Читать книгу Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V - Botta Carlo - Страница 2

LIBRO DECIMONONO

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SOMMARIO

Stato della Francia dopo le rotte d'Italia. Mala contentezza, e querele dei popoli contro il governo; loro desiderio universale di Buonaparte. Egli arriva dall'Egitto, e, distrutto il direttorio, reca in sua mano la somma delle cose col titolo di primo consolo. Indirizza i suoi pensieri alla conquista d'Italia, si accorda coll'imperator Paolo di Russia, ma non può coll'imperator Francesco, nè col re Giorgio. Suoi vasti concetti. Assedio di Genova, e generosa difesa fattavi dentro da Massena; resa della piazza.

S'avvicina il tempo, in cui l'Europa messa a soqquadro, ed a terrore dalla sfrenata licenza sotto nome di libertà, debbe far trapasso alla potestà assoluta sotto nome d'imperio; secolo turbolento, ambizioso e superbo, che tormentò gli uomini coi due peggiori estremi, poi loro lasciò la coda dello essere inabili ai benigni e liberi reggimenti. Era il direttorio constituito in assai difficile condizione. Bollivano molte parti in Francia, e tutte si volgevano contro di lui. La nazione Francese, impaziente delle disgrazie per natura, ancor più impaziente per la memoria delle vittorie, dava imputazione, per appagamento proprio, a' suoi reggitori delle rotte ricevute, e della perduta Italia. Moltiplici querele si muovevano in ogni parte contro di loro, e il meno che si dicesse, era, che non sapevano governare; perchè chi gli accagionava di tradimento, e chi del tenere il sacco a coloro, che con le ruberìe avevano ridotto i soldati alla penuria ed impossibilità del vincere. Quell'impeto, che era sorto pei tre nuovi quinqueviri, già era per le ultime rotte svanito. Dominava nei consiglj legislativi, secondo il solito, la perversa ambizione del voler disfare il governo per arrivare ai seggi del direttorio; dal che nasceva, che eglino così nel bene come nel male il direttorio contrariassero, nè vi fosse più modo alcuno di governare. I soldati nuovamente descritti non marciavano, i veterani disertavano per la strettezza dei pagamenti, le contribuzioni non si pagavano, ogni nervo mancava; la guerra civile lacerava le provincie occidentali, la discordia le meridionali; chi voleva le opinioni estreme, chi le mezzane; molti che sapevano molto bene quello, che si volessero, e molti ancora che nol sapevano, desideravano una mutazione. Nè questa mutazione era evitabile, perchè nissun governo può resistere in Francia alle sconfitte accompagnate dalla libertà dello scrivere e del parlare. La fazione soldatesca, che mal volentieri sopportava che il paese fosse retto dai togati, ed alla quale nissun governo piace se non il soldatesco, guardava intorno, se qualche bandiera chiamatrice di novità, ed alla quale potesse, come a centro comune, concorrere, all'aria si spiegasse, proponendosi di sottomettere, prima il governo col nome della libertà, poi il popolo col nome di gloria. Tutte queste cose vedevansi gli uomini savi, nemici della licenza; vedevanle i faziosi, amici della tirannide, e tutti pensavano al ridurle ai disegni loro.

In questa congiuntura di tempi, sovveniva agli uni ed agli altri il nome di Buonaparte, tanto glorioso per Francia, tanto temuto dai forestieri. Esso solo, dicevano, potere ritornar a sanità, e ridurre in porto le cose dello stato afflitto, esso rinverdire la gloria della desolata repubblica, esso ricuperare le tanto predilette regioni dell'infelice Italia. O fosse tradimento, o fosse incapacità, essere oscurato il nome Francese per immoderate disfatte, e già l'Europa tante volte vinta avventarsi contro le proprie terre di coloro che l'avevano vinta; esso solo, il conquistatore d'Italia, a se medesimo sempre consentaneo, avere alle repubblicane bandiere in lontani e barbari lidi conservato la vittoria; la fama dei prosperi fatti di Egitto consolare in parte gli animi attristati dalla calamità d'Europa; vedersi adesso, quanto un uomo solo possa per la salute degli stati da eccessive forze assaliti, e poichè morto era Joubert, e che Moreau e Massena non bastavano, perchè non richiamarsi in sussidio della patria cadente Buonaparte l'unico? Essere negli altri coraggio, essere ingegno, ma l'animo superatore di ogni fortuna, ma il pensiero comandatore, e piegatore di ogni volontà in un solo e generoso ed alto fine, in Buonaparte solo albergarsi: lui solo essere mezzo a moderare, e quasi un freno a tanti dispareri e sospetti: pruovassesi adunque quanto potesse una mente tanto potente, una felicità tanto costante: con Buonaparte Italico aver prosperato la repubblica, senza Buonaparte Italico essere caduta, con Buonaparte Italico ed Egiziaco avere a risorgere. A questo modo nasceva in Francia un desiderio accesissimo del capitano invitto. A lui si volgevano gli amatori della gloria militare, perchè il credevano capace d'instaurarla; i corrotti dall'appetito del comandare e del far sacco, perchè confidavano, che ai soliti imperj e depredazioni gli potesse ricondurre; i nemici della licenza, perchè sapevano ch'ei non l'amava, e che era uomo da poterla spegnere; gli odiatori della guerra civile, perchè speravano che l'avesse a terminare; i repubblicani ardenti, perchè non dubitavano che disfacesse il direttorio; i repubblicani quieti, perchè pensavano che avesse ad indurre un vivere libero senza eccesso; i dotti ed i letterati, perchè si promettevano di esser bene trattati da lui; i filosofi, perchè non ignoravano ch'ei sentiva molto liberamente nelle cose religiose, ed il riputavano amico della libertà civile; i fautori segreti dell'autorità regia, perchè avevano a loro medesimi persuaso, siccome le voci ne erano corse, e ne era stato qualche pratica, ch'egli fosse per consentire alla ritornata dei Borboni, e per restituire l'antica signoria loro in Francia. Ognuno come redentore il guardava, ognuno desiderava che tornasse a redimere la patria afflitta. Queste affezioni erano sorte nei popoli, parte per le disgrazie, parte per lo splendore delle vittorie, parte per le arti astutamente usate da lui e da' suoi fautori, talmente che ciascuno credeva, ch'ei fosse per fare ciò che ciascuno desiderava. Tanta è l'efficacia dei discorsi versipelli nelle discordie civili, perchè le sette o non comunicano, o non si prestano credenza fra di loro, e può chi sta sopra a tutte, lusingarle, aggirarle, ingannarle a suo grado, e sicuramente tutte. Se il savio fra i matti può tanto, è facile comprendere quanto possa l'astuto, che è un savio raddoppiato, e Buonaparte fu astutissimo. Insomma la materia era ben disposta a ricevere le Buonapartiane impronte. Adunque già fin da quando si erano udite le prime sciagure d'Italia, era sorto fra i desiderosi di cose nuove il pensiero di far tornare Buonaparte dall'Egitto, il qual pensiero si rinfrescò maggiormente, e si mandò ad effetto quando portò la fama, essere morto Joubert, combattendo nella battaglia di Novi. In questo disegno entrarono Sieyes quinqueviro, perchè vedeva, siccome uomo oculatissimo, che lo stato non poteva più durare con quella maniera di reggimento, Barras quinqueviro per la congiunzione antica, e forse per le speranze Borboniche, i generali superstiti dell'esercito Italico, eccettuato Massena, il quale non era punto affezionato a Buonaparte, ed i fratelli Giuseppe e Luciano Buonaparte che aspiravano al dominio. Molto accomodato a' suoi fini era il procedere di Luciano: affermava con gli amici, non potersi vivere con quella constituzione, doversene creare un'altra: col pubblico rammentava, e con vivi colori pingeva, prima le glorie, poi le sconfitte d'Italia; lamentava la Cisalpina oppressa dalla tirannide di Trouvé e di Rivaud; lodava e patrocinava l'Italia; predicava la libertà di Francia, conculcata, come diceva, da un direttorio prepotente ed arbitrario. Così, allettando, chiamava a se, ed al nome del suo fratello i gelosi della libertà e della gloria Francese, i desiderosi della libertà Italica, i cupidi delle spoglie Italiche. Viaggiavano le vele, erano quelle di un bastimento Greco, portatrici dei desiderj comuni verso l'Egitto, correndo la state del presente anno. L'avviso fu ed accetto, ed opportuno.

Buonaparte, che conosceva ottimamente per la sua mente pronta e vasta, per la perizia somma nelle faccende di stato, e per la cognizione profonda che aveva di questa umana razza, quanto piena fosse la fortuna che si parava davanti, e quanto fosse propizia la occasione di condurre ad effetto i suoi pensieri smisurati, parendogli eziandio, che un mezzo opportuno gli si offerisse di sottrarsi dall'Egitto, dove le cose sue cominciavano a declinare, cupidissimamente si avviava alle sue nuove e straordinarie sorti. Salpava dagli Egiziani lidi, conducendo con se i suoi compagni più fidati di guerra, perchè aveva bisogno delle mani e delle armi loro; i dotti ed i letterati più famosi, perchè si voleva servire, come di ajuto molto potente, dell'autorità, delle lingue, e degli scritti loro. Arrivava improvviso a Frejus: improvviso ancora, disprezzate le leggi di sanità, perchè non voleva che la fama del suo arrivo si raffreddasse, partendo, giungeva nel volubilissimo Parigi, che bramosamente l'aspettava. Io non mi starò a raccontare le allegrezze che si fecero in tutta Francia, quando si sparse la voce del suo ritorno: basta, che le genti corsero a lui da ogni parte, come a trionfatore, a salvatore, a redentore: già Francia era sua, quantunque uomo privato, e generale senza esercito fosse. Lione sopratutto tripudiava per un'insolita allegrezza, città ancor sanguinosa per l'imperio poco anzi spento dei truculenti giacobini, sdegnata per le leggi soldatesche, che contro di lei tuttavia vigevano. Toccò, passando, i tasti più teneri; favellò di pace, di prospero commercio, di ferite civili da racconciarsi da un giusto e mansueto governo. I Lionesi contenti speravano ed amavano. A Parigi, ogni opinione, ogni affezione si voltava a lui: dava buone parole a tutti, ma insomma pendeva al moderato, sapendo che tal era il desiderio universale. I letterati massimamente, o poeti, o non poeti, con ogni maniera più adulatoria si studiavano di compiacergli, e con infinite lodi innalzavano insino al cielo il suo nome. Il lusinghevole uso si propagava largamente: tutta Francia risuonava d'encomj; la libertà era perduta già prima che nata.

Cacciò Buonaparte a punta di bajonette i consigli legislativi, cacciò il direttorio, i soldati pagati dal governo si voltarono contro il governo: ebbe paura sulle prime, poi fece paura agli altri; chiamò pazzo chi credesse, che la realtà potesse prevalere alle repubbliche in Europa, poi spense tutte le repubbliche, e creò in ogni luogo la realtà. Conosce Europa il dì nove novembre, da cui poteva nascere un vivere moderato e libero, e che non pertanto partorì un reggimento duro, tirato, dispotico, e soldatesco. S'accorse tostamente Sieyes, che aveva trovato un padrone, non un compagno, Barras un uomo che il volle allontanare da se, non un amico che il riconoscesse dei benefizj, uno finalmente, che anteponeva la potestà assoluta, alla quale aspirava, all'antiche congiunzioni, ed alla gratitudine.

Incominciano le trilustri insidie. Buonaparte, dubitando che i Francesi non fossero per tollerare pazientemente la grandissima mutazione che preparava, e parendogli che a sostentare la sua immensa cupidità bisognassero fondamenti straordinari, apprestava con infinita accortezza allettamenti potentissimi. Fu maravigliosa l'arte sua nel vincere le battaglie, ma assai più maravigliosa fu nell'adescar le genti. A duro giogo le traeva; ma esso solo sapeva il fine. Spinte da gradite apparenze di lieto avvenire, da lusinghevoli speranze di contentati desiderj concorrevano cupidamente là, dov'ei voleva farle concorrere; nè mai frutti tanto amari si annidarono sotto sì dolci scorze. Pace dentro, pace fuori gli parvero i più forti fondamenti della sua potenza: i Francesi stanchi ed afflitti da sì lunghe guerre, pace sopratutto desideravano, purchè disonorata non fosse, del che non temevano con Buonaparte capo. A questi fini indirizzava egli principalmente i suoi pensieri. Speciale intoppo alla cittadina concordia gli parevano, ed erano veramente gli spiriti esagerati, i quali non potendo per ambizione riposare sotto alcuna potestà, nemmeno possono quando sono giunti essi alla potestà suprema, posciachè tirannicamente procedendo, decimano prima i popoli, poi se medesimi, e tutti i fondamenti dello stato fan rovinare; non gli era ignoto, che il nome di costoro era odioso in Francia; perciò fece avviso, che molto fosse, per operare a fine di concordia, il cacciare questi commettitori di scandali, di risse e di sangue: per la qual cosa, senza rimanersene ai formali giudizj, nè differendo contro di loro i rimedj severissimi, gli allontanava confinandogli in terre estreme o forestiere. Purgata la Francia da questi uomini turbolenti, pensava al ribandire dal lungo esiglio coloro, che avevano seguitato la parte del re, od almeno detestato le esorbitanze, che ai tempi più acerbi della rivoluzione si erano commesse in Francia. Pochi furono eccettuati dal clemente editto, piuttosto per lasciare un appicco a nuove grazie, che per altro fine. Rientravano gli esuli, non sotto i tetti proprj, non nei beni loro posti al fisco, ma a rivedere i monti, i fiumi, le valli, e l'aere natio; il che era pur parte di felicità. Gradivano infinitamente queste cose agli amatori del nome reale, e ne auguravano delle maggiori. Della contentezza loro godeva il consolo, volendo arrivare alla dominazione assoluta coll'appoggio dei regj, e dei repubblicani. In questi pensieri tanto più volontieri si confermava, quanto non dubitava, che sarebbero andati a grado delle potenze Europee, siccome quelle che vi vedevano l'intenzione data da lui nei campi di Leoben e di Campoformio, di voler rimettere i Borboni, desiderio primo e principale dei principi, massimamente dell'imperatore Paolo. Sperava, nella cupezza sua, che con questi mezzi acquisterebbe pace con Europa, e tanta potenza in Francia, che senza pericolo potesse finalmente scoprirsi dello aver preso il dominio per se, non per altri. Il reggimento statuito da lui in Francia, in cui parti principalissime erano il senato ed il corpo legislativo, non gli dava apprensione, perchè del senato lo assicuravano le ricchezze, del corpo legislativo le ambizioni. L'avere poi ridotto le amministrazioni delle province ad uno invece di molti fece gli ordini meglio eseguiti, l'erario pingue: ogni cosa si volgeva alla monarchìa. Correndo i soldi, i magistrati obbedivano, i soldati marciavano: tutti benedicevano il consolo. Credere, che i principj astratti prevalgano alle borse piene, è cosa da pazzo.

A tutti questi maneggi gran momento arrecavano gli scienziati ed i letterati, siccome quelli che avevano molta autorità sui popoli, massimamente in Francia, dove erano uniti in certa spezie di congregazione, non per legge, ma per uso. Per la qual cosa il consolo gli accarezzava, gli arricchiva, gl'ingrandiva. Adulava l'instituto, e l'instituto lui. In questo non tutti andavano allo stesso modo. Alcuni s'accostavano a lui per gli allettamenti, altri per fin di bene, credendo, o che egli andasse per se, o che il potessero tirare colle persuasioni a volere la libertà. Piacemi fra questi nominare Cabanis, nel quale se fosse maggiore o il ben pensare, o il ben dire, o il bene scrivere, o il ben fare, io distinguere non saprei: certo tutte queste qualità erano in lui molto eminenti. Questo edifizio degli scienziati e dei letterati molto il puntellava, parendo a tutti, che a chi piacevano gli uomini civili, dovesse anche piacere la civiltà, e con lei la libertà, la quale sarebbe il compimento, e quasi il fiore della civiltà, se gli avari e gli ambiziosi non la guastassero.

Grande flagello, da che aveva principiato la rivoluzione, era sempre stata la guerra della Vendea, nella quale con infinito furore combattendo e repubblicani e regj, avevano sterminato popolazioni intiere, desolato paesi altre volte fioritissimi, commesso quello che solo commettono nelle civili discordie, e forse neanco in queste gli uomini arrabbiati gli uni contro gli altri. La forza non l'aveva potuta spegnere, perchè irritava, le tregue nemmeno, perchè mal fide: ormai si nominava guerra interminabile. S'accorgeva il consolo, quanta grazia acquisterebbe fra i popoli, se pacificasse quelle terre rosse di tanto sangue Francese: applicovvi l'animo, venne a capo dell'impresa. Fra il terrore del suo nome, l'apparato de' suoi soldati, le promesse di osservar la fede, le speranze segretamente date di voler procedere più oltre, vennero i capi della Vendea ad una onesta composizione: la concordia tornava sulle rive dell'insanguinato Ligeri; Parigi maravigliato vedeva i capi della Vendeese guerra. Ammiravano i popoli il consolo pacificatore, uguale nel far le guerre, uguale nel far le paci.

Forti amminicoli a quanto macchinava, pensava che fossero gli uomini di chiesa tanto maltrattati dal direttorio. Volle tirargli, e il fece agevolmente. Diè patria ai preti fuorusciti, libertà ai carcerati, sicuro vivere ai nascosti. Queste cose faceva apertamente, molte altre prometteva segretamente: i preti tutti, anche quelli che col crocifisso in mano avevano concitato le Vendeesi popolazioni contro i repubblicani, amavano e fomentavano la sua grandezza. S'aggiunse, che onorò con pietosi uffizj Pio sesto, papa morto, che aveva perseguitato vivo. Ordinava per lui solenni esequie in Valenza di Delfinato; il chiamava giusto, virtuoso, santo; affermava, avere per forza, e per mali consigli fatto guerra a Francia. Questo favellare maravigliosamente piaceva a coloro, che sentivano ancora di religione, massimamente ai ministri di lei. Già non solo vincitore e riformator generoso del governo, ma ancora instaurator pio dell'antica religione di Francia il chiamavano. Vacando il trono pontificale per la morte di Pio sesto, eransi a questo tempo adunati i cardinali in conclave a Venezia per intendere alla elezione del nuovo pontefice. Temeva il consolo, che si creasse, dovendo la elezione farsi in luogo suddito all'Austria, un pontefice troppo aderente a questa casa con pregiudizio degl'interessi di Francia e proprj. Perciò andava moltiplicando ne' suoi segni di affezione verso la religione, e nutriva con grandi speranze i ministri di lei. Si poteva facilmente pronosticare da questi primi favori, ch'ei voleva venirne, quanto alle faccende ecclesiastiche, ad ordini legittimi e definitivi. Ciò era cagione che i cardinali raccolti in Venezia non disperassero di Francia, e non consentissero ad innalzare al pontificato un cardinale, che si fosse dimostrato troppo contrario a lei. Si aggiungeva a favore di Francia e del consolo, che non senza grave sospetto stavano i cardinali intorno alle intenzioni dell'Austria rispetto al patrimonio della chiesa. Le dimostrazioni da lei fatte di aver voluto far correre a Roma Froelich, lo avere lui penato a ratificare la convenzione conclusa tra Garnier, gl'Inglesi ed i Napolitani, e molto più il desiderio, anzi la volontà evidentemente scoperta dall'Austria di serbarsi le legazioni, gli avevano messi in sentore. Perlocchè desideravano di assicurarsi dell'Austria per mezzo dell'amicizia di Francia. Questi umori erano astutamente fomentati dal consolo e gli dettero facilità di fermare le cose di Roma. Oramai si era accorto, che invece di combattere contro l'Europa e la santa sede, era arrivata la stagione, in cui egli poteva combattere, della santa sede servendosi, contro l'Europa; e siccome si era pruovato, che il gridare libertà senza religione aveva avuto cattivo fine, si risolveva a gridare libertà con religione insino a tanto che le radici della sua potenza essendo ferme, potesse spegnere la prima, e muovere a suo talento la seconda: tutto si volgeva a sua grandezza.

Ma primo ed universale desiderio della Francia tanto rotta e sanguinosa, era la pace. Questa inclinazione assecondava il consolo, non che sperasse di ottenerla con tutti, ma l'offerirla a tutti gli pareva confacente a' suoi pensieri. Questo ad ogni momento inculcava, per questo essere venuto dall'Egitto, abborrire la guerra, abborrire i conquistatori, pregare Iddio, che gli concedesse tanto di vita, che potesse dar pace alla Francia, pace all'Europa afflitte; solo per questo desiderar di vivere, la guerriera gloria essergli venuta a tedio, solo piacergli la pacifica. Questi discorsi faceva con sì efficaci parole, e con fronte tanto pietosa, che tutto il mondo credeva che fossero sinceri.

Pensava, che a' suoi fini molto valesse, e fosse molto ricercata dalle cose presenti, se non la pace, la offerta almeno della pace all'Inghilterra. Scriveva una molto bene elaborata lettera al re Giorgio: la guerra avere forse ad essere eterna? Non esservi forse alcun modo di finirla con qualche onesta composizione? Due nazioni grandi e potenti dovere forse porre in non cale la ricchezza dello stato, la felicità delle famiglie? Non sentir loro, non toccar con mano, la pace siccome è la cosa più desiderata di tutte, così ancora essere la più gloriosa? Sapere, che la Francia, e l'Inghilterra potevano per la potenza loro ancora molto tempo straziarsi, ma sapere ancora, che il destino di tutte le nazioni pendeva dal fine di una guerra, per cui tutto il mondo ardeva. Rispose acerbamente per bocca del ministro Grenville il re Giorgio, avere la Francia desolato la terra, avere i medesimi principj e le medesime cagioni a partorire i medesimi effetti; essersi servita dei trattati di pace, dei trattati d'alleanza a distruzione degli amici, e degli alleati suoi; non sapersi, se il governo nuovo prodotto da una rivoluzione nuova fosse per cangiar d'opere, ed offerisse maggiore sicurtà a chi trattasse con lui; non potersi fidare in proteste generali di desiderj pacifici; non vane parole, ma l'esperienza sola poter convincere altrui, che altro si voleva adesso, da quello che si era voluto prima; desiderare il re la pace, ma sicura per se, sicura pe' suoi alleati; solo, e fidato mezzo di sicura pace essere il rimettere in Francia quella stirpe di principi, che per tanti secoli l'avevano governata con prosperità dentro, con dignità fuori; nondimeno ciò accennare solamente il re alla Francia, non richiedernela; non volere, nè pretendere prescrivere forma di reggimento, o capi ad una nazione grande e potente; solo volere la sicurezza sua, solo volere la sicurezza de' suoi alleati; essere per venir volentieri ad un accordo, quando giudicasse di poter convenire con sicurezza, ma per ancora non conoscersi sufficientemente i principj del nuovo governo, non congettura probabile potersi fare dalla stabilità sua. A questo modo furono abbandonati i ragionamenti della concordia tra Francia ed Inghilterra. Pure ciò conseguì il consolo, che la continuazione della guerra s'imputasse non a lui, ma al re Giorgio.

Erano tra Francia ed Inghilterra odio vivo, interessi diversi, vicinanza gelosa, pace difficilissima: molto diverse condizioni passavano tra Francia e Russia. Era l'Austria alleata naturale dell'Inghilterra, la Russia per caso. Ciò si sapeva il consolo; neanco ignorava quali freddezze corressero allora tra Francesco e Paolo. L'avere l'Austria voluto por piede in Roma, il non aver voluto rimettere il re di Sardegna, l'essere stati i suoi soldati aspramente trattati da Froelich, l'avere l'arciduca Carlo abbandonato, correndo verso il Reno, Suwarow in grave pericolo nella Svizzera, il manifestare in ogni cosa il desiderio di un dominio universale in Italia, avevano raffreddato l'ardore di Paolo, e fattolo indispettire contro il suo alleato, ancorachè egli medesimo non avesse avuto l'animo alieno dallo avere un seggio sicuro, per servirsene come di emporio e di scala, nel regno di Napoli, effetto, che aveva tentato di conseguire per recenti negoziati col re Ferdinando. Questa mala disposizione dell'imperatore Paolo verso l'imperatore Francesco astutamente fomentava Buonaparte, vivamente rappresentando al primo l'ambizione del secondo: volere, diceva, oltre gli stati di Venezia, datigli in compenso dei Paesi Bassi, tenersi ancora lo stato di Milano, e Mantova, ambidue conquistati in gran parte col valore, e col sangue dei soldati Russi, nè contento a questo, appetire le tre legazioni del pontefice; avere altresì capriccio sul Piemonte, e per questo avere ostato a Suwarow, quando voleva restituire al suo antico seggio il re Carlo Emanuele; quanto a lui non fare altro disegno sopra l'Italia, se non quello di ridurla alle condizioni di Campoformio, di render sicura la independenza del pontefice e del re di Napoli, di dare sesto conforme, ed ordini più monarcali alla Cisalpina, di rimettere in Piemonte il re di Sardegna, quando non si trovasse altro mezzo di un onesto compenso. Quanto all'Inghilterra, rammentava il suo insolente dominio sui mari, la generosità di Caterina dell'averlo voluto frenare, la libertà del Baltico, e la franchigia dei neutri ai tempi di guerra con magnifiche parole commendando. Aggiungeva a tutte queste insinuazioni certe espressioni, che indicavano a Paolo la sua intenzione di dar compimento alle pratiche incominciate per mezzo del conte d'Entraigues della rinstaurazione dei Borboni. A sì fatte promesse e protestazioni si lasciava muovere Paolo: il consolo, per fargli dar la volta intieramente, pagava, provvedeva di tutto punto, e rimandava liberi al loro signore i soldati Russi fatti prigionieri nelle guerre di Svizzera e d'Olanda. Parve atto generoso, ed arra conveniente dei disegni avvenire. Da tutte queste cose mosso il sovrano di Russia, voltando lo sdegno, siccome quegli che era subito nelle sue risoluzioni, da Francia contro Inghilterra, nè vedendo, perchè era di animo sincero, quello che covasse sotto alle lusinghevoli parole del consolo, il riceveva nella sua amicizia, e si riduceva alla sua volontà, dichiarando, non voler più partecipare nella lega, e richiamava in Russia le sue genti, che ancora stanziavano in Germania. Poscia, accendendolo vieppiù le speranze dategli, rinnovava contro la potenza marittima dell'Inghilterra i patti della lega del Nord, cacciava da Pietroburgo gli agenti del re Giorgio, imputando agl'Inglesi l'esito infelice della spedizione d'Olanda. Così Paolo, scostandosi dall'amicizia d'Austria e d'Inghilterra, si precipitava in quella di Francia. Parve a tutti, ed era veramente questa mutazione di grandissima importanza, e fu forte sostegno all'esaltazione del consolo.

Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V

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