Читать книгу La Tresca Perfetta - Блейк Пирс - Страница 6
CAPITOLO TRE
ОглавлениеLizzie Polacnyk arrivò a casa davvero tardi.
Si era aspettata di tornare dalla sua sessione di studio alla California State University a Northridge entro le 7 di sera. Ma avevano un esame enorme di Psicologia 101 domani e tutti si erano fatti domande senza sosta. Quando avevano deciso che la serata era finita, si erano fatte ormai le nove passate.
Quando aprì la porta di casa sua, erano quasi le 21:45. Cercò di mantenere il silenzio, ricordando che Michaela aveva fatto chiusura alle 6 di mattina gli ultimi due giorni, e quindi ormai era sicuramente addormentata.
Percorse il corridoio in punta di piedi fino alla sua stanza e fu sorpresa di vedere una luce soffusa che filtrava da sotto la porta della camera della compagna d’appartamento. Non era da lei restare sveglia fino a tardi se doveva alzarsi prima delle cinque di mattina. Si chiese se l’amica di vecchia data e recente coinquilina fosse stata semplicemente troppo stanca e si fosse addormentata con la luce accesa. Decise di sbirciare dentro alla camera e spegnerla se necessario.
Quando spinse la porta leggermente, vide Michaela stesa supina, senza le coperte addosso. Il cuscino le copriva in parte la faccia. C’era solo l’abat-jour accesa, quindi era difficile esserne sicuri, ma sembrava che non si fosse neanche levata i vestiti della giornata: una divisa da cheerleader.
Lizzie stava per chiudere la porta quando notò una cosa strana. La gonna era tirata in basso, sulle cosce di Michaela, lasciando scoperto il pube. Questo sembrava piuttosto strano, per quanto fosse stata stanca.
Lizzie si chiese se tirare un lenzuolo sopra all’amica per coprirla. Considerato quello che Michaela faceva di lavoro, sembrava un atto di forzata modestia. E poi non era che nessuno sarebbe potuto entrare nella stanza. Però Lizzie sentì la ragazza cattolica dentro di sé che si dimenava e sapeva che l’avrebbe tormentata tutta la notte se non avesse fatto qualcosa.
Quindi spinse delicatamente la porta ed entrò nella stanza, camminando silenziosamente fino al bordo del letto. Era a metà strada quando si fermò di colpo. Ora, senza schermi davanti, poteva vedere i buchi sul petto e sullo stomaco di Michaela.
Una densa pozza si era formata sotto al suo torso, con il sangue che era uscito dalla divisa lacerata, e stava leggermente imbevendo le lenzuola del letto. Gli occhi dell’amica erano strizzati, come se li avesse tenuti chiusi con forza per proteggersi da ciò che stava accadendo.
Lizzie rimase lì per diversi secondi, insicura su come reagire. Sentiva di dover forse gridare, ma la gola era improvvisamente secca. Lo stomaco gorgogliò e lei temette per un secondo di dover vomitare.
Sentendosi come in uno strano sogno, si girò e uscì dalla stanza, tornando in cucina, dove si versò un bicchiere d’acqua. Quando fu sicura di essere in grado di parlare, chiamò il 911.
*
L’appuntamento stava andando bene.
Mentalmente Jessie iniziò a chiedersi se questa sera potesse essere la sera giusta. Era quasi riluttante a desiderarlo. La sua relazione con Ryan era la cosa più stabile nella sua vita in questo momento, ed era restia a fare qualsiasi cosa potesse complicarla.
Aveva passato la maggior parte della serata nell’affascinante ed elegante ristorante italiano, lamentandosi di come le cose stessero andando con Hannah. Gli aveva raccontato le basi della sua conversazione con la dottoressa Lemmon e si lamentava della mancanza di progressi da parte sua nell’aiutare la sorellastra a tornare alla normalità. Fu solo quando Ryan si scusò per andare in bagno che Jessie si rese conto di quando fosse stata centrata solo su se stessa.
Il posto, un locale meraviglioso, anche se snob, nella San Fernando Valley, era scarsamente illuminato e romantico. L’atmosfera era accentuata dal fatto che Ryan aveva in qualche modo prenotato l’unico tavolo al secondo piano, che consisteva in un balcone che si affacciava sul resto del ristorante. Ma fino ad ora lei ne era stata per lo più ignara.
E aveva anche scarsamente registrato, fino a quel momento, il fatto che lui non aveva quasi parlato per tutta la serata. Era rimasto invece pazientemente seduto mentre lei blaterava dei suoi problemi domestici, senza praticamente permettergli di intervenire. In effetti, ora che ci pensava, non ricordava di avergli fatto una sola domanda in tutta la serata.
Mentre il senso di colpa la investiva, lo vide uscire dal bagno al piano di sotto e camminare agilmente tra i tavoli portandosi verso la scala. Allo stesso tempo notò un’altra cosa: quasi tutte le donne a cui passava accanto, gli lanciavano un’occhiata. Chi poteva biasimarle?
Era un uomo difficile da ignorare. Alto un metro e ottantacinque per novanta chili fatti apparentemente di marmo, con i capelli corti e neri e dei piacevoli occhi castani, camminava con la sicurezza di un uomo che non aveva bisogno di fare colpo su nessuno.
E se quelle donne avessero saputo qual era il suo lavoro, sarebbero state ancora più ammaliate. In quanto primo detective di un’unità speciale dell’LAPD chiamata Sezione Speciale Omicidi – HSS in breve – i suoi casi avevano tutti un alto profilo o intenso scrutinio mediatico, e spesso coinvolgevano numerose vittime e serial killer.
Ed era qui con lei. C’era voluto un po’ per arrivare a questo punto. Lui era agli stadi finali di un divorzio dopo sei anni di matrimonio. Jessie era single da un po’ di più. Il suo matrimonio era finito in modo più drammatico quando l’attuale marito aveva tentato di incastrarla per l’omicidio della sua amante. Quando Jessie aveva scoperto il suo piano, l’uomo aveva tentato di ucciderla. Attualmente stava scontando la sua pena nella prigione della Contea di Orange.
Ryan si sedette di fronte a lei e Jessie gli prese la mano.
“Scusa,” gli disse. “Ho dominato del tutto la conversazione. Come stai?”
“Tutto bene,” rispose lui. “Quel delitto del boss della droga è stato risolto oggi.”
“Non mi hai mai chiamata ad aiutarti,” gli disse, fingendo di essere offesa.
“Era piuttosto chiaro. Non c’era proprio bisogno dei servizi di un’affascinante profiler.”
“Chi se ne frega,” protestò Jessie. “Tu chiamami comunque. Almeno possiamo passare un po’ di tempo insieme.”
“Che romantica,” disse. “Ma vuoi mettere farsi gli occhi dolci davanti a un cadavere?”
“Si fa quello che si può,” disse Jessie scrollando le spalle. “E poi, per il mio ultimo caso mi hanno assegnata a Trembley, che – senza offesa – non è esattamente il collega dei miei sogni.”
“Ehi,” protestò Ryan scherzosamente. “Il detective Alan Trembley è un solido professionista e dovresti sentirti onorata di poter lavorare con lui per qualsiasi caso ti capiti per mano.”
“È piuttosto noioso.”
“Mi sento risentito per suo conto,” disse Ryan, cercando di accigliarsi. “E poi, il fatto di non averti con me mi permette di programmare il tuo compleanno senza averti in mezzo ai piedi.”
“Stai programmando qualcosa per me?” chiese Jessie, sinceramente sorpresa. “Non avevo neanche idea che sapessi la data.”
“Sono un detective, Jessie. Diciamo che è il mio campo. Non ti avrei detto nulla, ma ho bisogno di accertarmi che la tua agenda sia libera giovedì sera. Ok?”
“Ok,” confermò lei, arrossendo leggermente.
Lui le sorrise e Jessie sentì un’ondata di calore pervaderla. Il fatto che qualcuno si prendesse la briga di scoprire quando fosse il suo compleanno e organizzasse qualcosa per festeggiarlo, normalmente l’avrebbe resa illogicamente ansiosa. Ma in qualche modo, trattandosi di Ryan, si sentiva a proprio agio con quell’idea, addirittura elettrizzata.
Si chiese se avesse in mente un regalo anticipato di natura intima per lei stasera. Stava per accennare all’idea, quando il telefono di lui squillò. Non riconobbe la suoneria. Chiunque fosse, Ryan si accigliò. Con il solo movimento labiale le disse Scusa e rispose.
“Detective Hernandez,” disse.
Jessie osservò Ryan che ascoltava la voce dall’altro capo della linea. Il cipiglio sul suo volto si fece più pronunciato a ogni momento che passava. Dopo aver aspettato in silenzio per circa trenta secondi, alla fine rispose.
“Ma la Divisione della Valley è già lì. Non sarà troppo tardi?”
Rimase in silenzio mentre l’altra persona rispondeva. Dopo altri venti secondi, parlò di nuovo.
“Capisco. Ci sono.”
Poi riagganciò. Fissò il telefono per un momento, come se l’apparecchio potesse parlargli. Quando sollevò lo sguardo, i suoi occhi erano duri e freddi.
“Odio doverlo fare, ma dobbiamo saltare il dolce. Devo andare a dare un’occhiata a una scena del crimine e se non ce ne andiamo adesso, potrebbe essere troppo tardi.”
Jessie aveva già visto Ryan così a disagio. Fece cenno alla cameriera per richiamare la sua attenzione e quando lei si avvicinò le porse delle banconote.
“Troppo tardi?” chiese Jessie. “Cosa significa?”
Ryan si alzò in piedi e le indicò di fare lo stesso. Stava già andando verso la scala quando le rispose.
“Te lo spiego per strada.”