Читать книгу Non resta che nascondersi - Блейк Пирс - Страница 12

CAPITOLO NOVE

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Il Tregua tra le Rupi si trovava proprio al limitare del resort. Era un edificio a tre piani fatto di vetro e piattaforme circolari in legno. Sembrava innalzarsi su dei trampoli, ergendosi tanto da andare a sfiorare le cime degli alberi circostanti, e presentando una veduta incredibile sulla vallata sottostante. Adele e l’agente Marshall uscirono dal golf cart che avevano preso in prestito e si avvicinarono ai gradini in legno, che erano impreziositi da piccoli frammenti di pietre luccicanti che riflettevano la luce proveniente dall’alto.

Adele teneva le mani nelle tasche del giaccone e aveva il naso arrossato dal freddo, ma non poté comunque ignorare la bellezza dello scenario che circondava il bar sopraelevato.

Le montagne come sfondo, una vallata in primo piano, vetrate tutt’attorno a mostrare la meraviglia della natura. Adele salì i gradini con l’agente Marshall al seguito.

Aprì la porta del locale e si trovò davanti alcuni tavoli già occupati da dei clienti. A uno di essi era addirittura riunita una famiglia. I bambini stavano sorseggiando delle coca cole, mentre i genitori si gustavano due bicchieri di vino.

I tavoli stessi erano affascinanti. Erano fatti di vetro, con piccole pietre, levigate o lucidate, incastonate nella resina. Delle lampadine singole erano sistemate all’interno di alloggiamenti concavi nel soffitto, e illuminavano l’ambiente creando disegni luccicanti sui tavoli. Il soffitto era scuro, e con i colori riflessi assomigliava al cielo della notte. Dei lucernai lasciavano intendere che nelle notti più buie ma prive di nuvole, i visitatori potessero godersi la magnifica vista del cielo.

Per ora era ancora tardo pomeriggio e la notte non era ancora calata.

Adele si avvicinò al bancone con l’agente Marshall dietro di lei. Si sentiva un po’ fuori posto mentre si faceva strada verso il bancone e vi si appoggiava. “Mi scusi, sto cercando Joseph Meissner.”

La donna dietro al banco si voltò a guardarla, poi mise un bicchiere di fronte a un uomo robusto con un giaccone marrone. Sorrise all’uomo e scambiò con lui qualche chiacchiera prima di avvicinarsi ad Adele e all’agente Marshall. “Joseph è fuori,” disse senza tante cerimonie.

“Sa dove si trova?”

“Sta rifornendo il magazzino. Perché? Chi siete?”

“Sono l’agente Sharp. Sto indagando sulla scomparsa del signore e della signora Beneveti. Ho sentito che Joseph ha avuto qualche battibecco con loro.”

A volte l’approccio più diretto bastava ad eliminare la titubanza della gente. O almeno questo sperava Adele. Studiò la barista e la donna socchiuse gli occhi. “Joseph è un bravo ragazzo. Non c’entra niente con questa storia. E poi mi pare di aver capito che è stato l’attacco di un orso.”

“Così continuo a sentire,” disse Adele. “Sa quando Joseph sarà di ritorno?”

La donna incrociò le braccia. Non c’erano tatuaggi in evidenza. Ma Adele poté vedere dei piccoli fori, vagamente coperti con una sorta di cipria, sulle orecchie e sul naso della donna, a suggerire che quando non era di servizio, portava almeno tre piercing.

“Come ho detto, Joseph è un bravo ragazzo. E poi i Beneveti erano degli stronzi.”

Adele sbatté le palpebre. L’agente Marshall si fece più vicina.

“Molto esplicita,” disse Adele. “Le spiacerebbe spiegare?”

La donna dietro al bancone sbuffò. Si voltò, prese un paio di bicchieri e si portò all’estremità del banco, versandovi dentro qualcosa da un’alta bottiglia marrone con un’etichetta dorata. Aveva appena finito di versare che due clienti dal tavolo in fondo alla sala alzarono le mani e uno di loro esclamò: “Un altro giro, per favore.”

La donna sorrise, prese entrambi i drink e li portò al tavolo. Poi tornò indietro.

Adele aspettò con pazienza, guardandola mentre tornava verso di loro. La barista strofinò le mani sul piccolo canovaccio appeso dietro al banco. “Erano degli stronzi. Parlavano ad alta voce, erano prepotenti. Era come se fossero i padroni del posto. Il signor Beneveti me ne ha fatta passare più di una. Ovviamente non avevo il permesso di farne un grosso problema. Poi ha iniziato ad allungare le mani. Il signor Beneveti ha cercato di far licenziare diversi di noi. Anche Joseph, da quello che ricordo.”

Adele annuì. “Così ho sentito dire. Sta dicendo che il signor Beneveti le ha messo le mani addosso?”

La donna sbuffò. “Non usi la sua bocca per parlare dei miei problemi. No. Ho detto che allungava le mani. Era prepotente. Lavoro in un bar. Poche inibizioni e clienti ricchi. Danno buone mance, ma parte della mia dignità,” disse indicando verso la porta, “la lascio su quei gradini all’ingresso. Altrimenti non ce la farei mai.”

Adele fissò la donna. “Va bene, quindi i Beneveti non le piacevano.”

La barista scosse la testa. “Non c’era tanto da gradire. Ricchi stronzi. Davano buone mance, e questo è giusto. Ma se fai come loro, è facile dare mance e poi sperare che i tuoi problemi svaniscano. Non dico che non fosse carino da parte loro. Ma sì, non mi piacevano. Non piacevano a un sacco di gente.”

Adele tamburellò le dita sul bancone. “Inizio a percepire la sensazione. Bene, la vorrei ringraziare per il suo tempo. C’è nient’altro che magari ha notato? Niente di strano? Qualcuno che conosce che avrebbe potuto covare del rancore per i Beneveti?”

“Pensavo fosse stato l’attacco di un orso,” ripeté la donna.

Adele scrollò le spalle. “Sto solo mettendo i puntini sulle i. Le viene in mente niente?”

La donna fece per rispondere, ma subito la sua espressione spensierata e il suo atteggiamento senza filtri mutarono. Una maschera di preoccupazione rapidamente lasciò spazio a un’espressione docile e obbediente. Raddrizzò la schiena, tirò indietro le spalle e sorrise con cortesia. “È tutto?” chiese, con tono attento e gentile.

Adele si accigliò, poi sentì il tintinnio di un campanello alle sue spalle e si voltò a guardare.

Un uomo con un abito grigio si trovava sulla porta. Non si era neanche messo una giacca. Era basso di statura, grassoccio e quasi calvo. Un inserviente alle sue spalle teneva sottobraccio una giacca. L’uomo stava scuotendo la testa e il suo viso era rosso e paonazzo. “Scusatemi,” disse con voce severa. “Scusatemi, voi due!”

Adele ci mise un paio di secondi a capire che l’uomo si stava rivolgendo a lei e all’agente Marshall. Si voltò. “Sì?”

“State importunando i miei dipendenti?”

Adele si rese conto un secondo dopo che l’uomo con il giaccone al braccio era Otto. Il signor Klein sussultò imbarazzato e scosse la testa, pronunciando un tacito Scusate.

Adele guardò l’uomo. “E lei chi è?”

“Sono il direttore Adderman. Sono a capo di questa struttura. Ho sentito che state dando fastidio ai miei dipendenti.”

Parlava con tono severo ma tranquillo. Con la sicurezza tipica di chi è al comando. Abbastanza forte perché Adele potesse percepire la sua antipatia per loro, ma abbastanza sommessamente da non farsi sentire dai clienti presenti. Si avvicinò e la sua voce seguì i suoi passi. Era più basso di Adele di una buona spanna. Anche l’agente Marshall era più alta di lui.

“Vi devo chiedere di andarvene subito,” disse il direttore.

Adele inarcò un sopracciglio. “Temo che lei non possa farlo. Questa è un’indagine criminale.”

Il volto del direttore Addermann si fece ancora più rosso. “Tenga la voce bassa,” disse con tono secco. Allungò una mano e afferrò il polso di Adele, pronto a trascinarla verso la porta.

Adele rimase ferma e ruotò il braccio divincolandosi. Lanciò all’uomo un’occhiata torva. “La avviso di non toccarmi un’altra volta. Ce ne andremo quando saremo pronte. Non rispondiamo a lei.”

“Questa è proprietà privata,” disse il direttore, agitando un dito davanti al naso di Adele.

L’agente Marshall scosse la testa. “Non ha importanza. Stiamo indagando. Se desidera, può discuterne con il mio capo.”

“E chi sarebbe il suo capo?” chiese l’uomo.

“Il direttore Baumgardner,” disse la giovane senza battere ciglio.

Parte della furia dell’uomo parve raffreddarsi. “BKA? E lei? Da dove viene lei?”

Adele scrollò le spalle. “FBI. Interpol. Stiamo indagando sulla scomparsa del signore e della signora Beneveti. Abbiamo saputo che erano clienti regolari qui. È vero?”

Il volto del direttore era ancora più paonazzo di prima. Scosse la testa. “Piantatela di importunare i miei dipendenti. Lasciate stare i clienti. Dovete indagare: bene. Non vi posso fermare. Ma finitela di rovinarmi gli affari.”

“Come potremmo mai farlo?” disse Adele accigliandosi.

A quel punto, abbassando la voce ancora di più, il direttore si chinò verso di lei e sibilò: “È stato l’attacco di un orso! Questo hanno detto quelli della ricerca e salvataggio. Questo è quello di cui siamo convinti. La pianti di spaventare i miei clienti. Un paio di persone hanno già fatto delle domande. Se mi manda all’aria gli affari, Dio mi aiuti, la denuncio. La denuncio fino a che di lei non rimarrà più niente. Chiaro?”

Adele lo fissò e scosse la testa. “È il resort che sta avvalorando la storia? Spingendo la gente a credere che si sia trattato dell’attacco di un orso?”

Il direttore la scrutò con circospezione. Le sue guance arrossate parevano avvampare sia di rabbia che di freddo. Fece un passo indietro e scrollò le spalle. “Noi diciamo solo quello che ci ha riportato la squadra di ricerca e salvataggio. L’indagine sta a voi. Ma piantatela di importunare i miei dipendenti e i miei clienti. Grazie.”

Si fece da parte e indicò la porta allungando con finta cortesia un braccio.

Adele guardò la mano dell’uomo. Per pura ripicca, voleva restare. In un angolo della sua testa stava pensando a cosa avrebbe fatto John. Probabilmente avrebbe ordinato qualcosa da bere proprio davanti al direttore, godendosi il rossore che imporporava sempre più il volto dell’uomo. Ma Adele non era John. Non era tipa da permettere al proprio orgoglio di decidere per lei. Il direttore non la voleva qui. Era maleducato, prepotente. Spaventato. Spaventato di perdere il suo lavoro. Un altro resort stava per aprire poco distante, ugualmente lussuoso, e forse era quello il motivo che l’aveva reso tanto nervoso.

C’erano un sacco di soldi coinvolti in posti come quelli. Più di quanto lei avrebbe mai pensato. E dove c’erano i soldi, c’era un movente.

Adele passò le dita sopra al bancone. Qualcosa nel legno freddo sotto ai suoi polpastrelli le fece spostare lo sguardo oltre il direttore, verso le finestre che si affacciavano sulle piste da sci.

Di nuovo, aveva solo dieci anni. Di nuovo, vide suo padre e sua madre seduti di fronte a lei in… una sala da pranzo? No, non una sala da pranzo. Un ristorante. Anche quello vicino alle piste. Ricordava che da bambina sciava. Nelle Alpi. Adele si fermò e si accigliò.

Bellissimi ricordi, ma disseminati di scene di rabbia. Litigi. Grida.

Rabbrividì, desiderando che quei pensieri svanissero.

Scosse la testa, come a voler cacciare via un’emicrania, e si alzò in piedi, allontanandosi dal bancone. Fece un cenno del capo in segno di ringraziamento alla barista e un rigido saluto con la mano al direttore. L’agente Marshall la seguì. Le due donne uscirono dal bar e scesero i gradini.

“Beh, è stato un momento vivace,” disse la Marshall sottovoce.

“Sì,” disse Adele. “Il direttore ha un velato interesse nel fermare le indagini.”

“Cosa pensi?” chiese la Marshall, ora sottovoce.

Adele fece ancora qualche passo, assicurandosi che nessuno dal bar potesse sentirle. “Mi sto chiedendo se ci sia dell’altro che possano aver coperto. Qualsiasi cosa. Ci sono in ballo un sacco di soldi qui.”

La Marshall si accigliò. “Non pensi che il direttore abbia qualcosa a che vedere con l’omicidio, vero?”

Adele sollevò le spalle. “Non posso esserne certa. Ci sono un sacco di sospetti qui. Il nostro lavoro è di sfoltire l’elenco.”

“Quella coppia svizzera in Francia? Nessuna notizia da quel fronte?”

Adele scosse la testa. “Non ho avuto modo di ragguagliarmi con gli investigatori.”

“Però li conosci, no? So che hai lavorato con in francesi in passato.”

“Sono in parte francese. Anche americana. E tedesca.”

La Marshall fischiò mentre si avvicinavano al golf cart. “Tre cittadinanze? Impressionante. Parli molto bene la lingua.”

“Grazie. Ma no, nient’altra informazione sugli svizzeri. Appena ne avrò l’occasione, parlerò con gli investigatori.”

Adele entrò nel golf cart con la Marshall e la giovane agente iniziò a guidare tornando verso l’ala principale del resort.

Adele era pensierosa mentre si spostavano, il volto sferzato da fredde folate di vento. Osservò le montagne e gli alberi, ripercorrendo con gli occhi i sentieri innevati. I Beneveti erano stati assassinati. Ne era certa. Il rapporto del medico legale sarebbe arrivato molto presto, ma l’avrebbe confermato. Però le congetture non erano niente senza gli indizi. Una sensazione di pancia significava poco senza una direzione. Se intendeva portare anche altri a credere al suo istinto, avrebbe dovuto trovare prima delle solide prove.

Non resta che nascondersi

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