Читать книгу Mare Di Amarezze - Charley Brindley - Страница 3
CAPITOLO DUE
ОглавлениеLa maggior parte delle ragazze che lavoravano in strada si prendevano la domenica di festa, quindi quel giorno non mi recai a Ladprao.
Nel primo pomeriggio presi un tuc-tuc per Rattanakosin, la città vecchia. Si trova nel centro di Bangkok, sulle rive del fiume Phraya. Tutta la zona è ricchissima di antichi edifici , che risalgono al periodo in cui la Thailandia era ancora il Siam.
Salii su una barchetta da escursione per navigare sul fiume. In sala pranzo ordinai una bottiglia di vino rosso e un pasto leggero a base di phat kaprao, pollo saltato in padella con basilico e peperoncino.
Mentre mi godevo la mia gita sul fiume, prendevo appunti sul mio iPad. Non digitai cose significative, ma cercai di trascrivere tutte le emozioni che provavo in quel momento, stimolati dal paesaggio che avevo davanti. C’è qualcosa di evocativo nel lasciarsi sommergere dalle emozioni guardando un paesaggio: la fantasia lavora per te i tuoi pensieri si trasformano in voli pindarici.
Un palazzo del IX secolo tutto colorato mi evocò il pensiero di una principessa prigioniera che invocava la libertà alla mia barca. E quel vecchio che stava lanciando la sua rete da pesca nell’acqua torbida: nei miei pensieri si trasformò in una spia che sorvegliava il palazzo.
E quei due innamorati che passeggiavano lungo la riva del fiume, mano nella mano…mi ricordarono un’altra coppia, di cinquant’anni fa.
Era così facile immergermi nelle mie fantasie, dove tutto era possibile. “Starò lontano solo per poco – le dissi – poi staremo insieme per tutta la vita.”
Era così che abbiamo trascorso gran parte delle nostre serate, facendo progetti sulla nostra vita futura e costruendole una cornice da sogno.
Ma la guerra aveva progetti diversi per noi. Un mare di amarezze ci attendeva.
IL fischio della sirena del battello che stava per arrivare al molo mi riportò bruscamente alla realtà.
* * * * *
Mercoledì sera, all’una di notte, io ero di nuovo in strada.
Vidi Prija appoggiata a un muro, che chiacchierava con altre ragazze. Tutte indossavano minigonne aderenti e toppini. Mentre parlavano guardavano distrattamente i loro cellulari e talvolta spuntavano un messaggio, ma sempre tenendo d’occhio i maschi che passavano.
Attraversai la strada per andare verso di lei, ma non intendevo parlarle: in realtà volevo guardarla ma senza avere a che fare con lei.
Mentre ero lì che la guardavo, lei si scostò da un muro per andare a parlare con un tizio che le era passato vicino. Non so cosa ci trovasse di particolare in lui, certo era che lo aveva preso di mira. Era un Thailandese di mezza età, ben vestito e curato. Probabilmente un uomo d’affari.
I due confabularono per un minuto. Poi lui le porse dei soldi e lei lo prese per mano e lo guidò verso una delle tante porte di un palazzo decrepito, che si apriva su un minuscolo tugurio.
Voltai lo sguardo. Non volevo vedere. Tutto ciò mi dava un gran fastidio. Eppure, sapevo quello che avrei visto.
E quindi, che cosa ci sono venuto a fare?
Passeggiai per tre isolati, poi girai i tacchi e tornai indietro. Entrai nel bar dove il sabato precedente avevo preso il the con Siskit e accesi l’iPad.
Quando iniziai a scrivere, rimasi sorpreso dal flusso di emozioni che si riversava fuori di me.
A volte, quando mi metto a scrivere, l’unica cosa che faccio è digitare. La maggior parte di ciò che viene fuori viene cestinata il giorno stesso, quando magari decido di modificare una trama, ma altre volte vado in una specie di trance e ciò che digito si trasforma in una storia. Un processo che può durare minuti o anche ore. Quando mi succede è come se entrassi in un tunnel che si apre misteriosamente davanti a me, e che io percorro senza sapere dove mi condurrà. E’ un’esperienza che mi piace molto, perché è come un viaggio che si apre a panorami insoliti.
La cameriera mi chiese se volevo qualcos’altro. Io ordinai qualcosa da mangiare, giusto per essere lasciato in pace.
In genere, questi viaggi dell’immaginazione vengono scatenati da qualcosa che mi ha turbato, e sono molto rari. Quando mi trovo in quel tunnel devo percorrerlo fino in fondo, anche se il cammino dovesse durare a lungo, perché so che dovrò aspettare molto prima che un’esperienza del genere si ripresenti. Potrebbero passare giorni, o addirittura settimane. Il tempo che intercorre tra un’esperienza e l’altra, lo passo a modificare ciò che ho scritto.
Persi completamente cognizione della realtà mentre scrivevo, fin quando una voce non mi parlò in Inglese. Era Prija.
“Che stai facendo?” mi chiese.
“Scrivo.” risposi, senza alzare lo sguardo dall’iPad.
“E che stai scrivendo?” chiese ancora. E, senza che la invitassi, si sedette al mio tavolo e prese con le dita un pezzo di maiale al forno.
“Perché non ti siedi e assaggi la mia cena?” le dissi, caustico.
“La tua cena è fredda.” rispose, senza minimamente scomporsi.
“Mi piace così. – dissi, freddamente. In realtà me n’ero completamente dimenticato. – Che cavolo ci fai qui?” Alzai gli occhi e scorsi i venditori ambulanti che stavano approntando le loro bancarelle.
“Vengo qui tutti i giorni, all’alba.”
“Sì, all’alba.” Si appoggiò coi gomiti sul tavolo e mi guardò fisso negli occhi. “Sei anche rincoglionito, oltre che vecchio?”
“Forse sì.”
“Che stai scrivendo?” Alligò il collo per dare un’occhiata al mio iPad.
“Niente che tu sia in grado di capire.” Girai il cellulare verso di lei.
Lesse la prima pagina, poi la girò e lesse la seconda.
“Queste frasi non hanno senso.” Esclamò, girando di nuovo il cellulare verso di me.
“Beh, finché leggerai le frasi al contrario continueranno a non averne. Magari leggere è difficile, per il tuo cervellino di pisello.”
“Cervellino di pisello? Intendi il legume o quel coso da cui esce la pipì?” Fece un sorso dal mio bicchiere.
“Nel tuo caso, la pipì.”
“Anche il tuo the è caldo come la pipì.” Alzò il bicchiere verso la cameriera.
“Immagino che tu sappia molte cose sulla temperatura della pipì.”
“Io so molto di tutto.” disse.
“Nel frattempo ti siedi al mio tavolo senza invito, mangi la mia cena, bevi il mio the, denigri i miei scritti e ora ti aspetti pure che paghi io.”
“Perché no? Hai soldi da strafottere. Perché cavolo mi segui?”
La cameriera ci portò del the freddo.
“In realtà aspettavo Siskit per fare una bella conversazione piacevole, e invece mi sei capitata tu.”
“Sei fortunato. In genere gli uomini mi pagano per questo.”
“Ti pagano per farsi insultare?”
“La maggior parte degli uomini merita di farsi insultare.”
“La maggior parte degli uomini è idiota.” dissi io.
“Tutti gli uomini sono dei perfetti idioti.” Sorseggiò il suo the. “Solo alcuni lo sono solo per metà.”
“Lo prendo come un complimento”
“Non lo era.”
Mi alzai. “Devo andare prima di mettermi a vomitare.”
“Sì, anch’io, prima di annoiarmi a morte.”
Lasciai dei soldi sul tavolo e infilai in tasca il mio iPad. “Ci vediamo.” dissi.
“Speriamo di no.” rispose.
Nella mia camera d’albergo mi feci portare un caffè, poi me ne dimenticai completamente.
A mezzogiorno lavoravo ancora sul mio PC.
A metà pomeriggio mi fermai e diedi un’occhiata a ciò che avevo scritto.
Wow, 115 pagine!
Di colpo provai fame e sonno.Indeciso sul da farsi, mi preparai una tazza di caffè solubile.
* * * * *
Giovedì notte. Mi sedetti al solito tavolo, a guardare Prija che lavorava. Provai a scrivere qualcosa sull’iPad, ma non ne venne fuori niente. Lei invece sembrava molto indaffarata.
Il mio cellulare trillò al suono di Johnny B. Goode.
“Ehi, numero Tre!” risposi. Ascoltai la voce al telefono. “ Sì, ero già sveglio. Che ore sono lì a L.A.?”
Dopo un attimo la voce rispose: “Circa l’una e mezza di notte.”
Non avevo molta voglia di parlare con lui, ma avevamo dei problemi da risolvere.
“Beh, comunque non riuscivo a dormire.” dissi.
“Ho fatto di nuovo i conti.”
“A che scopo?”
“Ho pensato che potremmo acquistare noi il materiale per il progetto e poi rivenderlo quando avremo finito.. Ho calcolato che comprarlo ci costerebbe di meno che noleggiarlo.”
“Perché parli al plurale?”
“Intendevo noi, tu ed io.”
“Ma potremmo chiudere il leasing, per alleggerire il nostro carico fiscale.”
“Potremmo invece ammortizzare gli acquisti.” disse il Numero Tre.
“Non funzionerà.”
“Ti mando le proiezioni P & L.”
“Mandale pure, ma ti ripeto che non funzionerà.”
“Problemi?” esclamò Prija, mentre si sedeva accanto a me.
“Devo lasciarti. Ci sentiamo più tardi.” Chiusi la comunicazione e gettai l’iPad sul tavolo.
“Con chi parlavi?”
“Col mio socio in affari.”
“Che tipo di affari?”
“La ristrutturazione dell’Ospedale di Los Angeles.”
“Sembra una cosa complicata.”
“Sì, è difficile infilare tutti nella stessa pagina.”
“Che pagina?”
Mi alzai stizzito, e afferrai il mio cellulare per mettermelo in tasca.
“Perché mi spii?”
“In verità, ero convinto che me ne sarei andato senza vederti.”
“Mi hai spiata tutta la notte.”
“Ho lavorato tutta la notte.” Le mostrai l’iPad che avevo ancora in mano.
“Spero che non siano le stesse stronzate dell’altra sera.” Rimase seduta al tavolo, ma io non avevo intenzione di restarci.
“No, questa volta erano cavolo e trippa.”
“Stai migliorando. Siediti, che sembri un corridore sull’asta di partenza.”
“Sono troppo vecchio per quello, ormai.”
Mi sedetti di nuovo. Lei fece un cenno alla cameriera.
“Quindi, sei una specie di guardone.” Si rivolse alla cameriera che era giunta al tavolo. “Ciao, Ringy. Ci porti due birre scure, per favore?”
Ringy sorrise e andò a prepararle.
“Come mai sei così gentile con lei?” le chiesi.
“Ha lavorato anche lei per strada, finché non è invecchiata troppo.”
“Come succederà a te. Forse la settimana prossima.”
“Divertente. Allora, che cavolo vieni a fare, qui?”
“Pensavo di trovare qualcosa che mi eccitasse mentalmente, e invece ho trovato solo le tue chiacchiere noiose.”
“Beh, anche l’eccitazione ha un costo.”
“Invece la noia è gratis?”
“Fin quando non troverò qualcuno disposto a pagarmela. E tu? Che ne diresti di qualcosa di eccitante?”
Mi misi a ridere. “IO? E perché dovrei?”
“Perché comunque sei un uomo.”
“E quindi desidero una vera donna.”
“E secondo te io non lo sono?”
“Secondo me tu sei… In quell’istante Ringy ci portò le birre e io zittii. Prija sorseggiò la sua, poi mi guardò con aria interrogativa.
“Credo che ci sia un tempo per scherzare e uno per fare le cose serie.” dissi.
“E perché? Sabato scorso ti ho detto che sei un lurido vecchiaccio Americano.”
“La verità non ha mai ucciso nessuno.”
“Allora dimmi la verità su di me.”
“Ok. Sei bellissima.”
“Oh, mi fai arrossire.”
“E lavori per strada perché in fabbrica non faresti gli stessi soldi.”
Il suo cellulare vibrò. Lei gli diede un’occhiata distratta ma non rispose.
“Come mai Siskit si adatta a lavorare al reparto spedizioni per un decimo di quello che guadagni tu?”
“Perché non le permetterò di fare il mio stesso lavoro.”
“Ma va bene per te, vero?”
“IO so cosa faccio.”
“Oh…e cosa stai facendo?”
Lei stette zitta per un attimo. “Va bene. Paga e tornatene al tuo lavoro.”
Si alzò. La guardai andarsene, prima di lasciare i soldi sul tavolo.
Meraviglioso. Proprio come ai bei vecchi tempi.
* * * * *
Le due di notte di sabato sera. Tutti i tavoli del solito caffè erano occupati. Mi misi a camminare sul marciapiede al alto opposto. Avevo il mio computer portatile nello zaino a tracolla.
Prija non era al solito posto.
Scrutai la strada in lungo e in largo: niente.
A un tratto vidi Prija uscire da una porticina dell’edificio e sistemarsi la gonna. Era in compagnia di un ometto basso e grasso.
“Sassone!” esclamò una voce alle mie spalle. Mi voltai.
“Siskit! Che piacere vederti!”
Mi abbracciò. “Che fai? Controlli Prija?”
“Ehmmm…sì, fino a poco fa.”
“Anch’io lo faccio, ogni tanto. Ho sempre paura che qualcuno le metta le mani addosso.”
”E’ già successo?”
“Sì, molte volte.”
“Perché lo fa?”
Siskit fece un cenno di saluto a Prija dall’altro lato della strada. Lei rispose con un cenno del capo.
Mi sta guardando?
Provai il forte impulso di salutarla, ma rimasi fermo con la mano avvinghiata allo zaino.
Se n’è accorta che prima la stavo guardando?
Tutti i soldi che guadagna li dà alla famiglia. Nostro padre è malato di cancro, e nostra madre è costretta sulla sedia a rotelle.”
“Oh, no. Che tipo di cancro?”
“Polmoni.”
“E’ in chemio?”
Mi guardò. “Che cos’è?”
“Ehmm…delle sostanze chimiche che ti danno per endovena.” Feci il gesto dell’ago ficcato nel braccio. “A volte te lo danno con le pillole.”
“Ah, sì. Dovrebbe farlo. Ma costa 300.000 bath al mese.”
“Allora fa la radio?”
“Sono sei mesi che la fa. Ha perso tutti i capelli, ormai.”
“Mi dispiace molto.”
“Non dire a Prija che te l’ho detto.”
“Ok.”
Arrivò un messaggio al suo telefono. Lei lo lesse e sorrise. Mi guardò.
“Allora, promesso?”
“Promesso. Ma non lo sa nessuno?”
“Solo un’altra persona. Comunque, Prija sta arrivando.”
Vidi Prija che dall’altra parte della strada aspettava che una moto passasse, prima di dirigersi verso di noi.
“Devo andare. Mi raggiungi più tardi al solito caffè?”
“Certo. Ma perché te ne vai’”
Dovetti scappare per non farmi sommergere dalle emozioni. Adoravo le mie chiacchierate acide con Prija, ma non volevo assolutamente che lo sapesse. E adoravo i suo viso, così simile a quello della donna scolpita nella mia memoria. E ora, la rivelazione che vendeva il suo corpo per pagare le medicine al padre gravemente malato. Tutto ciò stava mandando in tilt il mio cervello, come un pallone che si gonfiasse fin quasi a scoppiare. Qualcosa stava per cedere.
Se fossi stato un uomo abituato a bere, forse due bicchieri di vodka o di whiskey mi avrebbero rimesso in sesto. O mi avrebbero aiutato a dimenticare.
Odiavo quello che faceva Prija, ma nel contempo l’ammiravo. L’amore è così potente da condurre all’auto-distruzione? E io, se fossi stato al suo posto, avrei fatto come lei? No so se avrei la forza di fare un sacrificio simile, tale da cambiarmi la vita. Lei è disposta a sacrificare la sua giovane vita per il bene della sua famiglia.
Cosa avrei potuto dirle, la prossima volta che ci saremmo visti? Ogni mia accusa sarebbe crollata ai piedi di una sedia a rotelle e un vecchio morente. E i suoi genitori sapevano quello che faceva per loro? Probabilmente no. E cosa dire degli ubriachi e dei molestatori che le mettevano le mani addosso? Ogni sera, lei metteva in pericolo non solo la sua salute, ma la sua stessa vita.
La conosco da meno di una settimana e mi sento già immischiato nella sua vita. Devo andarmene da Bangkok, subito! Posso scrivere ovunque. Magari, me ne ritorno in Amazzonia. Nella foresta pluviale, lontano dal caos e dalla gente. Via dal cancro e dalle puttane. Lì, nel silenzio della jungla e senza distrazioni, l’unica cosa che mi serve è un collegamento satellitare, una bottiglia di repellente per insetti, e potrò starmene in pace finché ne avrò voglia.
* * * * *
Alle tre del mattino riuscii ad impossessarmi di un tavolo e ordinai qualcosa da mangiare, in modo che la cameriera non mi pregasse di andarmene subito. Se Siskit mi avesse raggiunto, avremmo potuto mangiare insieme.
Non passò molto prima che la sua dolce voce mi suonasse alle orecchie. Ceh bella ragazza, e che sorella affettuosa nei confronti di Prija!
“Sono contenta che mi hai aspettato.” disse, sedendosi.
Salutò Ringy. “Che vuoi da bere?” le chiesi, spingendo verso di lei il piatto con la cena. “Ti ho preso qualcosa da mangiare.”
“Ce l’hai ancora quella aranciata frizzante?” chiese a Ringy, in thailandese.
“Certo. Se volete, vi porto la bottiglia grande. Aranciata anche per lei, signore?”
“Sì, grazie.”
“Che fame!” esclamò Siskit.
Chiacchierammo del più e del meno in thailandese. Ero felice che sapessi parlarlo di nuovo.
Spinse il piatto verso di me. Feci un boccone anch’io.
“Che lavoro fai?” mi chiese.
“Medico e scrittore.”
“Davvero? E cosa scrivi?”
“Un po’ di tutto. Libri di avventura, storia, romanzi…”
“Qualcuno dei tuoi libri è stato tradotto in thailandese?”
“No. Esistono solo in Inglese.”
“E quanti ne hai scritti?”
“Sedici. E altri quattro sono in lavorazione.” Spinsi il piatto verso di lei. “Ma ora basta parlare di me. Ti piace i tuo lavoro al reparto spedizioni?”
“Sì, mi piace, ma non vedo l’ora di tornare al mio villaggio a Pattani.”
Smisi di masticare e la fissai.
“Mi manca la mia famiglia.” Spinse il patto verso di me. “Che c’è?”
Io ingoiai e bevvi un sorso d’acqua. “Pattani, giù al sud?”
“Sì. Lo conosci?”
“Allora sei musulmana.”
“Certo. Anche Prija lo è. Veniamo da un piccolo villaggio.”
“Ma non vi coprite i capelli.”
“Non siamo praticanti. Non ci inginocchiamo nemmeno le 5 volte al giorno per pregare verso la Mecca. Lo facciamo solo quando siamo al villaggio. Sai, per non dare scandalo.”
Ora, ero completamente nel pallone. Provincia di Pattani… Da quanto tempo non sentivo più queste parole? Sarei dovuto andare lì, appena tornato in Thailandia.
“Che dottore sei?”
“Scusa?”
“Che tipo di dottore sei?”
“Oh…uno qualunque.”
“Hai detto che sei già venuto a Bangkok, tempo fa.” Fece un boccone di riso al curry.
“Sì.” Sollevai il bicchiere vuoto verso Ringy.
Non voglio rispondere a queste domande. Ma non voglio essere scortese con questa ragazza. Non c’è motivo.
“Circa cinquant’anni fa.”
“E dopo tanto tempo, ricordi ancora la nostra lingua!”
“Quando sono arrivato, due settimane fa, ho avuto dei problemi. Poi, piano piano, ho ricominciato a parlarlo.”
“Lo parli bene. Perché cinquant’anni fa eri qui?”
Feci ruotare il bicchiere sul tavolo, con lo sguardo fisso sulle goccioline di umido che lasciava sul tavolo.
“Mi fai una domanda abbastanza semplice, Siskit. Ma la risposta non è…”
“Credevo che te ne fossi andato!”
“Ecco che arriva Prija, –esclamai – e come al solito interrompe i nostri discorsi!”
“Cosa ho interrotto?” chiese lei, prendendosi una sedia e servendosi del mio bicchiere di aranciata fredda.
“Una conversazione piacevole con la mia amica.”
“Oh, hai un’amica?” Sorrise a Priskit e posò il cellulare sul tavolo.
“Sì, l’ho rubata a te.” Presi il mio drink e ci feci un sorso. “Stai ancora lavorando?”
“Infatti.”
“Non ci farai un soldo a scherzare con me.”
“Fossi in te, non ci giurerei.”
“Sai che è un dottore? – disse Siskit – E ha anche scritto sedici libri!”
“Che tipo di dottore?”
“Ehmm…uno per le donne.” dissi, in Inglese. Feci un profondo sospiro. “Ginecologo.”
“Cosa?’” chiese Siskit.
“Tipo…una dottoressa.” rispose Priskit, con un sorriso cattivo.
“Lasciamo perdere, ok?”
Il suo cellulare squillò. Diede un’occhiata. “Devo andare.” Si voltò verso di me. “Resta lì finché non torno. Non abbiamo ancora finito, io e te.” E sgusciò via.
“Oddio! A volte penso che dovrei tapparmi la bocca!” esclamai.
“Perché? – chiese Siskit – Ti fa schifo essere paragonato ad una dottoressa?”
“Niente affatto, ma Prija mi sfotterà a lungo per questo.”
Siskit sorrise. “Hai ragione!” esclamò.
“Parliamo del tuo lavoro. Ti occupi delle vendite dirette?”
“No, sto a logistica.”
“Sembra difficile.”
“Per niente. Sto al computer e mi occupo di riempire di merci i containers, e poi assegnarli alle navi dirette in America o in Europa.”
Si dilungò sul modo migliore per utilizzare gli imballaggi in base alle loro dimensioni. E a come assegnarli ai vari containers in modo che quelli in cima fossero i primi da scaricare.
“Wow, affascinante! Ma che…?!?!”
“Ho un’eruzione cutanea!”
“Oddio, eccola che torna!” Mi misi le mani sulla faccia. “Monistar, Prija. Compralo in farmacia. Non c’è bisogno della ricetta medica. Siskit e io stavamo parlando.”
“Di me?” E sorrise. Per la terza volta, quella sera.
Devo andarmene subito, prima di spiattellare tutto.
“Oh, Signore.” Mi appoggiai allo schienale della sedia, per prendere i soldi dalla tasca dei pantaloni. “Proprio divertente. Ora devo andare.”
“Perché te ne devi andare?” chiese Siskit.
“Ho bisogno di dormire.” dissi.
“Domani è domenica. Nessuno lavora.” aggiunse Prija.
“C’è gente costretta a lavorare tutti i giorni.”
“Sulle femmine o sui libri?” chiese Prija.
“Non ti arrendi mai, vero?” Sorrisi.
Lei scosse la testa, ridendo.
“Devo iniziare un nuovo libro.”
“E di che parla?”
“Non te lo posso dire. E’ una storia triste.”
“A me piace leggere.”
“Pensi di essere capace?”
“Leggo meglio di come scrivi tu.”
“Buonanotte, signore.”
“Ci vediamo domani.” disse Siskit.
“Ti porteremo in un bel ristorante.” disse Prija.
Scossi il capo: sapevo che stavano scherzando.