso. Foggiato per andare all'aperto, con la vittoria alata nel cavo della mano, egli muove allo stretto, là dentro, e si pensa che in men di due passi avrà finito il suo corso. Perchè là dentro? All'aperto non lo vollero i potenti, che approfittavano della sventura sua; e fu ancora lodevol pudore che lo lasciassero intatto, come fu buon consiglio negli ultimi successori concederlo alla ammirazione sminuita dei tempi nuovi confinato in quel chiuso, che è pur sempre un tempio della scienza e dell'arte. E va, senza muoversi dal suo piedestallo di granito, fremente nella sua grandezza, che ha ancora ed avrà sempre alcun che di segreto. E più torreggia allo stretto, e più sembra che cammini, mentre a noi par di comprendere tutto ciò ch'egli non fu, avendo la potenza di essere, e intorno a lui, irta di ostacoli, serrandosi la congiura del mondo.

Veduto quello, muovo a cercarne il riscontro, in un altro cortile, di là dal Naviglio, ove si raccoglievano i Senatori di quello che Ugo Foscolo chiamò “il bello italo regno„. Non più un genio, là dentro, ma un uomo, un cavaliere salutante; in atto di muoversi anch'egli, caracollando, e anch'egli rinchiuso! Ragioni d'ordine vario han fatti prigionieri i due bronzi, non volendoli in piazza; dove infine, piacendo meno alle moltitudini, riuscirebbero meno eloquenti. Lampi di genio inconsapevole; ne siano perdonate (quasi direi benedette) le cause, per il gaudio estetico che destano in noi. Vedo quell'altro, e penso… penso una grande giornata e un indimenticabil servizio. Quel cavaliere che saluta, levandosi sul cavallo di mezzo al fogliame d'una aiuola fiorita, un po' sfinge nella immobilità dello sguardo, ma gentiluomo nel sorriso e nel gesto cortese, si associa nel mio pensiero al rifiorimento di una leggenda di gloria che Roma ha cantata nei secoli. E rammentando quante ombre circondino certe figure storiche, sento anche meglio la solenne grandezza onde sono privilegiate. Nell'atrio del Senato vedo la continuazione ideale dell'atrio di Brera. Solferino procede da Sant'Elena; il discendente degli antichi condottieri italiani (piace a me pure di chiamarlo così) è stato il liberatore della patria schiava, per aver dato il primo crollo, e come vigoroso! alle mura istesse del suo carcere quindici volte secolare; onde il mio panegirico, se parrà tale, è sentenza di storia. Infine, odio la storia che non illumina i fatti con luce viva d'amore.

Conferenze tenute a Firenze nel 1896

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