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VI

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E intanto, la signorina Adele Ruzzani, dov'era?

Domandiamolo al sottoprefetto di Castelnuovo Bedonia. Il degno ufficiale del governo, che ha in mano il servizio della pubblica sicurezza di tutto il circondario, dovrebbe sapere ogni cosa. "Nulla sfugge all'occhio vigile dell'autorità" era una delle sue frasi predilette.

Ora, ecco ciò che sapeva il cavalier Tiraquelli.

Due giorni dopo quella sua famosa conversazione sotto il loggiato, egli vedeva di bel nuovo il suo interlocutore ed amico, il futuro commendatore signor Prospero Gentili.

– Orbene, come vanno le cose? – gli aveva chiesto senza dargli tempo di esporre le ragioni della sua visita mattutina. – A me pare che ci sia un progresso. L'ha notata anche Lei, l'attenzione vivissima con cui la sua bella nepote ascoltava l'altra sera il duca di Francavilla? È un buon segno; che ne dice?

– Sì, un buon segno, – ripetè il signor Prospero con aria distratta.

– Che? Non le pare? – gridò il sottoprefetto, che coglieva le mosche per aria.

– Ho forse detto il contrario? – chiese il signor Prospero, prendendo una scossa improvvisa.

E dentro di sè aggiunse:

– Non ci mancherebbe altro! Dopo che quella birichina m'ha fatto giurare!..

– No; – rispondeva frattanto il sottoprefetto; – ma credevo che Ella ci avesse ancora qualche dubbio.

– Per me, niente affatto; – ripigliò il signor Prospero. – Quantunque, per esser sicuri, sarà utile di parlare con lei.

– Lo faccia una volta, al nome di Dio. Se non lo fa Lei, chi ha da farlo?

– È giusto; – disse il signor Prospero, – è giusto. Gliene parlerò, appena saremo tornati da questo viaggio.

– Questo viaggio! – esclamò il sottoprefetto. – O dove?

– Come? Non gliel ho ancor detto? Ero venuto a bella posta per prendere congedo. Veda un poco dove ho la testa!

– E dove va? – tornò a chiedere il sottoprefetto, senza curarsi più che tanto di vedere dove avesse la testa il signor Prospero.

– A Milano, con mia nepote. Sì, pare che ciò sia necessario; – soggiunse il signor Gentili, notando un atto di stupore del sottoprefetto. – La mia Adelina ha certe spesucce da fare… —

Il cavalier Tiraquelli era visibilmente sconcertato dall'annunzio di quella gita.

– E dica… staranno molto? – domandò.

– Oh, non credo. Si tratta di una visita alla modista… Come sa, la mia nepote si serve d'ogni cosa a Milano. Ci sarà anche una conferenza col gioielliere, per rinnovare la legatura di tutte le gioie di famiglia. Anche per le gioie la moda è cambiata, e la mia nepote vuol tutte legature a giorno. —

La faccia del sottoprefetto si rasserenò.

– Potrebb'essere un indizio; – diss'egli.

– Indizio, di che?

– Non vede? Questa cura di rimettere a nuovo le sue gioie. Signor Prospero mio, non ha mai posto mente che, quando si avvicina il tempo della cova, la cingallegra si mette al grave, e va attorno pel bosco a beccar le pagliuzze, per comporre il suo nido? —

Il signor Prospero spalancò gli occhi e la bocca ad un tempo; gli occhi per ammirare e la bocca per ridere.

– Ah ah! – esclamò egli. – Ed io, bestia, non ci aveva pensato. Ella ha una grande penetrazione, signor cavaliere! —

Il sottoprefetto di Castelnuovo Bedonia assunse un'aria conveniente all'ammirazione ond'era fatto argomento.

– Oh, guarda! – aggiungeva mentalmente il signor Prospero. – Quella birichina m'ha consigliato di metter fuori il pretesto delle gioie, ed io non ci ho scoperto il baco. Ma già, le donne hanno un punto più del diavolo.

– Benissimo, dunque, tutto va a gonfie vele; – disse il sottoprefetto. – Mi rincresce, per verità, che abbiano a stare lontani una settimana… Voglio credere che la loro assenza non durerà di più. Ad ogni modo, Ella mi scriverà, non è vero? Avrò così un buon argomento per consolare quel povero duca. Poveretto, è innamorato morto. Confessi, signor Prospero mio arcicarissimo, che una coppia così bella non si potrebbe immaginare, anche se non si trattasse di secondare un alto concetto politico di Sua Eccellenza.

– Eh, eh! – rispose il signor Prospero, seguitando a ridere. – Sono del suo parere.

– Ella, dunque, tasterà il terreno.

– Tasterò, non dubiti, tasterò. Quantunque…

– Quantunque, che cosa?

– Quantunque, dopo la spiegazione che Lei mi ha data sulle gioie e sui nidi, sarebbe quasi inutile; non le pare?

– Sì, ma, anche a prevedere una risposta, è chiaro che bisogna provocarla. E oramai, più presto si fa, meglio è. Io la consiglierei di parlarne a dirittura in viaggio. E mi scriva, sa? Appena ha qualche cosa di nuovo, me ne avverta. Se c'è un sì chiaro e tondo, lo mando per telegrafo al ministro. E la commenda vien subito. —

Il signor Prospero sospirò. Quella benedetta commenda, egli non l'aveva mai veduta così lontana come in quel punto.

Il mercoledì seguente fu freddo, almeno nel salotto della sottoprefettura. Il duca di Francavilla, che per solito era così gentile, così premuroso, con tutte le dame, giovani e vecchie, belle e brutte di Castelnuovo, per modo che non si sapeva quali fossero le sue preferenze, il duca di Francavilla scoperse quasi il suo giuoco, mostrandosi distratto nella conversazione, svogliato nel ballo, infastidito d'ogni cosa. La contessina Berta ebbe un bel tormentare il cembalo; non le toccò neppure un complimento. Ed anche lei fu noiosa parecchio. Le amiche trovarono che i suoi nervi erano più aristocratici del solito. E il ricevimento della sottoprefettura risentì di quella diversità d'umori; se non fosse stato il ricevitore del registro, che era sempre uguale a sè stesso, sarebbe parso un mortorio.

– Dunque, la bella Ruzzani è partita? – chiese la contessa Gamberini alla sottoprefettessa, su quel canapè di damasco rosso che i lettori conoscono.

– Sì, è andata a Milano per certe spese.

– Un matrimonio alle viste?

– Eh! – rispose la sottoprefettessa, non dicendo nè sì nè no.

– Qui non c'è nessun partito per lei, ch'io mi sappia; – ripigliò la contessa, cercando di scoprir terreno.

– Pare anche a me; – replicò la sottoprefettessa. – Ma forse ci sarà qualche domanda di fuori. —

La signora sottoprefettessa non era nel segreto di suo marito, o era d'una fintaggine a tutta prova. La contessa Gamberini non potè cavarne altro.

Intanto il sottoprefetto, sicuro del fatto suo, aspettava la lettera del Prospero. Il giorno stesso in cui il futuro commendatore era stato a prender congedo, per accompagnare la sua bella nepote a Milano, egli scriveva al ministro questa lettera confidenziale:

"Ho l'onore di annunziare a Vostra Eccellenza che la faccenda procede benissimo. Il duca di Francavilla ha fatto il viaggio di Cesare: veni, vidi, vici. Quest'oggi la ragazza è partita per Milano, dove rimarrà otto giorni, al più. Le mie informazioni particolari, e sicurissime, mi pongono in grado di dirle che essa è andata a far rilegare a nuovo le gioie di famiglia. Questo è, come vede l'Eccellenza Vostra, un indizio eccellente delle sue inclinazioni. Del resto, lo zio e tutore della signorina è felicissimo di aiutare a questa unione, ed io confido che Vostra Eccellenza vorrà premiare lo zelo di questo egregio cittadino, il quale è entrato con tanta facilità nelle idee del primo ministro (lo dico senza adulazione, e con la mia usata schiettezza) che abbia mai avuto l'Italia. Frattanto, io gli ho lasciata intravvedere la commenda. I motivi, per i due primi gradi, ci sarebbero: dieci anni di grado nella guardia nazionale, in qualità di capitano, per la croce di cavaliere; l'opera prestata nel comizio agrario, e le analoghe cognizioni, per quello di ufficiale. Quanto all'esito dei nostri negoziati, spero di poterle mandare qualche ragguaglio tra breve e di mostrarmi degno dei favori che la Eccellenza Vostra si è degnata di promettermi."

Tre giorni dopo, il ministro rispondeva di suo pugno:

"Cavaliere carissimo. – Non dubiti, provvederò pel Gentili, com'Ella giustamente propone. Ella faccia il suo dovere, come sempre. Lavoriamo per un nobile intento. In questa faccenda, a prima vista di così poco rilievo, c'è più importanza che Ella, già tanto perspicace, non veda. Perseveri, stringa le fila, e mi mandi buone notizie; io farò altrettanto con Lei."

– Sono commendatore e prefetto! – gridò il cavaliere Tiraquelli, appena ebbe finito di leggere.

La sottoprefettessa, che era presente a quello sfogo di onesta soddisfazione, inarcò tosto le ciglia.

– Che? come? Si lascia Castelnuovo?

– Sì, Erminia; sì, Erminiuccia mia, ma non per ora. Ci vuole ad ogni cosa il suo tempo. Non dubitare, sarai prefettessa entro l'anno. E senatrice, per giunta. Perchè, si sa, una ciliegia tira l'altra. Esser prefetto e non senatore, mi parrebbe una sconcordanza. Che cosa sono i prefetti, se non le colonne amministrative del regno? E i senatori che cosa sono? Le colonne legislative. Ora, non può esser buon legislatore se non chi ha dato prova di esser buon amministratore. Donde la conseguenza… mi pare… Oh le dirò io, le ragioni di questa necessaria connessione; – proseguì il sottoprefetto di Castelnuovo, quando fu solo nel suo ufficio. – L'amministrazione, o signori… una saggia amministrazione è una legislazione applicata, come la legislazione… una saggia legislazione, è una amministrazione pensata. E perchè l'opera amministrativa proceda regolarmente, è necessario… porro unum est necessarium, che l'opera legislativa sia informata ad un concetto pratico, eminentemente pratico. Non si è mai badato a questa necessità; ed è stato l'errore, da cui son proceduti tutti gli altri. L'organismo di uno stato… Bello, quest'organismo dello stato! – osservò il sottoprefetto, fermandosi, come per ammirare l'opera sua. – Dev'essere anche nuovo. L'organismo dello stato, o signori, è come un ben inteso sistema di distribuzione d'acque, che, attinte alla sorgente donde emanano tutti i poteri, si dividono in cento canali, per recare a tutte le parti del campo i benefizi della vita. Et uda mobilibus pomaria rivis. Questa è la chiave, questo è il problema. —Hoc opus, hic labor.That is the question.– Anche l'inglese ci sta bene, in un discorso, quasi più del latino. Già, le citazioni fanno sempre buon giuoco. E le frasi, anche. Il prestigio delle istituzioni, l'era dei sacrifizi, la servitù secolare, il trionfo delle idee, la forza del diritto che si contrappone al diritto della forza, il vasto campo delle ipotesi e la severa scuola dei fatti… Vedete come le trovo! Come mi fioriscono sulla lingua! Ed anche questo fioriscono! Non l'ho mica cercato. Tiraquelli, amico mio, siamo nati oratori; dobbiamo andare in Senato. —

Qui il signor sottoprefetto si fermò di schianto.

– Ma quando? – pensò egli. – Prima di tutto la promozione a prefetto, e un po' di fortuna per saltare una classe. Ma prima di tutto, ancora, il matrimonio Francavilla Ruzzani. E questo diavolo del signor Prospero, che non mi ha scritto ancora! È capace di non esser forte in ortografia, e di vergognarsi. Se sapessi dov'è alloggiato, gli manderei un telegramma. —

Quest'idea del telegramma, passata a caso per la mente del sottoprefetto, ci tornò il giorno dopo. Il signor Prospero non si era fatto vivo, e il cavalier Tiraquelli era sulle spine.

– Ah, lo accomodo io! Non mi ha detto a che albergo voleva scendere; ma io gli farò vedere che posso saperlo ugualmente. Nulla sfugge all'occhio vigile dell'autorità. —

E quel giorno, per l'appunto, il sottoprefetto di Castelnuovo Bedonia batteva il telegrafo per domandare al questore di Milano in quale albergo si trovasse ad alloggio un signor Prospero Gentili, di cui dava tutte le indicazioni necessarie.

– Sarà maravigliato, domattina, di ricevere un mio telegramma, prima di alzarsi da letto. Caro signor Prospero! Sarà pure obbligato a rispondermi. —

Per intanto, capitò la risposta del questore di Milano. In nessun albergo, secondo che appariva dai rispettivi elenchi dei viaggiatori, esisteva un Prospero Gentili, od altro di somigliante, con nepote o senza.

Se aveste veduto il muso del sottoprefetto di Castelnuovo, dopo la lettura di quel telegramma! L'usciere, che aveva portato il foglio e lo aveva veduto accogliere con tanto allegra sollecitudine, dovette svignarsela in fretta, per non ricevere il calamaio, od altro arnese dello scrittoio, nella testa. Il segretario venne per la firma, e fu mandato al diavolo. Entrò la sottoprefettessa e fu mandata col segretario. Insomma, il nostro uomo schiattava dalla rabbia, e finì col chiudersi nel suo ufficio, dichiarando che per tutto quel giorno non voleva vedere nessuno.

L'undecimo comandamento: Romanzo

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