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CAPITOLO DIECI

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Adele reclinò la sedia imbottita accanto al caminetto, contornato di pietre che ne delineavano la sagoma, curvando poi verso l’alto a formare una canna fumaria che usciva dal soffitto. Alle sue spalle le pareti di vetro erano spoglie, le tende scostate che permettevano alle stelle di guardarla ammiccando. Il bagliore bianco e tenute che veniva dal cielo si mescolava con l’arancione baluginante irradiato dal fuoco.

Adele pensò vagamente a Robert e alla sua villa. Pensò a sé stessa seduta accanto al fuoco con il suo vecchio mentore, entrambi concentrati sulle fiamme e sugli appunti del loro caso.  Adele teneva la mano posata sul bracciolo, le nocche che sfioravano leggermente il tavolo circolare su cui aveva posato il suo telefono.

Aspettava.

Il rapporto del medico legale era atteso a momenti. Avrebbe confermato i suoi sospetti. Doveva farlo.

Ormai aveva fatto incazzare il direttore del posto e agitato un paio di dipendenti. Questo era un gioco politico. La presenza dell’agente Marshall ne era la prova. Quello che le era stato raccontato della situazione andava solo a sottolineare ancora di più il bisogno di risposte. E presto. Domani ci sarebbe stata l’apertura del nuovo resort. Migliaia di posti di lavoro, centinaia di milioni di dollari, un’intera industria alimentata dal denaro.

E in montagna, due coppie scomparse. Una trovata morta, fatta a brandelli.

Adele guardò il telefono, ma lo schermo era grigio e opaco. Ancora niente notifiche. Si appoggiò allo schienale, incrociando le mani sopra allo stomaco e fissando il fuoco.

Le fiamme avevano un potere ipnotizzante che richiamava l’attenzione. Alcuni ricordi erano simili. Emozioni che alimentavano le fiamme del pensiero e richiedevano attenzione su un tempo diverso. Erano proprio pensieri così che si intrufolavano nella mente di Adele.

Non resta che nascondersi

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