Читать книгу La Tresca Perfetta - Блейк Пирс - Страница 9
CAPITOLO SEI
ОглавлениеPer un secondo Jessie pensò che anche la coinquilina di Michaela fosse morta.
Nonostante le rassicurazioni degli infermieri del pronto soccorso, la ragazza non reagì quando aprirono il portellone dell’ambulanza e cercarono di richiamare la sua attenzione. Anche quando la chiamarono con quello che gli infermieri dissero essere il suo nomignolo preferito, Lizzie, non fece un solo movimento. Fu solo quando Ryan alzò la coperta termica in cui era avvolta che la ragazza diede il primo segno di vita.
“Che c’è?” chiese con voce stanca e scontrosa.
La ragazza sembrava essere negli ultimi anni dell’adolescenza. Anche se non aveva visto la camera di Lizzie, Jessie capì subito che si trattava di una personalità più contenuta rispetto alla compagna di appartamento. I capelli castani erano raccolti indietro e il trucco sul viso era quasi inesistente. Era vestita in modo molto conservatore, con una felpa con cerniera dell’Università Statale della California e un paio di pantaloni. Portava al collo un crocifisso.
Jessie guardò Ryan accigliata, non soddisfatta dalla sua tattica. Ma lui scrollò le spalle come a dire che aveva esaurito tutta la pazienza.
“Lizzie,” iniziò Jessie, usando la voce più empatica che le fosse possibile, “stiamo indagando su quanto successo e dobbiamo farti delle domande.”
“Mi hanno dato qualcosa,” disse Lizzie. “Mi sento un po’ strana.”
“Capiamo,” le assicurò Jessie mentre la aiutava a mettersi seduta. “E ti faremo portare in ospedale per fare un controllo subito dopo. Ma prima abbiamo bisogno di sapere alcune cose da te, va bene?”
“Va bene.”
“Come facevi a conoscere Michaela?” le chiese.
“Siamo andate a scuola insieme,” disse Lizzie, parlando lentamente, come se avesse bisogno di concentrarsi su ogni singola parola. “Lei ha finito prima, ma siamo rimaste in contatto. Quando mi sono diplomata abbiamo deciso di diventare coinquiline. Era una brava compagna d’appartamento.”
Jessie si voltò a guardare Ryan. La ragazza era davvero fuori combattimento. Sarebbe stato difficile cavarle fuori qualcosa. Lui inarcò le sopracciglia, frustrato. Jessie tentò di nuovo.
“Lizzie, Michaela aveva famigliari in zona?”
Con molto sforzo, Lizzie scosse la testa.
“E un ragazzo, o qualcuno con qui avesse magari recentemente litigato?”
“Nessun ragazzo,” rispose Lizzie pigramente.
“Magari un collega con cui aveva dei problemi?”
Gli occhi di Lizzie, fino a quel momento piuttosto appannati, si fecero più concentrati.
“Mick era una cameriera,” disse lei frettolosamente.
“Ok,” rispose Jessie, sorpresa dall’intensità della sua affermazione. “Aveva problemi con qualcuno al lavoro?”
“Era una cameriera,” ripeté Lizzie con veemenza.
Jessie si arrese e si voltò nuovamente verso Ryan.
“Penso che dovremo aspettare per parlarle. Non ha senso.”
“Sarebbe quello che preferirei anche io,” disse l’infermiere che si trovava lì vicino. “Dopo quello che ha passato, e con i medicinali che le abbiamo somministrato, vorrei davvero portarla dentro per farle dare un’occhiata.”
“Vada pure,” gli disse Ryan. “Passeremo di là a parlarle domani.”
Guardarono mentre Lizzie veniva assicurata alla barella e le porte dell’ambulanza si chiudevano. Mentre il veicolo partiva nel buio della notte, a Jessie venne in mente una cosa.
“Il detective della Valley non si è ancora visto.”
“Non sono sicuro che vogliamo essere qui quando arriverà,” le disse Ryan. “Non voglio che ci tempesti di domande sullo ‘schema investigativo’ che stiamo seguendo.”
“Non gli vuoi chiedere perché sia arrivato così tardi?” gli domandò Jessie sorpresa.
“Sì. Ma ho come la sensazione che andremmo a colpire lo stesso muro di mattoni che ci siamo trovati davanti con Costabile. Dobbiamo scoprire di più prima di pararci davanti a questi tizi.”
“Questo lo capisco,” gli disse Jessie. “Ma giusto per essere chiari, siamo d’accordo che c’è qualcosa di seriamente losco qui, giusto? Voglio dire, quel Costabile sembra più un capo della mafia che un sergente della polizia. O magari è il Don Corleone dell’ufficio della Valley.”
Ryan la guardò, chiaramente a disagio con le sue parole, ma non cercò di controbattere. Jessie decise di lasciarlo stare e continuò a parlare prima che lui potesse risponderle.
“Non penso che tireremo fuori niente di utile stasera.” Sospirò.
“No. Sarà meglio riprendere la cosa per mano domattina. A quel punto Lizzie sarà più coerente. La Caldwell potrebbe avere qualcosa di più definito sulla potenziale aggressione sessuale e potremo vedere se qualcuno ha tentato di vendere il portatile o il telefono di Michaela.”
“Ok,” disse Jessie riluttante. “Una cosa la sappiamo per certo. La tua Cathy Bla-bla aveva ragione. C’è decisamente qualcosa di poco chiaro in questo caso.”
*
Hannah era sveglia quando Jessie tornò a casa.
La ragazza quasi non alzò lo sguardo dal film che stava guardando quando lei entrò. Era quasi l’una di notte e domani sarebbe dovuta andare a scuola, ma Jessie non aveva energie per mettersi a discutere.
“È stata una lunga serata,” disse. “Vado a letto. Puoi abbassare il volume per favore e cercare di andare a letto presto, in modo da essere in forma domani?”
Hannah abbassò il volume di qualche tacca, ma per il resto non diede alcun cenno di aver sentito le parole della sorellastra. Jessie rimase sulla soglia della sua camera da letto per qualche secondo, dibattuta se tentare di nuovo. Ma alla fine decise che non ne valeva la pena e si limitò a chiudere la porta.
Dormì un sonno inquieto quella notte. Non era una cosa insolita. Negli ultimi anni aveva potuto contare su regolari incubi centrati sugli uomini che avevano costituito una minaccia per la sua vita. Erano generalmente un mix in cui comparivano il suo ex-marito, suo padre e Bolton Crutchfield.
Ma questa notte, come molte delle notti recenti, i suoi sogni furono centrati su Hannah. La sua mente era scossa da un vortice di immagini sconnesse, alcune della ragazza in pericolo nelle mani di un aggressore mascherato, altre in cui camminava indifferente verso il pericolo.
Ma il sogno che la preoccupò di più fu l’ultimo, in cui Hannah sedeva a un tavolo, sorridendo noncurante mentre un cameriere non identificabile le serviva un piatto pieno di parti di corpo umano. Si stava proprio portando una forchettata di carne umana alla bocca quando Jessie si svegliò di soprassalto, madida di sudore e con il respiro affannoso.
I primi raggi di sole del mattino filtravano attraverso una fessura tra le tende. Jessie si mise a sedere, ruotò le gambe fuori dal lato del letto e si appoggiò la testa tra le mani. La fronte le batteva dolorante e sentiva un vago senso di nausea. Mentre prendeva dell’ibuprofene e una bottiglietta di Pepto-Bismol, cercò di non interpretare troppo i sogni fatti.
Sapeva per esperienza che non erano tanto premonitori, quando una manifestazione delle sue paure. Faceva sogni del genere perché temeva per il futuro di Hannah, non perché quello che vi vedeva fosse destinato a divenire realtà.
Almeno questo era ciò che continuava a ripetersi.