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CAPITOLO TRE

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Davanti agli occhi di Cassie si stendeva il paesaggio urbano. Alti palazzi, appartamenti e cupi quartieri industriali lasciarono man mano spazio alla periferia alberata. Il pomeriggio era grigio e freddo, e il vento scuoteva una pioggia intermittente.

Cassie cercava di allungarsi per leggere i cartelli stradali che scorrevano accanto alla macchina. Si stavano dirigendo verso Saint Maur, e per un po’ la ragazza pensò che quella potesse essere la loro destinazione, ma l'autista superò lo svincolo e proseguì sulla strada che portava fuori città.

“Quanto manca?” chiese lei, cercando di instaurare una conversazione, ma lui grugnì in maniera evasiva ed alzò il volume della radio.

La pioggia picchiettava sui finestrini e Cassie poteva sentire il vetro freddo contro la guancia. Desiderò aver tirato fuori dal baule la giacca pesante. Stava anche morendo di fame — non aveva fatto colazione e non aveva avuto alcun modo di comprare del cibo.

Dopo più di mezz’ora di tragitto, il veicolo raggiunse l'aperta campagna e l’autista guidò lungo la Marna, dove chiatte dipinte con colori brillanti donavano uno spruzzo di colore al grigiore circostante, e alcune persone, avvolte negli impermeabili, camminavano sotto gli alberi. Alcuni dei rami erano già spogli, altri erano ancora ricoperti di foglie marroni e rossicce.

“Fa davvero freddo oggi, vero?” osservò Cassie, facendo un altro tentativo di conversazione con l'autista.

La sua unica risposta fu un “Oui” borbottato — ma per lo meno l’uomo alzò il riscaldamento, e lei smise di tremare. Avvolta dal calore, nel giro di pochi chilometri, Cassie precipitò in un sonno inquieto.

Una brusca frenata e lo squillo di un clacson la svegliarono improvvisamente. L'autista stava cercando di passare oltre un camion fermo, per uscire dall'autostrada e girare su una piccola stradina costeggiata dagli alberi. Aveva smesso di piovere, e nella tenue luce serale, la vista autunnale era meravigliosa. Cassie guardò fuori dal finestrino, assorbendo la vista del paesaggio collinare e del mosaico di campi coltivati, intervallati da enormi foreste scure. L’auto superò un vigneto, con le file ordinate di viti che circondavano il pendio della collina.

Riducendo la velocità, l'autista attraversò un villaggio. La strada era costeggiata da pallide case di pietra con finestre ad arco e tetti spioventi. Oltre questi, Cassie poteva vedere distese di campi e, mentre superavano un ponte di pietra, intravide un canale lungo il quale si stendevano salici piangenti. L'alta guglia di una chiesa attirò la sua attenzione e la ragazza si chiese quanto potesse essere vecchia quella costruzione.

Dobbiamo essere vicini al castello, pensò Cassie, forse anche nel suo quartiere. Poi cambiò idea, quando si lasciarono il paese alle spalle e si addentrarono ulteriormente tra le colline, finché la ragazza si ritrovò completamente disorientata e non ebbe più modo di vedere l'alta guglia. Non si aspettava che il castello fosse così lontano. Si sentì il GPS dare la notifica di “Nessun segnale” e l'autista esclamò seccato, prese in mano il telefono e iniziò ad osservare attentamente la mappa mentre guidava.

Infine il taxi svoltò a destra attraverso le alte colonne di un cancello, e Cassie si sedette diritta, fissando il vialetto di ghiaia. Di fronte a lei, alto ed elegante, con la luce del tramonto che colpiva le sue mura ricoperte di pietra, si ergeva un castello.

Le gomme dell’auto scricchiolarono sulla pietra quando la macchina si fermò fuori da un alto ed imponente ingresso, e Cassie iniziò a sentirsi nervosa. Quella casa era decisamente più grande di quanto si aspettasse. Sembrava un palazzo, sovrastato da alti comignoli e torrette adornate. La ragazza contò diciotto finestre nei due piani dell'imponente facciata, decorate da dettagli e decorazioni in pietra. La casa si affacciava su un giardino curato, ricco di siepi immacolatamente potate e vialetti pavimentati.

Cosa aveva in comune lei, che veniva dal niente, con la famiglia che viveva all’interno di quel castello, in cotanto splendore?

Cassie si rese conto che l'autista stava picchiettando impazientemente sul volante — non aveva alcuna intenzione di aiutarla coi bagagli. La ragazza scese velocemente.

Il vento implacabile le fece venire immediatamente freddo, perciò si affrettò verso il baule, tirò fuori in malo modo la sua valigia, attraversò il vialetto di ghiaia e si mise al riparo sotto al portico, dove indossò la giacca e la chiuse immediatamente.

Non vi era un campanello accanto all’enorme porta in legno massiccio, ma solo un grosso batacchio in ferro posto direttamente sul portone, freddo al tatto. Il rumore che fece fu sorprendentemente alto, e pochi momenti dopo aver bussato, Cassie udì dei lievi passi.

La porta si aprì e la ragazza si ritrovò di fronte una cameriera vestita in uniforme scura, coi capelli raccolti in una coda di cavallo. Dietro di lei, Cassie potè osservare un grande atrio con arazzi alle pareti e una magnifica scalinata in legno in fondo alla stanza.

La cameriera si guardò intorno quando sentì una porta sbattere.

Immediatamente, Cassie avvertì la presenza di un litigio. Poteva percepirla, sentiva l'elettricità nell'aria, come una tempesta che stava per sopraggiungere. Lo notò nel portamento nervoso della domestica, nel rumore causato dalla porta e nel caos di urla in lontananza che scemarono nel silenzio. I suoi organi interni si contrassero e sentì un desiderio impellente di andarsene. Di rincorrere l'autista che stava per ripartire e farlo tornare indietro.

Invece, rimase al suo posto e si sforzò di sorridere.

“Sono Cassie, la nuova ragazza alla pari. La famiglia mi sta aspettando”.

“Oggi?” La cameriera parve preoccupata. “Aspetta un attimo”. Non appena la domestica si affrettò dentro casa, Cassie la sentì chiamare “Monsieur Dubois, venga, in fretta per favore”.

Un attimo dopo, un uomo robusto con capelli scuri a tratti brizzolati attraversò l'atrio, con un'espressone temibile. Quando vide Cassie alla porta, si fermò sui suoi passi.

“Sei già qui?” chiese. “La mia fidanzata mi aveva detto che saresti arrivata domani mattina”.

L’uomo si girò per dare un'occhiataccia alla donna coi capelli ossigenati che lo stava seguendo. Indossava un abito da sera e i suoi lineamenti attraenti esprimevano grande tensione.

“Sì, Pierre, ho stampato l'email quando ero in città. L'agenzia mi ha detto che il volo atterrava alle quattro del mattino”. Girandosi verso il tavolo di legno lavorato presente nell'atrio, spostò un fermacarte in vetro e brandì un foglio in sua difesa. “Ecco. Vedi?”

Pierre diede uno sguardo al foglio e sospirò.

“Dice quattro del pomeriggio. Non del mattino. L'autista che hai prenotato sicuramente conosce la differenza, perciò eccola qui”. Si girò verso Cassie e le tese la mano. “Mi chiamo Pierre Dubois. Questa è la mia fidanzata, Margot”.

L’uomo non presentò la domestica. Invece Margot le urlò di andare e preparare la stanza di fronte a quella dei bambini, e la cameriera se ne andò di fretta.

“Dove sono i bambini? Sono già a letto? Dovrebbero conoscere Cassie", disse Pierre.

Margot scosse la testa. “Stavano cenando”.

“Così tardi? Non ti ho detto che devono cenare presto durante la settimana? Anche se sono in vacanza, dovrebbero andare a letto presto per non perdere l'abitudine”.

Margot fissò l’uomo e scrollò le spalle con rabbia prima di dirigersi verso la porta sulla destra, picchiettando sul pavimento coi tacchi a spillo.

“Antoinette?” chiamò. “Ella? Marc?”

Si sentì un frastuono di passi ed urla.

Un bambino dai capelli scuri corse nell'atrio, reggendo una bambola per i capelli. Era inseguito da vicino da una bimba più piccola e grassottella, in un mare di lacrime.

“Ridammi la mia Barbie!” urlò lei.

Fermandosi di colpo alla vista degli adulti, il bambino si precipitò verso le scale. Sfrecciando nella loro direzione, colpì con la spalla il fianco di un grosso vaso blu e oro.

Cassie, inorridita, si portò le mani alla bocca, alla vista del vaso che iniziò a dondolare sulla sua base, prima di cadere ed infrangersi sul pavimento. Frammenti di vetro colorato si riversarono sulle scure assi di legno.

Il silenzio scioccante fu rotto dal ruggito furibondo di Pierre.

“Marc! Restituisci la bambola ad Ella”.

Trascinando i piedi, col labbro inferiore sporgente, il bambino tornò indietro, oltrepassando i frammenti del vaso. A malincuore, porse la bambola al padre, che la diede alla figlia. I singhiozzi della bimba diminuirono mentre accarezzava i capelli della bambola.

“Quello era un vaso in vetro di Durand”, Margot sibilò al bambino. “D'epoca. Insostituibile. Non hai alcun rispetto per gli averi di tuo padre?”

La donna ottenne solo un silenzio imbronciato in risposta.

“Dov'è Antoinette?” chiese Pierre, frustrato.

Margot guardò in alto e, seguendo il suo sguardo, Cassie vide una ragazza snella coi capelli scuri, in cima alle scale — sembrava essere la più grande dei tre, di qualche anno. Vestita in modo elegante in un abito perfettamente stirato, attese con una mano sulla balaustra finché non ebbe l'attenzione dell'intera famiglia. Poi, col mento sollevato, scese.

Desiderosa di fare una buona impressione, Cassie si schiarì la voce e tentò di fare un saluto amichevole.

“Ciao, bambini. Mi chiamo Cassie. Sono molto felice di essere qui, e sono contenta di potermi prendere cura di voi”.

Ella sorrise timidamente in risposta. Marc continuò a fissare inflessibilmente il pavimento. E Antoinette incontrò il suo sguardo per un lungo momento di sfida. Poi, senza dire una parola, le voltò le spalle.

“Se vuoi scusarmi, papà", disse a Pierre. “Ho dei compiti da finire prima di andare a letto”.

“Certo”, rispose Pierre, e Antoinette tornò immediatamente di sopra.

Cassie sentì il volto diventarle rosso per l'imbarazzo per l'affronto intenzionale subito. Si chiese se avrebbe dovuto dire qualcosa, minimizzare la situazione o cercare di giustificare il maleducato comportamento della ragazzina, ma non le vennero in mente le parole adatte.

Margot borbottò furiosamente “Te l'avevo detto, Pierre. Sta incominciando ad avere gli sbalzi d'umore da adolescente”, e Cassie si rese conto che Antoinette non aveva ignorato solo lei.

“Almeno stava facendo i compiti, senza nessuno che la aiutasse”, rispose Pierre. “Ella, Marc, perché non vi presentate in modo adeguato a Cassie?”

Ci fu un breve silenzio. Chiaramente, non ci sarebbero state delle presentazioni senza un litigio. Ma forse la ragazza poteva alleviare la tensione con qualche domanda.

“Beh, Marc, so il tuo nome, ma quanti anni hai?”, disse.

“Otto”, borbottò il bambino.

Osservando lui e Pierre, Cassie riuscì a vedere una netta somiglianza. I capelli disordinati, il mento forte, gli occhi azzurri. Anche il modo in cui aggrottavano la fronte era simile. Anche le bambine avevano i capelli scuri, ma i loro lineamenti erano più delicati.

“Ella, tu quanti anni hai?”

“Quasi sei”, disse con orgoglio la bimba. “Il mio compleanno è il giorno dopo Natale”.

“È un ottimo giorno per un compleanno. Spero significhi molti regali in più”.

Ella fece un sorriso sorpreso, come se non avesse mai preso in considerazione questo vantaggio.

“Antoinette è la più grande. Ha dodici anni”, aggiunse.

Pierre batté le mani. “Bene, è ora di andare a dormire. Margot, puoi mostrare la casa a Cassie dopo aver messo i bimbi a letto? Dovrà sapere come muoversi. Fai in fretta. Dobbiamo uscire per le sette”.

“Devo ancora finire di prepararmi”, rispose Margot con tono acido. “Tu metti i bambini a letto e chiama un maggiordomo per pulire questo disastro. Io faccio vedere la casa a Cassie”.

Pierre fece un respiro rabbioso prima di dare un'occhiata alla nuova arrivata e stringere le labbra. Lei intuì che la sua presenza gli aveva fatto trattenere le parole.

“Di sopra, e a letto”, disse, e i due bambini lo seguirono per le scale controvoglia. Cassie fu rincuorata nel vedere che Ella si girò e le fece ciao con la manina.

“Vieni con me, Cassie”, le ordinò Margot.

Lei la seguì attraverso la porta sulla sinistra e si ritrovò in un salottino formale in cui era presente uno splendido arredamento elegante, con arazzi alle pareti. La stanza era enorme e fresca; non c'era nessun fuoco acceso nel grande camino.

“Questo salottino viene usato raramente, e i bambini non hanno il permesso di entrare. La sala da pranzo principale è qui accanto— sussiste la stessa regola”.

Cassie si chiese quanto spesso venisse usato l'enorme tavolo da pranzo in mogano — sembrava immacolato, e intorno ad esso la ragazza contò sedici sedie provviste di alto schienale. Sulla credenza lucida c’erano altri tre vasi, simili a quello che Marc aveva rotto poco prima. Cassie non riusciva ad immaginarsi una cena allietata da felici conversazioni in quello spazio austero e silenzioso.

Come poteva essere crescere in una casa simile, dove era vietato andare ovunque perché l'arredamento poteva essere danneggiato? La ragazza si chiese se ciò potesse far sentire un bambino meno importante dei mobili.

“Questa viene chiamata la Stanza Blu”, le disse Margot. Si trattava di un salotto di dimensioni più contenute, con carta da parati blu scuro, e grosse porte finestra. Cassie pensò che si aprissero su un portico o un giardino, ma era buio pesto, e tutto ciò che riuscì a vedere era il riflesso delle basse luci della stanza che si riflettevano sul vetro. La ragazza si ritrovò a desiderare che i mappamondi avessero un voltaggio superiore — tutte le stanze erano cupe, con ombre negli angoli.

Una scultura catturò la sua attenzione… la base della statua di marmo era stata rotta, perciò era appoggiata a faccia in su sopra al tavolo. I suoi lineamenti sembravano vacui ed immobili, come se la pietra stesse ricoprendo il volto di una persona morta. Gli arti erano grossi e scolpiti grossolanamente. Cassie tremò, distogliendo lo sguardo da quella vista inquietante.

“Quello è uno dei nostri pezzi di maggior valore”, la informò Margot. “Marc l'ha fatta cadere la settimana scorsa. Presto la faremo riparare”.

Cassie pensò all'energia distruttiva del bambino e al modo in cui aveva sbattuto la spalla contro il vaso poco prima. Era stato davvero solo un incidente? O c'era un desiderio subliminale di mandare il vetro in pezzi, per farsi notare, in un mondo dove i possedimenti materiali sembravano avere la priorità?

Mentre tornavano indietro, Margot proseguì. “Le stanze lungo quel corridoio sono tenute chiuse. La cucina è da questa parte, a destra, e oltre si trovano gli alloggi della servitù. C'è un piccolo salottino sulla sinistra, e una stanza dove ceniamo in famiglia”.

Tornando indietro, le due donne passarono accanto ad un maggiordomo in uniforme grigia con in mano una scopa e una paletta. L’uomo si mise in disparte per farle passare, ma Margot non sembrò neanche notare la sua presenza.

L'ala ovest era l'immagine riflessa di quella est. Enormi stanze scure con un arredamento raffinato e ricche di opere d’arte. Silenziose e vuote. Cassie ebbe un tremito, e iniziò a desiderare una chiara luce casalinga o il suono familiare della televisione, sempre che una cosa del genere esistesse in quella casa. Seguì Margot lungo la scalinata, per andare al piano superiore.

“L'ala degli ospiti”. Tre immacolate camere da letto, con letti a baldacchino, erano separate da due grossi salotti. Le camere erano formali e pulite come stanze d'albergo, e le lenzuola sembravano essere state stirate alla perfezione.

“E l'ala familiare”.

Cassie si ravvivò, felice di aver finalmente raggiunto la parte della casa in cui vivevano le persone.

“La cameretta”.

Con sua sorpresa e confusione, si trattava di un'altra stanza vuota, in cui vi era solo una grossa culla con sponde alte.

“E qui, le camere dei bambini. La nostra suite si trova alla fine del corridoio, girato l'angolo”.

Tre porte chiuse una dopo l'altra. La voce di Margot si abbassò e Cassie intuì che la donna non volesse andare a trovare i bambini — neanche per dar loro la buonanotte.

“Questa è la camera di Antoinette, questa è quella di Marc e quella più vicino alla nostra è di Ella. La tua stanza si trova di fronte a quella di Antoinette”.

La porta della camera era aperta e due domestiche stavano preparando il letto. La stanza era enorme e gelida. Era arredata con due sedie a dondolo, un tavolo e un grosso guardaroba in legno. Le finestre erano schermate da pesanti tende rosse. La valigia di Cassie era stata posizionata ai piedi del letto.

“Da qui potrai sentire i bambini se piangono o ti chiamano — in caso, occupati di loro, per favore. Domattina devono essere in piedi e pronti per le otto. Devono uscire, perciò scegli dei vestiti caldi”.

“Certo, ma…”, Cassie cercò di farsi coraggio. “Potrei avere del cibo per favore? Non ho mangiato nulla da quando abbiamo cenato sull'aereo ieri sera”.

Margot la fissò, perplessa, poi scosse la testa.

“I bambini hanno mangiato presto perché noi dobbiamo uscire. La cucina è chiusa ora. La colazione verrà servita a partire dalle sette domattina. Riesci ad aspettare fino ad allora?”

“Beh, credo di sì”. La ragazza si sentiva male per la fame. Il dolcetto che si trovava nella sua borsa, che doveva essere per i bambini, e perciò intoccabile, iniziò a divenire una tentazione irresistibile.

“Devo anche mandare una email all'agenzia, per fargli sapere che sono arrivata. Posso avere la password del Wi-Fi per favore? Il mio telefono non prende qui”.

Lo sguardo di Margot stava diventando sempre più vacuo. “Non abbiamo il Wi-Fi, e non c'è segnale. Solo una linea fissa nello studio di Pierre. Per inviare una email, devi andare in paese”.

Senza attendere una risposta, la donna si voltò e si avviò verso la suite matrimoniale.

Le domestiche se ne erano andate, lasciando la camera di Cassie in uno stato di gelida perfezione.

La ragazza chiuse la porta.

Non si era mai immaginata di poter sentire la nostalgia di casa, ma in quel momento desiderava una voce amichevole, il chiacchierio della televisione, il disordine di un frigorifero pieno. Piatti nel lavandino, giochi sul pavimento, video di YouTube che andavano sul cellulare. Il frastuono felice di una famiglia normale — la vita di cui si aspettava di poter far parte.

Invece, la ragazza sentì di essere già invischiata in un amaro e complesso conflitto. Non poteva di certo sperare di divenire amica di quei bambini in un momento — non con le dinamiche familiari che le si erano rivelate fino a quel momento. Quel luogo era un campo di battaglia — e per quanto avrebbe potuto trovare un alleato in Ella, temeva di aver già trovato una nemica in Antoinette.

La luce del soffitto, che stava lampeggiando già da un po', si spense. Cassie armeggiò col suo zaino, cercò il telefono, e iniziò a disfare i bagagli meglio che poteva alla luce della torcia. Poi mise il cellulare in carica nell'unica presa che riuscì a vedere, sul lato opposto della stanza, e si trascinò al buio verso il letto.

Preoccupata, affamata e infreddolita, si mise comoda tra le fredde lenzuola e le tirò su fino al mento. Si era aspettata di sentirsi più speranzosa e positiva dopo aver conosciuto la famiglia, invece si ritrovò a dubitare di potersela cavare, e a temere ciò che sarebbe accaduto l'indomani.

Quasi scomparsa

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