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Capitolo 4

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Mallory

Potrei dire che non so da quanto tempo Léon mi tiene prigioniera, ma ogni ferita nella mia schiena è un vero conteggio quotidiano e mi ricorda il tempo che passa. 177. Sono 177 giorni che Léon mi ha catturata e mi marchia come bestiame, con un taglio al giorno. Ho la schiena in fiamme. Tutto intorno a me non è altro che dolore ed un richiamo alla mia sofferenza, sia fisica che mentale. La mia resistenza si sta indebolendo sempre di più. La speranza di scappare si affievolisce in proporzione al tempo che passa. All'inizio ho ben fatto qualche tentativo, ma ciò non ha fatto altro che peggiorare le mie condizioni di cattività, annullando la mia resistenza.

Il mio primo tentativo di evasione ha colto Léon di sorpresa. Mi ricordo ancora del suo sguardo sbalordito quando mi ha slegata per andare in bagno ed io gli sono saltata sulla schiena in un tentativo disperato di colpirlo con le mie manette. Non ha dovuto fare alcuno sforzo per staccarmi da sé, facendomi cadere a terra come un volgare sacco di patate. Quindi mi ha sollevata senza alcun riguardo, stringendomi la gola, schiacciando brutalmente sulla mia trachea, mentre la mia soddisfazione per aver visto il sangue che gli colava dalla testa ha lasciato presto il posto al  terrore di una morte imminente per strangolamento. A quell'epoca, non desideravo ancora morire.

Il suo pollice sul mio collo non mi aveva permesso di rispondere con un tono sferzante. Non avevo potuto fare altro che soffocare  miseramente, mentre sentivo che la vita scivolava via da ogni poro. Allora aveva deciso di risparmiarmi.

Vuoi un amore perverso? Nessun problema, basta chiedere.

Mi aveva quindi morso il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.

Non rifarlo mai più, o lo rimpiangerai. Mi hai capito?

Avevo annuito senza convinzione, pensando già ad un altro modo per fuggire. Ovviamente Léon non mi aveva creduta e l'indomani mi ero ritrovata legata ad una solida catena. In questo modo, potevo spostarmi fino al bagno adiacente, senza che ci fosse bisogno di staccarmi dal letto. Tuttavia ciò mi privava di qualsiasi intimità, visto che non potevo chiudere la porta quando mi lavavo. In effetti, ho sorpreso molte volte Léon a spiarmi attraverso l'apertura mentre facevo la doccia e mi sono sentita sporca sotto quello sguardo. Purtroppo questo è stato solo l'inizio del mio calvario. Il mio tormentatore immagina veramente che noi siamo una coppia, in tutti i sensi del termine. Una settimana dopo, ha voluto baciarmi per svegliarmi con dolcezza, come dice lui. Gli ho dato un morso alla lingua per riflesso. Ciò mi è valso uno schiaffo monumentale ed un occhio nero per molti giorni, seguiti ovviamente da una delle sue affermazioni roccambolesche.

Tu sei mia. Ne ho tutti i diritti! Se non vuoi finire con una catena al collo come la cagna che sei, hai tutto l'interesse a mostrarti più gentile con il tuo fidanzato.

La parola fidanzato mi aveva ferita oltre ogni limite. Avevo perso il mio adorabile fidanzato, che amavo nonostante i nostri litigi, per cadere nelle grinfie di uno psicopatico. Il primo bacio che mi ha costretta a dargli mi ha procurato la nausea. Ho dovuto trattenermi dal vomitargli addosso. Poi, alla lunga, è diventato più facile, meccanico: un semplice scambio di saliva senza emozioni. Un istante nel quale spengo il cervello per conservare intatta la mia coscienza. Il peggio è stato quando ha iniziato a volermi toccare. Mi ero preparata mentalmente ad essere violentata un giorno o l'altro, ma niente potrebbe renderlo accettabile. Niente rende facile quel momento in cui le sue mani estranee percorrono la mia pelle con avidità, senza il mio consenso. Le sue mani su di me mi provocano ribrezzo. Non sopporto di sentire che mi sfiora i fianchi, le natiche ed i seni. La mia fortuna in questa sventura? Léon si è rivelato impotente: non è mai riuscito a penetrarmi. Il primo fallimento lo ha fatto arrabbiare terribilmente.

–E' COLPA TUA! NON FAI NESSUNO SFORZO! MI FAI BLOCCARE!

La sua povera coda grottesca pendeva miseramente lungo la sua gamba, per la mia grande  gioia. Non è mai riuscito ad andare fino in fondo e ciò mi ha aiutata a rilassarmi notevolmente, anche se quando mi tocca provo sempre ribrezzo. Tuttavia, è diventato semplicemente un male necessario. Almeno finché non mi obbliga a fare lo stesso, riesco a distaccarmi dal mio corpo, aspettando che abbia finito.

177 giorni ed ho l'impressione di essere un'altra persona. Ho imparato la mia lezione: adesso gioco alla brava casalimga ed ogni buona azione mi vale un punto. All'inizio pensavo che cedere su delle piccole cose mi avrebbe permesso di conquistare la sua fiducia e che avrebbe allentato la vigilanza. Non l'ha mai fatto, eppure io ci ho guadagnato in quanto a libertà. La mia catena si è allungata. Ho sempre l'impressione di essere un cane tenuto al guinzaglio, ma la corda è diventata più lunga. Sono diventata un piccolo cagnolino docile che ha perso il coraggio e la voglia di lottare contro il proprio padrone. Sono arrivata al punto di fare le pulizie e cucinare come una brava donnina di casa, mentre il signore lavora nel suo studio per guadagnare dei soldi e mantenere la sua bella. Non ho mai avuto questa sensazione con Brandon, quando mi sono ritrovata disoccupata e certamente non è la mia aspirazione nella vita. Non ho mai avuto così tanta voglia di lavorare, ma ciò non corrisponde ai gusti di Léon, che rifiuta di ascoltare le mie richieste. Si rende certamente conto che cercherei di scappare alla minima occasione. Una volta, quando è andato a comprare, ne ho approfittato per infilarmi nel suo antro. Volevo mandare un SOS ai miei amici, alla mia famiglia, a chiunque, tramite Internet. Non ci sono riuscita. Léon è un  genio dell'informatica ed il suo computer era protetto da vari codici; inoltre, ogni attività viene automaticamente registrata. Si è quindi accorto del mio tentativo e ciò lo ha fatto ridere, di una risata crudele e maligna.

Chi volevi contattare? Brandon? Se ne frega di quello che ti è potuto succedere. Ha voltato pagina e adesso vive con una bella bambolina che lo venera come un dio. Quanto a Beth, le hai fatto capire molto bene che non volevi vederla più, quindi perché dovrebbe aiutarti?

Poi mi ha stretta tra le braccia per sussurrarmi nell'orecchio.

Hai solo me nella vita. E va proprio bene, perché non hai bisogno di nessun'altro. E, nel caso te ne fossi dimenticata, ho occhi ed orecchie dappertutto. Ti ritroverei ovunque. Non potrai mai nasconderti da me.

Poi c'era stata una sessione di palpeggiamento unilaterale alla quale preferisco non pensare, per non rigettare il pranzo.

Oggi, Léon è più agitato del solito. E' nervoso. Mi lancia delle occhiate furtive e gira in tondo. E' rimasto chiuso nel suo ufficio e ne é riemerso sfinito e preoccupato. Le sue sopracciglia cespugliose si uniscono nella concentrazione. Apre varie volte la bocca prima di richiuderla senza emettere il minimo suono, poi riprende la sua giostra, mentre io mi sforzo di ignorare la sua presenza. Ho un libro in mano, lusso supremo: ho diritto alla lettura, tengo il naso immerso nelle pagine per evadere da questo luogo sinistro e dalla mia vita tetra. Mi tengo rigida sulla sedia, incapace di appoggiarmi allo schienale a causa delle innumerevoli ferite sulla schiena, che ormai fanno parte di me come tutte le mie membra. Sobbalzo quando Léon si pianta davanti a me e mi prende il libro dalle mani, perché io gli presti attenzione.

«Ti devo parlare, bellezza.»

Detesto questo nomignolo. I nomignoli dovrebbero esistere sono tra persone che tengono l'una all'altra. Io sono arrivata al punto di odiarlo oltre ogni limite, più di quanto avrei pensato di poter odiare qualcuno un giorno. Non mi credevo capace di provare un'emozione così forte. Quest'uomo mi ha rubato la vita ed il mio odio è senza limiti.

«Dovrò assentarmi per qualche giorno.»

Il cuore mi salta un battito. La speranza che pensavo scomparsa ormai da lunghi mesi si fa strada fino alla mia coscienza, la mia anima reclama la propria libertà, della quale è stata privata per troppo tempo. Ciò nonostante, non ho ancora vinto e se voglio avere qualche possibilità, devo giocarmela bene e mettere a tacere la mia paura, perciò mantengo un volto impassibile.

«Perché?»

La mia domanda lo sorprende. Bisogna dire che gli sto rivolgendo ben poco interesse fin dall'inizio e la paura che esprimo nella mia domanda è a doppio senso. Non ho paura di rimanere sola, ma piuttosto di nutrire delle false speranze.

«Il lavoro. Hanno bisogno di rinforzi e non posso rifiutare.»

Il lavoro. Collabora con la polizia, triste memento del fatto che non posso aspettarmi alcun aiuto da quel lato. A chi crederebbero, tra una ragazza che si è fatta lasciare e non conta più per nessuno ed un informatico rispettato, che aiuta gli investigatori da molti anni? Non sono nemmeno sicura che qualcuno abbia segnalato la mia scomparsa. Chi potrebbe tenere abbastanza a me da preoccuparsi? Forse i miei genitori? Non dubito neppure per un istante che Léon non abbia trovato un modo per ovviare a questo problema. Non mi ha mai restituito il cellulare e, d'altra parte, non ho mai visto un telefono in giro per la casa. Eppure, sono sicura di averlo portato con me, quando ho lasciato Brandon.

«Mal, voglio che tu mi prometta di restare tranquilla.»

Sottinteso: promettimi di restare qui tranquilla, perché io possa approfittare di te al mio ritorno.

«Te lo prometto.»

Una promessa vuota per una vita vuota, priva di senso. Quanto può valere una parola, quando si teme per la propria vita? Certamente non più delle sue dichiarazioni d'amore, visto che mi trattiene con la forza. Mi fissa, cercando di scovare la falsità delle mie parole. Impossibile: ho imparato a mascherare le mie emozioni molto tempo fa, per evitare le punizioni che seguivano le mie reazioni disgustate.

«Mi macherai così tanto, bellezza!»

Incolla il suo corpo al mio ed il suo calore attraversa il tessuto del mio maglione. La sua erezione spinge contro il mio ventre e prego che, come al solito, la pressione diminuisca man mano che la sua eccitazione aumenta. Mi  bacia profondamente in bocca ed io chiudo gli occhi, per immaginarmi tra le braccia di qualcun altro. All'inizio del mio calvario, pensavo a Brandon nei momenti difficili, ma da quando ho scoperto che sta con un'altra, anche la sua immagine mi dà fastidio. A questo punto, ho iniziato ad immaginare un uomo ideale, alto, bruno e muscoloso. E soprattutto, senza tatuaggi. Per me questi sono diventati un sinonimo di follia e non voglio che il mio uomo perfetto ne abbia. Tuttavia, faccio fatica a rappresentarmi i suoi occhi. Qualche volta sono azzurri, altre verdi, ma soprattutto teneri ed espressivi. Ritorno al presente quando Léon ritira la lingua dalla cavità della mia bocca e si mette a coprirmi la clavicola di baci bagnaticci.

«Sei talmente dolce, talmente perfetta!»

Sento il suo sesso diventare flaccido a poco a poco, per la mia più grande gioia. Posa la fronte contro la mia, con il fiato corto.

«Mi fai perdere la testa.»

Un giorno, mi ha confessato di perdere le sue capacità di fronte alla mia bellezza. Cosa dire, non me ne lamento di certo, anzi è un sollievo. E' fuori questione che io alimenti i suoi pensieri perversi, che non condivido affatto.

«Vieni in camera con me. Voglio passare un po' di tempo con te, prima di partire. Voglio scolpirmi la tua immagine nella memoria.»

Non mi lascia altra scelta. Mai. Mi trascina fino al letto e mi toglie il maglione, prima di costringermi a sdraiarmi sul materasso che si infossa sotto i nostri due pesi. Il mio respiro accelera; conosco il seguito del programma e ne ho paura, come sempre.

«Girati, bellezza. Voglio lasciare il mio marchio sulla tua pelle, così non mi dimenticherai durante la mia assenza.»

Come potrei dimenticare l'uomo che mi ha lasciato più cicatrici interne ed esterne di quanto lo possa fare chiunque altro? Obbedisco stringendo i denti e preparandomi al seguito. Le lacrime iniziano già a scendere, ancora prima di sentire il morso della lama che mi taglia la pelle senza esitare.

«Se tu sapessi come mi piace vedere questi segni di appartenenza!»

Li accarezza tutti con l'indice, con una soddisfazione ripugnante, contandoli uno ad uno con lentezza. I più vecchi sono ormai cicatrizzati, ma la mancanza di cure ha conferito loro un rilievo che avverto sotto il suo dito, mentre ne percorre i tratti come un pittore fiero della propria opera.

Fuggi, Angelo Mio

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