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L'OLMO E L'EDERA
VI

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Il giorno seguente, mattiniero come al solito, il giovine botanico si diede tutto alle sue piante, e proseguì la sua opera di giardiniere accurato fino all'ora dell'asciolvere. Dopo i fiori, stando alle consuetudini, avrebbero dovuto venire gl'insetti; ma per quel giorno gl'insetti non ebbero molestia, e i trattati di entomologia dormirono sugli scaffali.

I fiori, poveretti, avevano sempre bisogno di qualche cosa; e in particolar modo quelli che stavano sul murello, sull'ultimo lembo del muraglione, che riusciva meno discosto dall'albero di pino. Laggiù c'era sempre qualche pianticella da curare, qualche mala erbuccia da sterpare, qualche ramo da tener ritto.

Tra questi lavori giunse l'ora del pranzo; poi giunse la sera. E sull'imbrunire, quando tacciono i mille rumori confusi del giorno, quando le fragranze delle erbe e dei fiori salgono come una vespertina preghiera della natura verso il cielo azzurro, una bella rosa di Torino e un magnifico garofano, che stavano vicini su quell'ultimo lembo del muraglione che ho detto, se avessero avuto parola umana, avrebbero fatto udire una conversazione curiosa. E' la fecero invero nella lingua loro, e nessuno avrebbe a risaperne verbo; ma io, costretto dal mio uffizio di romanziere a saper tutte le lingue, a origliare i soliloqui delle anime, a intendere perfino i sospiri, ho inteso anche quel dialogo, e posso riferirvelo dalla prima all'ultima parola.

–Ohè, vicino!—disse la rosa al garofano, toccandolo leggermente col sommo delle foglie agitate dalla brezza.—Dormite forse?

–Non dormo;—rispose il garofano—pensavo. E voi madonna?

–Io ho desiderio di far quattro chiacchere. Avete sentita la rugiada di quest'oggi?

–Sì, madonna, e vi so dir io che m'ha fatto un gran bene.

Tuttavia……

–Tuttavia, che cosa?

–Tuttavia, egli c'è stato un momento che mi sono provato a dir basta. S'intende acqua e non tempesta. Figuratevi, madonna, che ho preso la risciacquata per cinque volte alla fila.

–Com'io per l'appunto; ma io non me ne sono lagnata.

–Oh, voi siete buona come il carbonio di cui ci nutriamo; ma confessate che la è stata una cosa insolita. Gli altri giorni non s'è mai andati oltre le due.

–Gli è verissimo; quest'oggi il giardiniere ci ha avuto una gran sollecitudine per noi. Vedete, bel vicino, egli m'è stato attorno in un modo da dover essergli grata per tutto il tempo ch'io viva. Ci avevo già cinque o sei di que' brutti animaletti i quali s'inverdiscono del nostro sangue; ed egli, buonino, me li ha cavati con un fuscellino, che solo a sentirlo mi facea tenerezza.

–E a me, madonna, ha levato di dosso un bruco villoso…… sapete, di quelli che poi fanno i farfalloni……

–Son carine, le farfalle, con quelle loro ali screziate e asperse di polverina d'oro!

–Sì, ma i bruchi son pure le moleste bestiaccie. Io rinunzio alle farfalle, madonna, se, per vedermele poi aliare dattorno, ho da lasciarmi strofinare dall'epa di quei vermiciattoli neri. Insomma ei me lo ha tolto dai piedi, e poi mi ha strappato alcune foglioline avvizzite che mi erano uggiose.

–Gli è un bravo e bel giovinetto—disse la rosa di Torino.—Io non rifinisco mai di guardarlo, e certo il primo bottone ch'io farò, vuole rassomigliargli di molto.

–Badate, madonna! e' riuscirà troppo pallido.

–Ah, sì, gli è un giovine malinconico e sempre sovra pensieri…..

–Avete veduto—interruppe il garofano,—che cosa faceva egli quest'oggi?

–Che cosa?

–O non avete notato quell'arnese che si recava spesso davanti agli occhi, e che teneva qui sul murello, vicino al mio vaso, per averlo sempre sotto la mano?

–Sì, sì, un coso con due buchi lucidi, che devono esser fatti per guardare da lunge. E' lo alzava e lo abbassava ad ogni tratto, sempre nella direzione del giardino di sotto.

–Benissimo, ma usando sempre la precauzione di mettersi dietro le vostre foglie, o dietro le mie.

–Che cosa vorrà dire, vicino?

–Chi sa? Certo non lo avrà fatto per guardare il tempo.

–Ottimo giovine,—proseguì la bella rosa, che avea fermo il chiodo in quella considerazione.—Lo vorrei veder contento. Per me, vo' dirvela schietta, se ha da essere così impensierito, amo meglio che non mi dia da bere nemmanco un fil d'acqua.

–Oh, questo poi!—esclamò il garofano.—Io qui non mi accosto alla vostra opinione.

–Signor egoista!

–Madonna tenerina!

Un terzo interlocutore, dalla voce sonnacchiosa e burbera, venne a rompere quel dolce colloquio. Gli era un geranium triste, il quale stava lì presso, nell'angolo tra il muraglione e un muro di tramezzo, che separava il giardino di Laurenti da un camperello contiguo.

–Sì, adesso bisticciatevi ancora! La notte è fatta per dormire, e voi altri non lasciate pigliar sonno a nessuno.

–Che cos'ha quest'altro?—mormorò la rosa sbigottita al garofano.

Il garofano mulinava una risposta, ma non trovandola lì pronta e tale da offerire a madonna un alto concetto della sua dignità mascolina, non rispose un bel nulla.

Intanto il geranio proseguiva:

–Già, i contenti sono sempre incontentabili; hanno dieci e vorrebbero aver quindici, poi venti, e via discorrendo. Io che sto dietro questo muro…..

–Comodamente al riparo dalla tramontana!—interruppe beffardo il garofano, che aveva trovato la parola da dire.

–Io che sto dietro a questo muro—ripetè, senza dargli retta, il geranio—io non ho avuto uno sguardo del vostro Narciso, nè uno spruzzo d'acqua per cavarmi la sete. M'avesse detto: crepa! Già, io ci ho il peccato addosso di non essere sul murello, daccanto a voi altri. Il bruco che egli ha tolto da voi, messer garofano garbato, egli me lo ha gittato sopra di me senza neppure guardarsi da fianco. Ora voi non vi ringalluzzite tanto, madonna rosa! Io ci ho un occhio per foglia, e da qui, sporgendo il capo, ho potuto vedere che cos'è tutta la sua tenerezza per voi.

–E che cos'è?—si provò a dire sgomentita la rosa di Torino.

–Ah, ah! gelosa! C'è laggiù, in quel giardino, una bella signora, più bella di voi a gran pezza….

–Da che parte?—chiese pronto il garofano—da che parte, ch'io non l'ho veduta ancora?

–Là, dietro quella selva di magnolie e di allori. La viene qualche volta a diporto, per quel sentieruolo a manca. Ieri il vostro amico è stato per due ore a contemplarla. Oggi non la è venuta affatto, ed egli ha avuto un bell'aspettarla, e darvi da bere a voi altri, e cavarvi i bruchi, signor garofano, e spidocchiarvi, signora rosa…

–Oibò!—disse la rosa, arricciando le foglie.

–Eh! io non ve le so dire le belle parole; dico acqua all'acqua, e non so come il vostro bel giardiniere battezzi quelli sconci animaletti che ci avete voi sulla persona, bella schifiltosa! Del resto sappiatelo: la dama per tutt'oggi non s'è vista, ed egli se ne strugge… ve lo so dir io, se ne strugge!

–Adesso, crepa di rabbia!—aggiunse mentalmente il geranio a guisa di perorazione, e si messe a dormire, contento come chi pensa d'aver fatto un'opera buona.

–Povero giovine!—mormorò la bella rosa di Torino, e reclinò pensierosa le sue foglioline.

L'olmo e l'edera

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