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CAPITOLO OTTO

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Cassie trattenne il respiro mentre Margot si allontanava rabbiosamente lungo il corridoio. Guardandosi intorno, la ragazza si rese conto di non essere l'unica ad essere rimasta scioccata per lo sfogo feroce della donna. Marc aveva gli occhi spalancati e la bocca sigillata. Ella si stava succhiando il pollice. Antoinette aveva una silenziosa espressione furibonda.

Bisbigliando un'imprecazione, Pierre spinse indietro la sua sedia.

“Me ne occupo io”, disse, dirigendosi verso la porta. “Tu metti i bambini a letto”.

Contenta di aver qualcosa da fare, Cassie si alzò, dando un'occhiata alle stoviglie in disordine sulla tavola. Doveva riordinare o chiedere ai bambini di dare una mano? La tensione si poteva tagliare con un coltello. La ragazza desiderava poter fare una qualunque semplice faccenda domestica, come lavare i piatti, per provare un po’ di calma e tranquillità.

Antoinette notò la direzione del suo sguardo.

“Lascia tutto dove si trova", scattò. “Qualcuno pulirà più tardi”.

Cercando di usare un tono allegro, Cassie disse “Bene allora, è ora di andare a dormire”.

“Non voglio andare a letto”, protestò Marc, dondolandosi sulla sedia. Quando perse l'equilibrio, urlò con finto terrore e si aggrappò alla tovaglia. Cassie corse in suo soccorso. Fece in tempo ad impedire che la sedia cadesse, ma non fu veloce abbastanza per evitare che Marc facesse ribaltare due bicchieri e facesse cadere un piatto sul pavimento.

“Di sopra", ordinò la ragazza, cercando di usare un tono deciso, ma la voce era acuta e tremolante per la stanchezza.

“Voglio uscire”, disse Marc, correndo verso la porta finestra. Al ricordo di come l'aveva seminata nei boschi, Cassie gli corse subito dietro. Quando lo raggiunse, il bambino aveva già girato la chiave nella porta, ma lei riuscì ad afferrarlo e fermarlo prima che potesse aprirla ed uscire. La ragazza vide il loro riflesso nel vetro scuro. Il bambino con i capelli ribelli e un'espressione impenitente — e se stessa. Con le dita gli afferrava le spalle, aveva gli occhi spalancati e ansiosi, e il viso bianco come un lenzuolo.

Vedere il proprio riflesso in quel momento inaspettato le fece comprendere quanto, fino a quel momento, avesse fallito nel compiere il suo dovere. Erano passate 24 ore dal suo arrivo, e non aveva avuto il controllo per un solo minuto. Pensare il contrario voleva solo dire prendersi in giro. Le sue aspettative di entrare a far parte della famiglia, ed essere amata, o almeno apprezzata, dai bambini, non potevano essere più lontane dalla realtà. I ragazzi non avevano un minimo di rispetto nei suoi confronti, e lei stessa non aveva idea di come avrebbe potuto cambiare le cose.

“È ora di andare a dormire”, ripetè stancamente, e tenendo la mano sinistra saldamente sulla spalla di Marc, tolse le chiavi dalla serratura. Notò un gancio posto in alto sul muro, e ve le appese. Poi, condusse il bambino al piano di sopra senza mollare la presa. Ella camminò accanto a loro, e Antoinette li seguì scoraggiata, sbattendosi la porta alle spalle una volta entrata in camera, senza neanche dire buonanotte.

“Vuoi che ti legga una storia?” chiese a Marc, ma lui scosse la testa.

“Va bene. A letto, allora. Se vai a dormire ora, domani puoi alzarti e giocare coi tuoi soldatini”.

Era l'unico incentivo che le venne in mente, ma sembrò funzionare; o forse il bambino aveva finalmente ceduto alla stanchezza. In ogni caso, con suo grande sollievo, Marc fece come richiesto. Cassie tirò su il piumone per coprirlo, notando che le mani le tremavano per l'enorme stanchezza. Se Marc avesse provato a liberarsi un'altra volta, era certa di scoppiare in lacrime. Non era sicura che il bambino sarebbe rimasto a letto, ma almeno per ora il suo compito era stato svolto.

“Io voglio una storia”. Ella le tirò il braccio. “Me ne leggi una?”

“Certo”. Cassie andò nella camera della bambina e scelse un libro dalla piccola selezione sullo scaffale. Ella corse a letto, saltando sul materasso per l'eccitazione, e la giovane si chiese quante volte le avessero letto una storia in passato, perché non sembrava fosse una cosa abitudinaria. Sebbene, pensò, fino a quel momento non aveva notato molti dettagli della vita di Ella che si potessero considerare normali.

Le lesse la storia più corta che riuscì a trovare, e si ritrovò con Ella che insisteva per leggerne una seconda. Quando giunse alla fine e chiuse il libro, Cassie non riusciva più a distinguere le parole. Alzando lo sguardo, vide con suo grande sollievo che la lettura aveva fatto calmare la bambina, che si era finalmente addormentata.

La ragazza spense la luce e chiuse la porta. Tornando indietro lungo il corridoio, controllò in camera di Marc, cercando di fare il minor rumore possibile. Grazie al cielo, la stanza era ancora buia, e Cassie riusciva a sentire un leggero respiro.

Quando aprì la porta di Antoinette, la luce era accesa. La ragazzina era seduta a letto e stava scrivendo in un libro dalla copertina rosa.

“Si bussa prima di entrare”, rimproverò Cassie. “È una regola”.

“Scusami. Prometto che lo farò d'ora in poi”, si scusò lei. Temeva che Antoinette trasformasse questa infrazione in un litigio, ma invece la ragazzina riportò l'attenzione al suo quaderno, e scrisse qualche altra parola prima di chiuderlo.

“Stai finendo i compiti?” le chiese Cassie, sorpresa, perché non pensava che Antoinette fosse una persona che lasciava le cose all'ultimo minuto. La sua stanza era perfetta. I vestiti che si era tolta di dosso erano piegati del cesto della biancheria, e il suo zaino di scuola, pronto e al suo posto, si trovava sotto una scrivania bianca ed impeccabilmente in ordine.

Si chiese se Antoinette si sentisse come se la sua vita fosse fuori controllo, e stesse cercando di compensare nel suo ambiente privato. O forse, dato che la ragazzina aveva dimostrato chiaramente che era infastidita dalla presenza di una ragazza alla pari, magari stava cercando di dimostrare che non aveva bisogno di nessuno che si prendesse cura di lei.

“I compiti li ho già finiti. Stavo scrivendo sul mio diario”, le disse Antoinette.

“Lo scrivi tutte le sere?”

“Quando sono arrabbiata”, rimise il tappo sulla penna.

“Mi dispiace per quello che è successo stasera”, simpatizzò Cassie, sentendosi come se stesse camminando su uno strato di ghiaccio sottile, che si sarebbe potuto rompere in qualunque momento.

“Margot mi odia e io odio lei”, disse Antoinette, con la voce che le tremava leggermente.

“No, non credo sia così”, replicò Cassie, ma la ragazzina scosse la testa.

“Sì, invece. La odio. Vorrei che fosse morta. Mi ha già detto cose simili in passato. Mi fa infuriare tanto che potrei ucciderla”.

Cassie la fissò scioccata.

Non furono tanto le parole di Antoinette a darle i brividi, ma la calma con cui le pronunciò. Non aveva idea di come rispondere. Era normale che una dodicenne avesse tali pensieri omicida? Antoinette aveva sicuramente bisogno di qualcuno di più qualificato che la aiutasse e gestire questa rabbia. Un terapista, uno psicologo, o persino un prete.

Beh, in mancanza di qualcuno di competente, Cassie ritenne di essere l'unica persona disponibile.

Si concentrò sui propri ricordi, cercando di riportare alla mente quello che diceva e faceva a quell'età. Come aveva reagito, e come si era sentita quando la sua situazione aveva perso del tutto controllo. Aveva mai voluto uccidere qualcuno?

All'improvviso si ricordò di una delle fidanzate di suo padre, Elaine, una ragazza bionda con lunghe unghie rosse e una voce acuta e stridula. Lei e la donna si odiarono dal primo momento. Nei sei mesi in cui Elaine fu sulla scena, Cassie la odiò terribilmente. Non riusciva a ricordare di averla desiderata morta, ma di certo voleva che se ne andasse.

Probabilmente si trattava della stessa cosa. Antoinette era semplicemente più schietta.

“Quello che ha detto Margot non era assolutamente corretto”, disse Cassie, perché lo pensava davvero. “Ma quando è arrabbiata, la gente dice cose che non pensa”.

Certo, di solito diceva anche cose vere in momenti di rabbia, ma Cassie non aveva intenzione di parlare di quello.

“Oh, le pensava”, le assicurò Antoinette. Stava giocando con la penna, girandone il tappo con forza da una parte all'altra.

“E papà ora la difende sempre. Pensa solo a lei e mai a noi. Era diverso quando mia madre era viva”.

Cassie annuì affettuosamente. Era la sua stessa esperienza.

“Lo so”, disse.

“Come fai a saperlo?” Antoinette la guardò incuriosita.

“Mia madre è morta quando ero piccola. Anche mio padre ha portato delle ragazze — ehm, voglio dire, nuove fidanzate — in casa. Ciò ha causato molti scontri e ostilità. Io non gli piacevo, e loro non piacevano a me. Per fortuna avevo una sorella maggiore”.

Cassie si corresse velocemente.

“Ho una sorella maggiore, Jacqui. Affrontava mio padre e mi proteggeva quando c'erano dei litigi”.

Antoinette annuì in accordo.

“Mi hai difeso stasera. Nessuno l'aveva mai fatto. Grazie”.

La ragazzina fissò Cassie, coi suoi grossi occhi blu, e lei sentì un nodo allo stomaco a quella gratitudine inaspettata.

“Sono qui per questo”, le rispose.

“Mi dispiace di averti detto di camminare tra le ortiche”. Antoinette diede un'occhiata alle piaghe sulle mani della ragazza, ancora gonfie ed infiammate.

“Non fa niente, davvero. Ho capito che era solo uno scherzo”. Cassie si sentì sopraffare da un’ondata di affetto, e le si riempirono gli occhi di lacrime. Non si aspettava che Antoinette abbassasse la guardia. Capiva esattamente quanto doveva sentirsi sola, e quanto si sentisse vulnerabile. Era terribile pensare che la ragazzina fosse stata insultata già in passato da Margot, senza nessuno che la difendesse e con suo padre che si schierava deliberatamente contro di lei.

Beh, ora aveva qualcuno — Cassie era dalla sua parte, e l'avrebbe supportata a tutti i costi. La giornata non era stata un completo disastro, se come risultato era riuscita a rendere un po' più stretto il rapporto con questa bambina complicata e inquieta.

“Ora cerca di dormire. Sono sicura che le cose andranno meglio domattina”.

“Lo spero. Buonanotte, Cassie”.

Cassie chiuse la porta, tirò su col naso e si pulì nella manica. La stanchezza e le emozioni stavano prendendo il sopravvento. Si affrettò lungo il corridoio, prese il pigiama dalla sua stanza e si diresse verso la doccia.

Quando finalmente si ritrovò sotto lo scroscio di acqua bollente, permise alle lacrime di scorrere.

*

Sebbene l'acqua calda avesse placato le sue emozioni, Cassie notò rapidamente che la pelle le si era nuovamente infiammata per via del calore. Le irritazioni causate dalle ortiche iniziarono a prudere in maniera insopportabile. Si strofinò con forza con l'asciugamano, per cercare di far passare il prurito, ma ottenne solo un peggioramento dello stesso.

Quasi scomparsa

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