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IV.

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Nel 1613 Ferdinando Gonzaga rinunciando al cappello cardinalizio e assumendo nome e potere ducale concesse ad Andrea Barbazza l'ufficio di cameriere segreto [pg!30] e l'onore di intimo consigliere. Ma presto il poeta sentí noia della corte di Mantova, e poiché aveva trentadue anni e nell'amor delle muse non trovava tutti i conforti che sono nell'amor delle donne, venne a Bologna a prender moglie: una figlia del conte Ulisse Bentivoglio Manzoli e di Pellegrina Bonaventura, quella tal signora famosa per errori e bellezza, pareva fatta per lui. E la sera del 23 aprile 1614 fu conchiuso il matrimonio con rogito del notaio Ercole Fabrizio Fontana, e tre giorni dopo la contessina Bianca Bentivoglio e il cavaliere Andrea Barbazza, testimoni i conti Battista Bentivogli e Alessandro Barbazza, si giurarono fede eterna nella chiesa di San Martino Maggiore21.

Né alla solennità delle nozze mancò l'omaggio della poesia in forma d'un portentoso sonetto epitalamico dell'immortale Marini:

Vide Tebe due soli a le nefande

Opre crudeli, allor che 'l fier Tieste

Le mense formidabili e funeste

Colmò di sozze e tragiche vivande.

[pg!31]

E due ne vide ancor Roma la grande,

Quando l'esequie dolorose e meste

Pianse di lui, ch'or nel seren celeste

Fatto lucida stella, i raggi spande.

Ecco or su 'l picciol Reno a gli occhi nostri

Non minor meraviglia il Ciel produce,

Non d'orror ma d'onor prodigi e mostri.

Coppia, ov'arde valor, beltà riluce,

Tu quasi un sole a noi doppio ti mostri,

O de la fosca età gemina luce22.

In Bianca riluceva la beltà della nonna e della madre; era un angiolo, e ce l'attesta una lista di “motti„ pubblicati anni dopo e ricopiati poi dal Ghiselli, nella quale essa per un verso solo ebbe lode piú grande che tutte le belle gentildonne bolognesi del tempo suo. Giacché poco importa che a Francesca Sampieri convenisse dire:

Santi i costumi son, sante son l'opre,

e a Laura Pepoli:

Alma real degnissima d'impero,

e ad Orsina Leoni Magnani:

Al tuo presumer ben s'agguaglia il merto.

Non stimo grave danno non aver veduta Isabella Angelelli

Nelle ruine ancor bella e superba;

[pg!32] forse fu piena di grazia Benedetta Pinelli Ercolani

Oh quanto è ritrosetta, oh quanto è schiva!,

e furon forse desiderabili Imelda Lambertini,

Primavera nel volto e nella testa,

e Pierina Legnani:

Bruna sei tu ma il bruno il bel non toglie;

dovette anche recare certa consolazione piegare a soavi atti donne come Costanza Cospi,

Un sí bel viso, un cuor di tigre e d'orsa!;

Aurelia Marsili,

Beltà ch'asconde un cuor ritroso e schivo;

Laura dall'Armi,

Mirata de ciascun passa e non mira,

e la contessa Bianchi

Campeggiar d'occhi e fulgorar di sguardi;

né dovettero spiacere le carezze di Ginevra Isolani

Oh bella man che mi trafigge il cuore!;

ma quale de' gentiluomini bolognesi non avrebbe ceduto magari l'amore di tutte per [pg!33] l'amore della sola Bianca Bentivogli Barbazza

Alli spirti celesti in vista eguale —?23

Dicono che Bianca Cappello ebbe i capelli biondi e gli occhi neri (io non ricordo la tela in cui la ritrasse il Bronzino); il poeta Rinaldi pareva ammirare in Pellegrina Bonaventura il candore della carnagione nel lume dei neri occhi e nel riflesso dei capelli neri; a Bianca Barbazza, rassomigliante in questo alla madre piú che alla nonna, fu pure attribuita la vivacità del “nero e del bianco„ in altra serie di “motti„, parte satirici e parte laudatori. Eccone alcuni:

Piombino da muratore — Virginia Ricordati Maranini

Il zibellino — Dorotea Albanesa Bulgarini

La mula del papa — N. Simoni Peppia

Il guardo soave — Diana Barbieri Rinieri

Il parapetto — Caterina Caccialupi Alamandini

La Ninfa — Livia Rossi Fantuzzi

La modesta — Camilla Beri Bandini

La tramontana — Camilla Orsi Leoni

La buona — Camilla Orsi Ghisellieri

La favorita — Doratrice Oro Gambari

La matrona — Silvia Orsi Sampieri

[pg!34]

La pensosa — Valeria Lambertini Guidotti

La buona notte — Claudia Fantuzzi Paltroni

Il delfino, La cassa di noce — Camilla Fantuzzi Bandini

Il buondí — Clementina Orsi Ercolani

Il falcone — Orsina Foscherari Favi

L'Armida, Il Giardino d'Amore — Lodovica Amorini Campeggi

La parlatrice — Olimpia Guerrini Ghiselli

La splendida — Ippolita Campagni Ghiezzi

Il bianco et il nero — Bianca Bentivogli Barbazzi24.

Ma le sembianze di Bianca Bentivogli meritaron ben altro che l'insulsa indeterminatezza di questi attributi! Ella, “sole di beltà„, come la chiamò il Malvasia nella Felsina pittrice, per arte di Guido Reni si rivide immortale in figura d'una Cleopatra che Andrea Barbazza acquistò, non so l'anno, e Antonio Bruni credette di rendere in rima:

.... Non sembra in tela espressa,

Perché il pittor l'avviva, amor l'ancide;

Le dà spirto il pennel, l'angue l'uccide25.

Cosí dunque, con lieve sforzo di fantasia, possiamo imaginare Bianca nell'effusione di tutto il giovanile splendore a quella festa che né pure un anno dopo le sue nozze, al carnevale [pg!35] del 1615, fu data nel palazzo del Podestà, e che per magnificenza d'apparati e vestiari e novità d'invenzione e per la nobiltà dei cavalieri che vi tornearono — con essi anche il Barbazza e il fratello di Bianca Alessandro — parve meravigliosa e degna d'imperituro ricordo26.

Ne era venuta l'idea a parecchi gentiluomini i quali avendo ricercato una sera, come solevano di frequente per passare le ore, “qual fosse la piú espedita via d'acquistare la grazia dell'amata donna„, né essendo riusciuti ad accordarsi sulle varie proposte, avevan risoluto di rimettersene al giudizio delle armi. Detto, fatto; e per l'operosità in ispecie di Gabriele Guidotti, che inventò favola e macchine, curò l'allestimento del teatro e instruí i cavalieri, il 2 marzo a un'ora di notte tutta l'eletta società di Bologna poté convenire all'atteso divertimento.

Tre ordini di gradini e tre ordini di logge accolsero gli spettatori: nei gradi a mezzodí le dame; di fronte a loro il cardinal legato Capponi e i magistrati; a destra e [pg!36] a sinistra i cavalieri. Nella scena dell'azione s'ergeva un tempio dorico circondato d'alberi; nell'alto, al principio, s'aprí una nube e apparve Giove in mezzo agli dei; e a lui Venere, con a lato il figliuolo cui accennava, chiese licenza di scendere in terra per soccorso e consiglio delle misere donne. Giove, manco a dirlo, assentí, e la nuvola si rinchiuse. Ed ecco uscire dal tempio un coro di sacerdoti, i quali si disponevano a sacrificare alla dea un leone un capro e un drago, quando a suono d'una musica sí dolce che — asserisce uno il quale l'udí, non io — “tutti gli spettatori sembrava ardessero del soavissimo fuoco d'Amore„, comparvero Venere e il figlio e l'amico di casa, Marte. Amore liberò le belve dall'imminente sacrificio:

E questo altar or sia — disse

Il tribunale ove porrò la seggia

Per giudicar de' cori

Quali sian di pene e premi

Meritevoli ardori.

Un Amorino venne a querelarsi al picciolo Iddio di certa giovinetta che aveva [pg!37] abbandonato l'amante suo, ma poiché Venere difese la colpevole e poiché Marte, il quale aveva ragioni sue proprie di contraddizione alla dea, sostenne il cavaliere amante, bisognò trovare la fine del contrasto in particolari certami e in un generale torneo. Veramente ci fu ad intermezzo la comparsa della Gelosia in forma di larva orrenda con uno stuolo di “mostri neri ignudi alati„ e “con uno strepito di anime perdute„ in una voragine di fuoco; ma come la femmina maligna non riuscí a “mettere contagio nell'anima degli spettatori„ — asserisce uno spettatore, non io — posso risparmiarne la descrizione.

E siamo cosí al meglio dello spettacolo. Arrivano due tamburini, ventiquattro paggi con scudi, e sei staffieri con due azze, due picche e due mazze; e dietro loro i cavalieri padrini del mantenitore, Francesco Cospi e Giovan Gabriello Guidotti; poi infine il mantenitore di Venere, Alessandro Bentivoglio, “vestito di morello e d'argento; calza intiera con tagli di cordelle d'argento, foderate di tela d'argento e morella, e strascinandosi [pg!38] dietro lunghissimo manto di seta morella, ricamato di fiori d'argento e di vari colori, tempestato di grosse gemme e perle, con cimiero altissimo di piume in pomposa mostra„. Di contro a lui, in una pianura, sorge uno scoglio con sópravi una donna — la Terra! —, che esorta le donne ad amare e cantare le lodi di Amore e quindi se ne va, mentre giunge una testuggine (qualcosa come il cigno wagneriano) recando con i loro padrini i due cavalieri Florimanno e Ribano — Alessio e Giovanni Orsi —, i quali vengono a sostenere “che la virtú non è compagna d'Amore„. Ma mal per essi, giacché Candauro, ossia il Bentivoglio, li abbatte entrambi. E sparisce la scena e apparisce il mare in cui s'eleva Proteo a dire anche lui non so quali belle parole: indi due altri cavalieri arrivano per farsi vincere dal cavaliere di Venere. Seguono due altri condotti da Iride, dei quali pure avviene l'abbattimento, e poi....

“... udissi un rimbombo.... et il cielo incominciò a rosseggiare, e balenando e fiammeggiando in guisa che parea che egli [pg!39] veramente ardesse, e a poco a poco radunandosi tutte quelle fiamme in globi, formarono come nuvola di fiamme in mezzo della quale udivasi la voce di persona, che rassomigliava il Fuoco, e cosí diceva de' suoi cavalieri:

E questi miei di vive fiamme ardenti,

Fiamme, che il loro Amor, che l'altrui sdegno

Si nutre al cor cocenti,

Non troveran da te pace e pietade,

Rigida inesorabile beltade?

Io qui con lor, donne gentili, vegno

Per palesarvi solo,

Nel fiammeggiante lor tacito aspetto,

Qual sia la pena e 'l duolo

De l'infocato petto....

“Dopo le quali parole chiusasi la nuvola, continuamente spargendo raggi e faville di odorate fiamme, venne ad abbassarsi infino all'orizzonte, e quivi scoppiando con molti tuoni e baleni, espose fuori.... (oh meraviglia!).... il signor Andrea Barbazzi, cavaliere dell'ordine di San Michele e giovane di animo eguale alla grandezza del suo nascimento et di vero valore, et insieme il signor Ippolito Bargellini, non inferiore di generosità [pg!40] d'animo et di altezza di pensiero a chi si sia, i quali erano vestiti superbamente con calze intiere alla spagnuola, a tagli di cordelle d'oro e d'argento, foderate di tela d'oro ardente, con fiamme rosse, con le facelle di fuoco ardente in mano, cimieri altissimi fabbricati con piume rosse e fiori d'oro, a guisa di lingue di fiamme, che in forma di piramide ascendevano al cielo....„. “Li seguivano due gran Ciclopi ignudi, se non in quanto erano ricoperti vagamente in parte nel petto e nei fianchi da drappi dell'istesso colore del quale erano vestiti i primi; portavano due gran facelle nelle mani accese et pesanti martelli, et avevano un sol grand'occhio in mezzo la fronte; la faccia affumicata e rabbuffati i crini, e barba folta, sicché propriamente parevano Sterope e Bronte che venissero dalla fucina di Volcano e da gli incendii etnei ad accompagnare i cavalieri ardenti„. E tanti altri cavalieri successero che se ne composero squadre e, seguendo il torneo generale, gli eroi, sempre per divergenza d'opinioni intorno [pg!41] il miglior modo d'amare, “incominciarono con li stocchi in tal maniera a ferirsi che fecero impallidire i sembianti ed agghiacciare di gelata paura il cuore a molte di quelle bellissime dame„. Ma a conforto di esse si fé innanzi Amore a comandare tregua e quiete e a dar la sentenza pacificatrice:

Chi cerca, amando e oprando, amore e fama,

Merta il pregio d'Amore e sol ben ama.

Parvenze e sembianze

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