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Capitolo Primo

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Londra 1825

Jason Thompson, il Conte di Asthey, si appoggiò allo schienale della sua poltrona nello studio del Coventry Club e si accigliò guardando la lettera, l'ultima tra le tante, inviatagli dall'avvocato di suo nonno che chiedeva un abboccamento con lui. Non voleva averci a che fare. Suo nonno materno, il duca di Wilmington, era sempre stato buono con lui. Se non fosse stato per suo nonno, sarebbe stato sul lastrico già tanto tempo fa. Suo padre si era mangiato al gioco tutte le sue sostanze quando Jason era poco più di un adolescente. Qualche anno dopo era morto in circostanze oscure. Nessuno riuscì ad affermare con sicurezza che si fosse trattato di suicidio, ma ciò non frenò i pettegolezzi.

La maggior parte delle persone che lo conoscevano pensò che si fosse ammazzato perché non riusciva a far fronte ai debiti. Fu quando arrivarono i creditori di suo padre a esigere il pagamento, che la sua vita cambiò improvvisamente e in modo terribile. Jason era ancora un ragazzo inesperto delle cose della vita, ma ne ricevette una lezione che non avrebbe mai dimenticato e che avrebbe forgiato la sua personalità. Quegli uomini indegni avevano cominciato a ricattare sua madre e a trattarla come una donna di malaffare, e non di rado erano riusciti anche ad umiliare il giovane Jason. A volte temeva che avrebbero ucciso anche lui. Ma resistette, per timore che, se lui fosse morto, sua madre avrebbe potuto fare una fine ancora peggiore: diamine, forse non avevano nemmeno bisogno di ammazzarlo, per abusare di lei!

Quegli uomini non erano veri creditori, ma gente del racket. Erano spietati assassini, e non riuscire a saldare il proprio debito equivaleva a una condanna a morte. Fu allora che Jason cominciò a chiedersi se la morte di suo padre non fosse stato invece un omicidio.

Alla fine, lui e sua madre erano riusciti a sopravvivere per miracolo, ma quell’ atroce esperienza aveva segnato Jason a vita. Il Duca suo nonno li aveva salvati da una brutta fine e aveva saldato i debiti. Jason si era rifiutato di lasciare la sua casa, ma sua madre era andata a vivere con il padre. Diceva di sentirsi più sicura nella sua vecchia casa. Jason invece aveva scelto una strada diversa. Aveva imparato a sparare ed era diventato un tiratore esperto. Poi aveva iniziato ad andare in giro armato. In seguito aveva preso anche lezioni di pugilato, per essere in grado di difendersi anche se malauguratamente si fosse trovato disarmato. In ogni caso, nessuno avrebbe più potuto offenderlo o alzare le mani su di lui.

Ormai, erano sei mesi che il Duca suo nonno era morto. Era strano, quindi, che Jason si fosse rifiutato di conoscere il nuovo Duca? Non gli piaceva suo zio, e si era rifiutato perfino di andare a stringergli la mano nel castello di Wilmington. E non vedeva alcun motivo per questo abboccamento con l’ avvocato del nonno. Tanto, la maggior parte del Ducato era stata pignorata, e quindi la sua eredità sarebbe stata sicuramente esigua. Jason era riuscito a mettere a frutto i pochi fondi che gli concedevano l’unico suo possedimento reale, la tenuta Ashtey. Tuttavia, anche questo stava per finire, perché le entrate non riuscivano a coprire le spese per mantenere una tenuta così grande.

Con quell’andazzo, avrebbe perso la proprietà nel giro di un anno, o al massimo due. La tenuta aveva bisogno di ristrutturazioni importanti, e la maggior parte dei suoi latifondisti cercava di provvedere da solo come poteva. Jason non sapeva cosa doveva fare al riguardo. Prendere per moglie una donna ricca poteva essere una valida opzione. Certo, avrebbe risolto tutti i suoi problemi finanziari, ma un matrimonio così gli avrebbe anche lasciato tanto amaro in bocca. Odiava l'idea di sposarsi solo per soldi. Onestamente, odiava completamente l'idea del matrimonio, alla luce di quello che era successo tra i suoi genitori. Avrebbe preferito rimanere libero, piuttosto che rendere infelice una povera donna.

"Che cosa fate qui, tutto solo, con quella faccia?"

Shelby avanzò verso di lui, a passi lenti. Jason alzò lo sguardo e si accigliò. I capelli scuri dell’amico erano arruffati, forse a causa del forte vento che soffiava fuori: dubitava che Shelby avesse ripreso con le sue vecchie abitudini di sedurre qualsiasi donna compiacente si trovasse sul cammino. Sapeva che Shelby amava sua moglie. E per il resto…beh, lui non aveva debiti o cose del genere, e non beveva neanche più. Quindi, con ogni probabilità era ormai una persona dabbene e un marito fedele. Indossava un elegante completo scuro, con panciotto verde smeraldo e camicia e cravatta bianche.

Jason batté un dito sul bracciolo della sedia. "Cosa fate voi, qui? " rispose, sollevando un sopracciglio. "Questo club è interdetto agli uomini che hanno ceduto alle tristi lusinghe del matrimonio".

Shelby ridacchiò e si sedette accanto a lui. Mentre si accomodava sul divano, disse: “Harrington ha deciso di fare alcune eccezioni. Chiaramente, nell’interesse di alcuni gentiluomini del club che hanno bisogno di aiuto. Ha convinto me e Darcy per agire in sua vece, quando lui non c’è."

"Negli ultimi tempi è spesso fuori Londra." convenne Jason. Harrington avrebbe potuto chiedere a lui di fargli da vice. Gli avrebbe fatto piacere. "Da quando è diventato padre ha nuove responsabilità.”

"No, ha nuove priorità - precisò Shelby - Ma succede, quando ci si sposa. Marian comunque l’aveva cambiato, e in meglio. Diede un'occhiata al bar. "Ho bisogno di un drink. Ne volete uno anche voi?"

"Noto che invece a voi il matrimonio non vi ha cambiato affatto – lo stuzzicò Jason - "Non vi manca Kaitlin?" Lady Kaitlin gli era sempre piaciuta. Magari, era troppo timida, ma aveva un'intelligenza acuta. Shelby non avrebbe potuto scegliere una donna migliore di cui innamorarsi. Erano due anime gemelle e si completavano a vicenda. Kaitlin era riuscita a inculcare del senno, in quella testa sballata. Da quando si era sposato, Shelby era dichiaratamente più saggio e maturo. Jason non avrebbe mai immaginato che lui e Kaitlin potessero piacersi, tuttavia era felice per loro. Magari non credeva all’amore per se stesso, ma era felice se i suoi amici più cari riuscivano a trovarlo.

Shelby agitò la mano con fastidio. "Sta prendendo il the con Samantha e Marian." Versò del brandy in due bicchieri e poi li portò da Jason. Porgendo il suo all’amico disse: “Mi ha praticamente spinto fuori dalla porta. A loro non piace la compagnia maschile in giro quando si riuniscono per spettegolare ".

"Sì", rispose Jason distrattamente. "Per le donne non è facile parlare di cose private, con un uomo in giro.."

Avrebbe dovuto lasciare il club e fare una visita all'avvocato di suo nonno, e capire finalmente di cosa si trattava. Ma non gli andava. Preferiva starsene lì, al Coventry Club, a rilassarsi e forse anche a ubriacarsi un po’. Una volta brillo, si sarebbe trascinato per le scale che conducevano alla camera che il club gli metteva a disposizione e sarebbe crollato sul suo letto, per risvegliarsi solo il giorno dopo con i postumi di una brutta sbronza. Stava diventando davvero bravo nell’arte di ignorare i problemi!

"Quindi, capite perché sono al club, oggi." esclamò Shelby. Bevve un sorso di brandy. "Ora ditemi perché VOI siete qui. Non dovreste essere nelle terre selvagge del Surrey o qualcosa del genere? "

"Non c'è niente d’interessante per me, in quel posto." mormorò Jason. Dopo la morte del nonno, nemmeno la sua bella tenuta lo rendeva felice.

"Non c'è vostra madre lì?" Shelby lo guardò di sbieco..

"Considerando che non lascia mai il castello, suppongo di sì.." Jason deglutì altro brandy. Bruciava mentre gli scendeva in gola. Ma a lui quel senso di calore gli piaceva... Gli dava delle sensazioni, a differenza dell’enorme senso di vuoto che si portava dentro. “Lei è a suo agio lì. Chi sono io per distoglierla dai suoi piaceri?” sussurrò, con stizza. Forse stava diventando troppo duro con lei. Aveva vissuto troppo con il nonno e poco con lui. Ma in fondo sapeva che sua madre lo aveva fatto per sentirsi sicura e protetta, dopo quello che aveva passato, e non poteva darle torto. Ma una parte di lui si sentiva come se lei lo avesse tradito. Non amava vederlo, e non riusciva a sopportare la sua presenza. Jason assomigliava troppo a suo padre: stessi capelli biondi e occhi blu, stessi zigomi cesellati e stesso fisico atletico. Stesso tutto. Era per questo che sua madre diventava triste, quando erano insieme. La sua presenza fisica le scatenava sentimenti repressi, come l’amore e la rabbia.... Non avrebbe mai voluto fare del male a sua madre, né emotivamente né fisicamente. Quindi, per il suo bene, preferiva rimanerne lontano. Oddio, che casino era la sua vita!

"Questo è tutto? E non dovreste recarvi al castello per conoscere le ultime volontà di vostro nonno? "

Jason fece roteare il brandy rimasto nel bicchiere. "Non ho bisogno di scapicollarmi nel Surrey per saperlo."

"E allora? Cosa avete intenzione di fare?” chiese ancora Shelby.

Jason prese la lettera che aveva in tasca e la gettò addosso a Shelby. Quindi inghiottì il brandy rimasto in un sorso solo. Si alzò e andò a riempirsi nuovamente il bicchiere, mentre Shelby leggeva la lettera dell'avvocato. Si sedette e attese. Non ci volle molto prima che Gregory alzasse lo sguardo per incontrare il suo.

"Perché avete deciso di ignorarlo?"

"Non lo so." Si passò una mano tra i capelli. “Forse perché sarebbe come accettare la morte di mio nonno, metterci davvero una croce sopra. Non mi sento ancora pronto a rassegnarmi alla sua scomparsa. E’ stato più di un padre, per me. "

"Temo che sia passato abbastanza tempo, ormai - disse Shelby, dolcemente. Allungò una mano e la posò sul braccio di Jason. “Andate a incontrare l'avvocato. Non potete rimandarlo oltre. "

Gli mancava troppo suo nonno. Shelby aveva ragione però. Doveva andare dal procuratore legale. Ignorarlo così a lungo era già stato abbastanza stupido.

"Capisco ciò che intendete, e non posso che concordare con voi. Ma non riesco a farlo…"

"Vi farebbe piacere se vi accompagnassi?- chiese Shelby – Pensate che vi aiuterebbe a trovare la forza necessaria per recarvi al castello?”

Andare con Shelby? Aveva davvero bisogno di qualcuno che gli tenesse la mano mentre onorava i suoi doveri e la smetteva di comportarsi come un moccioso spaventato? Forse sì. Magari ci sarebbe riuscito, questa volta. Sapeva che doveva farlo, non importava quanto gli sarebbe costato. Il dovere è dovere.

“Potrei aver bisogno di qualcuno che mi dia un calcio nel culo. Vi sentireste in grado di fare questo per me? " esclamò, con triste sarcasmo.

"Sarebbe un piacere! - scherzò Shelby - Ma prima ho una cosa da chiedervi."

Jason si accigliò. Aveva quasi paura di sapere di cosa si trattava. “Cosa?"

"Oh, una stupidaggine! Sono sicuro che non vi creerà alcun problema accontentarmi!” Tese la mano. "Datemi la vostra pistola."

Jason non andava da nessuna parte senza la sua pistola. Era una delle cose che lo faceva sempre sentire al sicuro. Non poteva neanche immaginare di lasciare il club disarmato! "Perché?" chiese con stizza e paura.

"Perché è ora che abbandoniate questo stupido modo di sentirvi protetto." Shelby sorrise. "E se proprio sarò costretto a prendervi a calci nel culo fino a casa vostra, voglio essere sicuro di non prendermi una pistolettata in faccia.”

Sapete che non potrei mai…" balbettò Jason.

"Oh sì, invece! - lo interruppe Shelby - Magari non per uccidermi ma di sicuro per essere lasciato in pace.”

Jason inclinò la testa di lato e considerò questa possibilità. C’erano state molte volte in cui Shelby si sarebbe meritato una bel colpo in fronte. Il suo amico non era certo la persona più affabile del mondo! Diamine, a pensarci bene, non era affabile per niente! "Se prometto di non spararvi, posso tenerla?" disse.

"Assolutamente NO – esclamò Shelby con fermezza - La lascerete qui, al club." Alzò la mano per intimare a Jason di non interromperlo. "Prima di aggiungere altro ... Può darsi che manterrete la vostra promessa di non spararmi, ma che dire dell’avvocato che dovrete incontrare? E se vi facesse saltare la mosca al naso? Potreste perdere le staffe, e addio! Quindi, la pistola rimarrà qui.”

"Bene," cedette Jason. Chiaramente, non disse nulla dello stiletto che si portava dietro. Almeno, con quello si sarebbe sentito un po’ più al sicuro. Anche se avrebbe preferito tenersi la sua pistola... "Visto che insistete, la lascerò nella scrivania di Harrington. In questo modo uno dei novellini del club non la troverà e non sparerà incidentalmente a qualcuno, giocandoci da imbecille. ".

"Non me ne parlate. Nessuno è peggio del Conte di Barton! Giurerei che sta diventando più stupido ogni giorno di più! ". Shelby alzò gli occhi al cielo. "Harrington dovrebbe dargli una raddrizzata, prima che faccia altri danni!”

Avendo avuto a che fare con Barton in passato, Jason conosceva bene l’assoluta mancanza di cervello del giovane Conte. Chiamarlo idiota era un complimento. "Questo è uno dei motivi per cui Harrington ha l’aiuto vostro e di Darcy." Ghignò con cattiveria. "A voi il piacere di raddrizzare i deficienti che non distinguono la testa dal culo!”

"Per favore, non parliamone! –rabbrividì Shelby - Ora andate a nascondere la vostra pistola e andiamo via da qui. Se ci mettiamo in viaggio adesso, riuscirete a parlare con l’avvocato prima di sera.”

Jason brontolò un po', ma fece come Shelby aveva detto. Quindi tornò dal suo amico, che appariva molto più rilassato di prima. Shelby finì il suo brandy e posò il bicchiere sul tavolo. "Andiamo." disse..

Jason annuì e lo seguì fuori dalla stanza. Uscirono dal club e si diressero insieme verso l'ufficio dell’avvocato. Non sapeva cosa gli avrebbe detto il legale, una volta lì, ma ormai era rassegnato all’idea di affrontarlo. Jason non era un codardo ed era tempo di finirla di comportarsi come tale. Respirò profondamente e si preparò all’incontro. Sarebbe stato penoso, ma aveva Shelby con sé. Il che doveva contare pur qualcosa ...

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