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CAPITOLO UNO

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Scorsi una ragazza che camminava per strada, cercando di evitare la folla. La maggior parte di loro erano uomini, a gruppi di due o tre, o anche più.

Delle donne molto giovani erano schierate sul marciapiede, mostrando quanta più nudità possibile, invitando i maschi nei loro tuguri per qualche minuto di piacere.

Erano le due passate di notte, ma la strada era ancora piena di gente. Per lo più si trattava di persone a piedi, ma c’erano anche delle moto. Delle auto erano parcheggiate sul marciapiede, ma nessuna di queste cercava di farsi spazio tra la folla.

Degli uomini di mezz’età passavano in rassegna le donne, e ce n’era anche qualcuno vecchio come me. Americani, Inglesi, Australiani? Impossibile dirlo, fino a che non avessero aperto bocca.

La ragazza mi passò di nuovo davanti, con gli occhi fissi sulla gente. Sembrava un pesce fuor d’acqua, con la sua camicetta celeste ben stirata e la gonna marrone al ginocchio.

Scesi dal marciapiede cercando di guardarla meglio, ma lei m’ignorò.

Non è un prostituta? E allora che ci fa qui, a Ladrpao, il quartiere del sesso più famoso di Bangkok? Aspetta qualcuno? E’ giovane, diciotto anni o poco più.

Un gruppetto di quattro Thailandesi la fermò, e le dissero qualcosa. Ma lei scosse il capo. Allora uno dei giovani l’afferrò per un braccio, sussurrandole di nuovo qualcosa. Ma lei si divincolò e sgusciò via dal marciapiede, passandomi proprio davanti. Visibilmente atterrita.

L’uomo che l’aveva afferrata per il braccio le gridò: “Ciao taw nan ca mi kin xeng!"

Che non era affatto una frase gentile.

I quattro uomini si misero a ridere.

Mi voltai dall’altra parte, dando un’occhiata alle donne sul marciapiede. Quella era la quinta notte che passavo per strada.

Cosa mi aspetto di trovare?

Una ragazza in bikini rosa mi toccò un braccio: “Tu, Americano, vuoi venire con me a scopare?”

Sorrisi e scossi la testa.

Cavolo, come fanno sempre a capirlo?

Avevo lasciato la giacca e la cravatta all’albergo, cercando di apparire più casual. Certo, i miei lineamenti caucasici un po’ mi tradivano, ma perché non scambiarmi per un Inglese o un Canadese?

Non riesco proprio a liberarmi di questa faccia Americana!

Mi misi a camminare per la strada e, prima che arrivassi alla fine, molte altre donne mi fermarono per offrirmi il loro corpo; alla fine tornai indietro, dal lato opposto del marciapiede.

Il magnetismo dei visi delle donne Thailandesi mi attirava come un gattino in una stanza piena di giocattoli. Avevo respinto tutte le ragazze che mi avevano fermato per offrirsi a me – o, meglio, per avere i miei soldi. Al mio rifiuto tutte avevano incrociato le braccia e mi avevano mandato a quel paese, con fare altero; quella era la passione che mi attizzava!

Adoravo il loro atteggiamento arrogante, ma nessuna di loro aveva i lineamenti che cercavo: le sue labbra carnose, il nasino all’insù, e il viso piccolo e sottile, quasi infantile.

E i suoi occhi erano tizzoni ardenti pronti a briciare chiunque avesse osato avvicinarsi troppo a lei. E quei lunghi capelli neri, che lei gettava indietro di colpo, come a farli volare. E’ questo che mi è rimasto impresso di lei, la prima volta che c’incontrammo.

Nessuna avrebbe mai potuto eguagliare la dolce immagine che si era fissata nella mia mente, eppure vagavo, alla ricerca di qualcuna che almeno le assomigliasse…


Forse, magari, un giorno…

“Lasciami andare!”

Una voce di donna, proprio dietro alle mie spalle. Mi girai di scatto. La ragazza di prima! Un giovane l’aveva afferrata per un braccio e ora le sussurrava qualcosa che non riuscivo a sentire.

“N0!” gridò.

“Dai, solo un’oretta – le disse un altro thailandese, avvicinandosi a lei – Ti pagheremo bene.”

Era lo stesso quartetto di prima.

Lei provò a lottare contro di loro.

Gli altri due ragazzi del gruppo ora erano alle sue spalle, e ridevano, indicando al gruppo la sua faccia atterrita.

“Non voglio!” gridò ancora lei.

Due uomini la trascinarono per un braccio verso la porta di una stamberga. Gli altri due prima si guardarono titubanti in giro, e poi si unirono agli altri.

La ragazza cominciò a gridare aiuto.

“Ha detto che non vuole.” mi feci avanti io.

L’uomo che la teneva per un braccio si voltò verso di me e mi guardò in cagnesco: “ E’ meglio che giri al largo, vecchio – sibilò- o ti farai male.”

Mi spinse all’indietro e allungò una gamba, facendomi inciampare. Piombai con il culo per terra. I quattro uomini scoppiarono a ridere, mentre la ragazza si guardava intorno, in cerca di aiuto.

Mi alzai e afferrai l’uomo per un polso:” “Ti ho detto, lasciala andare!”

Mi allungò un pugno, ma io gli afferrai il braccio e glielo torsi prima dietro la testa e poi dietro la schiena. Quando quello lasciò andare la ragazza e si preparò a darmi un pugno nello stomaco, irrigidii i muscoli del ventre. Rimase spiazzato, non si aspettava di affondare un colpo su uno stomaco di piombo, e io ne approfittai per fargli uno sgambetto e lui crollò a terra. Andò giù come piombo.

Gli altri si fecero sotto. Schivai un pugno e affondai il mio sulla tempia di uno degli uomini. Il suo amico lo spinse via e venne minaccioso verso di me. M’infilai sotto le sue ascelle, mi rigirai e gli mollai un forte pugno sulle reni.

Nel frattempo, il primo uomo si era rialzato dal marciapiede e ora veniva verso di me brandendo un coltello. Mi sorrise, facendolo danzare davanti ai miei occhi.

Ok, posso farcela con quella lama.

Mi piegai davanti a lui, allargando le braccia:“ Ok bello, vediamo che sai fare!”

Intorno a noi si era formato un drappello di persone, che ora si apriva per darci spazio. La ragazza era in mezzo alla folla. Si guardò intorno.

Speriamo che se ne vada. Non sarà un bello spettacolo.

L’uomo col coltello iniziò a girare in tondo, cercando una breccia. Io non lo perdevo d’occhio un solo istante. Quando si lanciò a sinistra io balzai sul lato opposto. Si lanciò su di me, ma io mi girai e alzai un piede per sferrargli un colpo nelle costole. Lui barcollò un attimo, ma si riprese.

Il secondo ragazzo venne verso di me, prendendo qualcosa dalla cintola:” Ora basta con queste stronzate!” sibilò

Il calcio cromato della pistola automatica scintillò.

“Una pistola!” gridò qualcuno.

Il capannello di spettatori indietreggiò, atterrito dalla brutta piega che stava prendendo la situazione.

Ok, quindi abbiamo un coltello e una pistola. Devo prima liberarmi della pistola.

Mi voltai verso il ragazzo col coltello e mi mossi verso di lui, ma feci una finta a sinistra e mi lanciai su quello con la pistola. Quello provò a spararmi, ma ormai gli avevo già afferrato il polso. Glielo torsi e lui sparò in aria. Allora gli afferrai i polsi con entrambi le mani, torcendolo con forza.

IL dito dell’uomo s’incastrò nel calcio della pistola.

Gridò, ed io potei sentire chiaramente il rumore dell’osso che si spezzava, mentre gli strappavo la pistola dalle mani.


Quello indietreggiò, urlando e tenendosi il dito fratturato.

Io puntai l’arma contro il tizio col coltello, che a quel punto iniziò a guardarsi intorno, in cerca di una via di fuga.

Io aprii il caricatore, lo svuotai sul palmo della mano e gettai in terra le pallottole. Poi lanciai via la pistola scarica. Quello mi guardò, e poi venne verso di me agitando il coltello verso la mia gola.

Prima che potessi fare un fiato i suoi amici mi aggredirono alle spalle , tenendomi ferme le braccia. Io li usai come leva e li sbattei con forza contro il tizio col coltello, rompendogli la mascella.

Quello urlò e fece cadere il coltello.

Io mi gettai in avanti, trascinando i due uomini con me, che alzarono le braccia per parare la caduta.

Balzai velocemente sulle ginocchia e ne afferrai uno per i capelli, sbattendogli violentemente la faccia sul selciato. L’altro provò a fuggire, ma io gli mollai una ginocchiata nello stomaco, facendogli rilasciare di colpo l’aria dai polmoni. Mentre lui rantolava, cercando di respirare, gli mollai due pugni in faccia. Crollò a terra, esanime.

Guardai l’altro, che stava ancora per terra. Cercava di asciugarsi il sangue che colava dal naso rotto. Ok, è finita.

Quello col coltello giaceva sull’asfalto, con la mascella fracassata. Lanciai uno sguardo tra la folla, alla ricerca di quello della pistola. Stava in mezzo alla gente, e piangeva, tenendosi il dito rotto.

Lo sparo aveva indotto qualcuno a chiamare la Polizia. Quando si udì la sirena della volante, la folla si diradò all’istante. Anche i quattro aggressori si dissolsero, evidentemente non volendo avere a che fare con la Polizia.

Io afferrai la mano della ragazza, e la portai via. Quando la volante passò accanto a noi la voltai di spalle, per nasconderle la faccia.

“Cammina piano e con naturalezza.” le sussurrai.

Lei annuì, ma sentii la sua mano tremare nella mia.

La folla era stata veloce ad eclissarsi, prima dell’arrivo della Polizia. Quando gli agenti arrivarono sul posto ciò che trovarono fu solo una piccola macchia di sangue, lì dove avevo fracassato il naso del ragazzo. Perfino la pistola vuota e il caricatore con tutte le pallottole erano spariti, così come il bossolo da cui si era levato lo sparo.

I Poliziotti provarono a fare qualche domanda ai pochi presenti, ma tutti si limitarono a scuotere il capo e a dire che non avevano visto o sentito nulla.

Passammo davanti alla Polizia, facendo finta di essere dei curiosi. Entrammo in un bar e le porsi una sedia. Lei ci crollò sopra, affranta.

La toccai per il braccio, su cui già compariva un livido viola. “Stai bene?”

Lei annuì, massaggiandosi il polso. “Sì, grazie. Quegli uomini avrebbero potuto ucciderti.”

Sorrisi. “Non conoscono i segreti del combattimento per strada.”

Una cameriera venne verso di noi.

Cha Yen?” chiesi alla ragazza.

Lei annuì. Avevo ordinato due the freddi con latte. La cameriera andò a prenderli.

“Hai fame?” chiesi.

“No. Come ti chiami?”

“Sassone. E tu?”

“Siskit.”

“Lavori per strada?”

“No. Aspettavo mia sorella.”

La cameriera ci portò i drink. Facemmo qualche sorso.

“Buono.” Dissi.

“E’ vero. Adorò il the ghiacciato col latte. E tanto zucchero.”

Io annuii. “Tua sorella lavora per strada?”

“Sì.”

“E tu vieni qui ogni sera a prenderla?”

“No, solo il sabato notte. La domenica nessuna di noi lavora, e quindi possiamo dormire fino a tardi.”

“Vivete insieme?”

Lei finì il suo the. “Condividiamo un appartamento in Song Wat Road.”

“Sul fiume?”

“Sì, si gode una bella vista dell’acqua, e anche delle barche.”

Aspettavo che Siskit si calmasse, per farla parlare un po’.

“Io lavoro nell’ufficio Esportazioni, dal lunedì al sabato.” mi disse.

“Parli bene l’Inglese. Dove lo hai imparato?”

“A scuola. Io e Prjia potevamo scegliere tra Inglese e Francese. E chiaramente, come i nostri genitori, odiamo ancora i Francesi.”

“Prijia?”

“Mia sorella.

Parlammo di Bangkok, della Thailandia quando ancora si chiamava Siam, e del suo lavoro al reparto Spedizioni.

Verso le 4 del mattino le strade cominciarono a svuotarsi.

“Ora dovrei andare…” cominciai a dire. Ma una voce alle mie spalle mi bloccò.

“Che ci fai con questo?”

Qualcuno mi dette un colpo alle spalle, rovesciandomi in grembo il bicchiere che avevo in mano.

“Cosa ti ha fatto!”

Afferrò il polso livido di Siskit, girandolo verso di me.

“Sei stato tu a farle questo?” urlò, in Thailandese.

“Prijia, non…”

“Lurido fottuto vecchiaccio Americano! – continuò a sbraitare lei – Pensi di poter venire qui dal tuo paese per fare del male a noi donne , e poi rabbonirle portandole a bere per farci altro?”

Temendo che mi volesse aggredire fisicamente, mi alzai dalla sedia e indietreggiai.

Siskit si alzò e la prese per un braccio. “Fermati, Prijia, non è stato lui…” E poi cominciarono a parlare tra di loro sottovoce in Thailandese.

“Chi allora?– esclamò Prija, lanciandomi un’occhiataccia – se non questo bastardo vecchio di un Americano?”

Siskit le raccontò degli uomini che volevano violentarla e di tutto il resto. Prija continuò a guardarmi con occhio torvo. A un certo punto la sua espressione di odio si mitigò, ma non troppo. I suoi occhi, neri come tizzoni ardenti, parvero acquietarsi.

Prija era una ragazza molto carina, bruna e formosa al punto giusto, e la sua bellezza era messa in risalto dalla gonna marrone chiara che indossava. Se non avesse avuto quell’aria torva, sarebbe sembrata più una bambina che una ragazza.

Siskit si alzò e mi tese la mano. “Vogliamo ringraziarti per avermi salvata. Quegli uomini avrebbero potuto farti qualcosa di brutto.”

“Sì – sibilò Prija – grazie.” E si aggiustò i capelli sulle spalle.

“Grazie. Sedetevi ora.” Prija prese una sedia e si mise seduta accanto a Siskit.

“Erano solo in quattro e con una pistola – dissi sorridendo in Thailandesi – non sei.” Fissai il volto di Prija e mi sedetti di fronte a loro.

Lei rimase interdetta per un attimo.

“Parli bene il thailandese.” osservò.

“E’ vero! – aggiunse Siskit – Dove lo hai imparato?”

“Qui. – dissi, facendo un gesto verso la strada dove i venditori ambulanti stavano cominciando ad arrivare – A Ladprao.”

“Vivi qui?”

“No. Sono solo un lurido fottuto vecchio Americano in trasferta.”

“Allora sei qui per trovarti una femmina , – sibilò Prija – per far divertire il tuo vecchio cazzo come non puoi fare nel tuo Paese!” I suoi occhi lanciarono scintille, mettendomi in guardia se mi fossi avvicinato troppo.

Mi alzai facendo indietro la sedia, misi la mano nel portafoglio e tirai fuori 100 bath, che posai sul tavolo.

“E’ troppo per due the! – disse Siskit – Aspetta, che ti danno il resto!”

Sorrisi. “Tenetelo per voi. Ne avete più bisogno di me.”

Sorridevo ancora mentre uscivo dal bar.

E’ proprio questo che intendevo.

Mare Di Amarezze

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