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I.

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Il dí che in Firenze per frenesia di Francesco De' Medici era imposta su 'l capo di Bianca Cappello la corona di granduchessa, in Bologna Ercole e Alessandro Bentivogli facevano “dinanzi a casa loro correre a' cavalli dei Monari dodici braccia di grossogron et una berretta di panno in segno d'allegrezza„; ma Pasquino domandava al conte Ulisse Bentivogli, il quale da tre anni era marito a Pellegrina figliola di Bianca e di Pietro Bonaventura:

Si Cosmi titulos Virgo foedavit Hetrusca

Quid faciet meretrix, heu, peregrina tibi?3,

[pg!18] e nella interrogazione epigrammatica rideva una profezia. Spiace per altro non conoscere tutti i miracoli di cotesta contessa, che, se vera la storia, un'ultima colpa condusse a perire in età di trentaquattro anni piú miseramente di sua madre.

Il matrimonio del Bentivoglio, celebrato con gran pompa a Bologna il 24 agosto 1576 — recando la sposa allo sposo una dote di trentamila scudi e una beltà ancor puerile ma già meravigliosa4 —, era stato “di poca soddisfazione al paese„; onde il conte avea presa dimora a Firenze. Pure il 23 febbraio 1578, in occasione d'una breve gita di Bianca e Pellegrina a Bologna, “la prima nobiltà della città, sí di cavalieri che di dame„ era mossa ad incontrarle, “per rispetto al Granduca, per essere la detta Bianca sua cosa„5; cosí come ad onore della figlia non piú d'una concubina, ma d'una granduchessa, il 22 dicembre 1583 furono incontro ai coniugi Bentivoglio, di ritorno per qualche mese alla patria, “quarantaquattro carrozze di dame e gran numero di cavalieri a cavallo, oltre li cavalli [pg!19] leggieri; et il Bentivoglio era a man destra di Pirro Malvezzi, non ostante che fosse senatore e de' collegi„6. Nell'aprile dell'anno appresso Pellegrina si recò di nuovo a Firenze per assistere alle nozze di Vincenzo Gonzaga e di Eleonora De' Medici, e solo il 13 febbraio 1588, ma questa volta per sempre, riprese ad abitare in Bologna.

Con la fresca e fosca rimembranza della morte di sua madre si contenne allora in vita solinga? No, ché sentiva bisogno di distrazioni; e a primavera di quell'anno medesimo ebbe voglia, lasciando il marito a casa, di fare una scappata a Venezia in allegra compagnia di dame e gentiluomini; e ad autunno, nella venuta de' duchi mantovani, si compiacque d'apparire per grazia e per fasto la prima gentildonna che fosse in Bologna a quel tempo7.

Ma se delle qualità vere della persona e credute dell'animo suo avevano pure in Firenze diffusa l'ammirazione Francesco de' Vieri detto il Verino, dedicandole il [pg!20] Discorso della grandezza et felice fortuna d'una gentilissima et gratiosissima donna qual fu Madonna Laura8, e maestro Fabrizio Caroso offrendole tra i balli di sua composizione una “cascarda„ con a tema musicale un sonetto che comincia:

Luci beate ove s'annida Amore,

Vivi raggi del sol, dolci facelle

Che le piú gelide alme e le piú belle

Infiammate di santo e pure ardore9

quegli che di lei ci lasciò il piú ingenuo ricordo fu il poeta bolognese Cesare Rinaldi.

Nel 1590 egli le porgeva la terza parte delle sue rime dicendole: “L'esser piaciuto a V. Eccellenza Ill.ma di favorire talora le sue rime della vista, della voce et del giudicio suo, ripieno di tanta acutezza et accortezza insieme, onde mostra la perfetta cognizione che ha di ogni bella virtú, mi ha facilmente indotto a credere che parimente non debba sdegnare di riceverle se nello uscir fuori a scorrere il mondo in istampa, non meno create di dentro che segnate di fuori del suo Ill.mo Nome, ora ritornano tutte insieme nelle sue onoratissime mani, donde sono partite, non altrimente [pg!21] che si faccia, come dicono, il fiume Meandro, il quale favorito da tanti canori et bianchissimi cigni alle sue rive con le loro meravigliose armonie, pare che nello scorrer il paese, ritorcendo il suo corso et raggirando, colà se ne ritorni donde partí, quasi allettato dalla dolcissima soavità dei cigni, come.... (coraggio, che il periodo finisce adesso e finisce bene!).... come le mie rime da quella di V. Ecc.za Ill.ma, veramente umano et candidissimo cigno in ogni virtú et regal costume„10.

Candidissimo cigno in ogni virtú la figlia di Bianca Cappello? Ohibò!; e le rime son troppo “create di dentro„ co 'l nome di lei:

Cauto a gl'inganni Amor l'armi depose,

L'ale agli omeri strinse e le coperse:

Di pellegrino in forma ei mi s'offerse

E pellegrina idea nel cor mi pose.

Or vo pellegrinando....

A l'ombra di duo neri archi sottili

Due pellegrine stelle il mondo ammira....

Qual or io ti vagheggio,

Pellegrina gentil, misto in te veggio

Col celeste il mortai, col nero il bianco:

[pg!22]

(allusione, pare, alla sua bellezza):

Sotto l'oscuro velo

Scopro candor di Delo;

Sotto la spoglia frale

Scerno virtú immortale,

Ond'al mirar non è l'occhio mai stanco;

Miro e mirando i' godo, e 'n viso adorno

Scorgo la terra e 'l ciel, la notte e 'l giorno....

.... Quale al nascer di Palla alta e immortale

Versò dorato nembo

Sovra Rodi dal ciel l'eterno Giove,

Tali e piú care a te piovvero in grembo

Nel felice natale

Nove grazie d'amor, bellezze nove.

Folle chi mira altrove,

Che 'l bello è in te raccolto,

Vertú nel petto et onestà nel volto:

S'impresse a mille il tuo valor nel seno,

Quando coi pensier casti

Pellegrinasti, o Pellegrina, al Reno.

Qui ten vivi al tuo sposo onesta e bella

Sotto il soave giogo,

Qual Penelope fida al caro Ulisse....

Ma durante l'assenza del “caro Ulisse„, il quale nel 1595 fu con Antonio De' Medici alla guerra in Ungheria11, il poeta dovette farse avvedersi come era fallace la virtú da lui cantata immortale e come la non fida Penelope sapeva intessere varie tele di colpe. [pg!23]

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