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CAPITOLO OTTAVO

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Lenore si augurava la morte mentre era seduta sul cavallo, con le mani legate davanti a sé e la presa di Ethir attorno alla vita a tenerla salda sul posto. Attorno a loro, gli altri Taciturni trottavano; i cavalli avanzavano in una fila quasi silenziosa e coloro che li guidavano lo facevano con le mani sullo strano assortimento di armi che portavano.

Inizialmente aveva sperato di fuggire, ma i Taciturni le avevano dimostrato già due volte che non aveva modo di scappare da loro. L’avevano catturata senza difficoltà, imprigionandola nella locanda e acciuffandola di nuovo senza problemi quando aveva tentato la fuga. Non aveva via di scampo.

Aveva poi sperato di essere salvata. Lenore era stata certa che sarebbe accaduto, grazie ai Cavalieri dello Sperone che cavalcavano all’orizzonte, o a Rodry, o persino a Vars insieme agli uomini che avrebbero dovuto proteggerla. Lì, all’aperto, non potevano abbattere quei dodici e sconfiggerli? Non potevano salvarla?

Tuttavia, a ogni lega che passava, quelle speranze si affievolivano; a ogni passo dei cavalli, era più vicina ai ponti e più lontana da qualsiasi aiuto potesse ricevere. Lenore riusciva già a scorgere il più ampio dei ponti in lontananza, la sua campata si allungava sullo Slate, con un metro dopo l’altro di legno scuro.

C’erano delle guardie all’estremità del ponte, forse una dozzina, ma a mano a mano che Lenore e i Taciturni procedevano, sapeva che non avrebbero potuto fermare una forza come quella. Quelle guardie potevano fermare i contrabbandieri o buttare giù il ponte in caso di invasione, proteggendo il regno con la furia del fiume, ma non erano abbastanza numerose da impedire che venisse portata a sud e non si aspettavano certo di dover combattere una forza proveniente da nord. La maggior parte di quegli uomini non stava neanche guardando dalla sua parte, mentre veniva scortata dai Taciturni; al contrario, erano rivolti verso il fiume, per assicurarsi che non arrivassero minacce dall’altro lato.

Vide alcuni di loro voltarsi al rumore dei cavalli che si avvicinavano, ma era troppo tardi. Il primo dei Taciturni stava già attaccando; abbatté la prima guardia con la spada, affondò il coltello in un’altra. Si scagliarono sulle sentinelle e non fu neanche un combattimento vero e proprio. La maggior parte degli uomini laggiù non riuscì neanche a estrarre la spada e, di quelli che lo fecero, quasi tutti morirono senza neanche arrivare a usarla. Uno azzardò un colpo goffo verso uno dei Taciturni, ma la pura e semplice verità era che i sorveglianti dei ponti non erano i guerrieri più brillanti del regno, ma solo uomini addestrati per stare lì fermi in eterno, a gestire i traffici fra i due lati del ponte. L’ultima guardia morì tanto in fretta quanto le altre, uno spruzzo di sangue le uscì dalla gola mentre uno dei Taciturni gliela apriva con una spada.

I rapitori di Lenore si fermarono lì per un secondo o due, pulendo le loro armi prima di procedere e quello dette modo alla principessa di lanciare uno sguardo al di là del ponte, scorgendo quella costa lontana e gli alberi che giacevano oltre a un tratto di campo aperto. Quello era un terreno che non apparteneva a suo padre, un terreno dal quale non poteva immaginare che qualcuno l’avrebbe riportata indietro.

“Ci siamo quasi,” mormorò Ethir alle sue spalle. “Re Ravin si divertirà molto con te, Principessa.”

Lenore pensò a tutte le cose che le erano capitate il giorno precedente e a tutte quelle che potevano ancora succederle. Re Ravin non era noto per la sua gentilezza e se l’avesse avuta come prigioniera… Lenore si trovò a sperare di nuovo di morire, perché persino la morte sarebbe stata meglio di ciò che poteva capitarle a sud.

Il trono dei draghi

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