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Chi consideri superficialmente i fenomeni sociali, non può non essere colpito dal risvegliarsi in molti Stati d'Europa di una agitazione più o meno sorda contro gli Ebrei.

A primo aspetto, sembrerebbe che il soffio vigoroso della prima rivoluzione francese avesse dovuto far sparire ogni distinzione fra cittadini, basata sul semplice fatto della fede professata.

Sembrerebbe che il diritto di adorare Dio secondo la propria credenza, fosse uno dei più saldi, dei più indiscutibili portati della moderna civiltà.

Sembrerebbe, sopratutto, oltraggio alla umana ragione dover invocare dagli scrittori discorrenti degli Ebrei, che applichino loro quell'elementare principio di equità da Carlo V, Re di Francia, nel xiv secolo sancito con apposita legge: non doversi l'intiera nazione ebrea tener responsabile delle colpe di ogni singolo ebreo.

Eppure, non è così.

Non soltanto nell'Oriente di Europa, dove la questione si complica e si innesta ad altre di svariata natura, si sveglia un movimento contro gli Ebrei; ma da questo movimento non vanno immuni i paesi più civili d'Europa.

In Germania, la terra classica della persecuzione contro gli Ebrei, come sin dal diciassettesimo secolo avvertiva Basnage (1), si bandisce una crociata contro di loro, ed a capo del movimento stanno un ateo, dichiarato e riconosciuto, il signor Henrici (2), ed un ministro protestante, il dott. Stöcker, predicatore di Corte a Berlino.

In Francia lo stesso movimento si accentua ed è già abbastanza vivo per darsi il lusso di un organo speciale, l'Antisémitique, che vede la luce in Montdidier, ed al quale ci sarà pur forza consacrare più innanzi qualche parola, benchè ci sia noto che l'opera insensata dei redattori di quel giornale non giova che ad ammassare sulle loro teste il generale disprezzo.

Ed anche nella nostra Italia, dove, dal 1848 sino alla completa unificazione della penisola, gli Ebrei sembrarono identificarsi col resto della popolazione, colla quale avevano avuti comuni i patimenti della oppressione ed i pericoli delle congiure e delle battaglie, oggi non manca chi soffi nel fuoco, e libelli di propaganda antisemitica vanno spargendosi a piene mani nelle campagne.

Se la guerra contro gli Ebrei avesse a ragione la differenza di fede; se a capo di questo movimento fossero i Papi, i Vescovi, la Chiesa in una parola; se agli Ebrei di oggi giorno si volesse far scontare la colpa dei loro antenati, la pertinace convinzione con la quale, malgrado persecuzioni d'ogni sorta, mantennero intatta la loro fede, noi non avremmo che a constatare una nuova manifestazione di quel fanatismo di cui tutti i secoli e tutte le credenze hanno dato numerosi esempî.

Le persecuzioni per ragione di fede non ci sorpresero mai. E se, mossi da quello spirito di carità che è nel cuore di ogni uomo, quando l'alito delle passioni non lo spegne, guardiamo inorriditi alle fiamme dei roghi, li accenda, come in Ispagna, un domenicano fanatico, o, come in Ginevra, il bieco Calvino, al nostro orrore non si mesce sorpresa.

La fede è il più nobile patrimonio dell'uomo, e per ciò appunto i suoi eccessi generano il fanatismo più pericoloso. I più atroci delitti hanno sovente origine dalla esagerazione delle più elevate passioni.

Ma sì, che i moderni antisemiti pensano proprio a tutto ciò! L'idea di vendicare il Dio crocifisso è tanto lungi da loro, quanto lo era dalle orde fanatiche che nell'xi secolo trucidarono gli Ebrei di Worms, che affermavansi discendenti da una colonia giudaica, migrata da Palestina ben prima della nascita di N. S. G. Cristo, e quindi ad ogni modo non responsabili di quella morte, neppure se le colpe degli avi s'avessero a vendicare sui tardi nepoti.

Guardiamoli in viso questi persecutori degli Ebrei, questi individui, scarsi di numero e ricchi di audacia, che senza aver tampoco la scusa del fanatismo religioso, vogliono ricondurci ai più tristi tempi del medio evo; squarciamo il velo sotto cui si asconde questo movimento, decorato del pomposo nome di antisemitismo, e vedremo che sotto di esso si cela una nuova faccia di quel mostro che vuole avvolgere il mondo nelle sue spire, e che, per usare una parola, oggi abusata, chiamerò radicalismo (3).

L'ebreo è ricco, od almeno lo si crede tale — se lo sia, e perchè lo sia, vedremo nel corso di queste pagine — ma è creduto tale, e per ciò soltanto gli si muove guerra.

La sua ricchezza è e fu sempre il suo delitto.

L'industria, la coesione, la ricchezza degli Ebrei ebbero sempre il triste privilegio di eccitare l'invidia e il malvolere. I Faraoni eran gelosi di loro sin da quando i figli di Israele cominciarono ad arricchire nella terra di Gessen, e gli idalghi ed i priori della Spagna cattolica furono gelosi a loro volta, allorquando un Ebreo divenne ministro delle finanze del Re Alfonso.

Ed oggi ancora i persecutori degli Ebrei appartengono a quel partito, che potrebbe a buon dritto chiamarsi il partito dell'invidia.

Cerchiamo oggi gli agitatori delle passioni antisemitiche in quei paesi, dove l'ignoranza dei più permette loro di mostrarsi a viso aperto, in Ungheria per esempio, e li vedremo sedere in Parlamento sui banchi della estrema sinistra (4).

In Francia, non son sei o sette anni, si combatteva dai radicali la elezione a consigliere generale di un membro della famiglia Rothschild, trattandolo da clericale!! Oggi che l'antisemitismo va facendo progressi, lo si combatterebbe perchè ebreo!

Clericale od ebreo, è tutt'uno per coloro che mirano a scuotere la società dalle sue basi, a distruggere la famiglia, la proprietà, la religione.

E non è soltanto la ricchezza, vera o creduta tale, degli Ebrei che li designa ai colpi dei loro avversarî.

L'ebreo, in qualsivoglia paese del mondo civile lo si consideri, è essenzialmente liberale. — Mi sia concesso avvalorare questa mia affermazione colle parole di uno dei più illustri scrittori del nostro secolo, di Ernesto Rénan (5):

“Il giudaismo, scrisse il professore francese, che ha tanto giovato per lo passato, gioverà anche in avvenire. Esso servirà la vera causa, la causa del liberalismo, dello spirito moderno. Ogni ebreo è liberale. Lo è per natura. I nemici del giudaismo, al contrario, guardateli da vicino, e vedrete che sono generalmente i nemici dello spirito moderno” (6).

In queste poche parole è mirabilmente riassunta la questione.

Sì; l'ebreo è liberale, essenzialmente liberale. Dalla sua lunga persecuzione, dalle sue secolari tribolazioni, esso ha imparato una cosa sola: ad odiare non i persecutori, ma la persecuzione, ad amare di vivo affetto la libertà, ma la libertà vera, quella che come sole fulgentissimo riluce per tutti gli uomini, qualunque sia la loro opinione, qualunque l'abito che vestano.

E di questo spirito del giudaismo la letteratura, la storia offron prove a bizzeffe. Ne addurremo soltanto due:

Uno dei più illustri fra gli scrittori ebrei, il più illustre forse dopo il Maimonide, Abarbanello (7), che alla teoria dell'uomo di studî congiungeva la pratica dell'uomo di Stato, ci lasciò nei suoi Commentarî delle dissertazioni di pubblico giure degnissime di studio. In queste egli esamina le diverse forme di governo e dà la preferenza alla forma repubblicana, od almeno alla monarchia temperata (notisi che Abarbanello scriveva nel xv secolo!). Esaminando in seguito quale sia il dovere dei sudditi, anche sotto un re malvagio e tiranno, insegna che il popolo non ha nè il potere, nè il diritto di ribellarsi, “contrariamente, dice egli, all'opinione dei saggi cristiani che scrissero di questo argomento” (8).

Nè si creda che le teorie del dotto ebreo non siano seguite da coloro che professano la religione mosaica. La rivoluzione francese fu per gli Ebrei un'êra di redenzione; essa soltanto ha spezzato i ceppi in cui da diciotto secoli gemeva la nazione ebraica; essa prima, dallo stato vilissimo in cui vivevano, li ha elevati a dignità di uomini, di cittadini. Nessuna meraviglia adunque che gli Ebrei favorissero quella rivoluzione e ne sposassero con ardore i principî. Pure il filosofo della storia non deve dimenticare che non un ebreo — non uno — si trova fra gli uomini che bruttarono coi loro eccessi quella rivoluzione, non uno fra i sicarî del 93 e fra coloro che colle più efferate licenze coprirono di obbrobrio il sacro nome di libertà (9).

E ciò, ripetiamolo, perchè l'ebreo è assolutamente liberale, nel buono, nel vero senso della parola.

Il radicalismo, invece, è essenzialmente nemico del liberalismo, perchè è essenzialmente persecutore. E questa è una nuova ragione dell'odio che il radicalismo nutre contro gli Ebrei.

Esso, che prova sempre il bisogno di nuove vittime, che oggi espelle i RR. Padri della Compagnia di Gesù, che domani perseguita altri pel solo fatto che nacquero da illustre prosapia, non può non esser nemico dello Ebreo, il quale vuole per sè la libertà come la vuole per gli altri, e combatte per essenza, per indole, per interesse, tutte le distinzioni basate sulla nascita, sulla fede.

Ecco perchè, con mostruoso connubio, Culturkampf ed antisemitismo poterono nascere quasi ad un tempo e sulla stessa terra (10).

E qui ci si para spontanea dinanzi un'obbiezione.

Ci si dirà. Voi dipingete i radicali come i più feroci nemici degli Ebrei; eppure noi tutti conosciamo radicali notissimi che sono ben lungi dal partecipare a quest'odio, e vediamo invece assaliti tutto giorno gli Ebrei da giornali e da uomini del partito che è notoriamente il più avverso al radicalismo.

L'obbiezione è giusta, giustissima; ma è giusta solo per quanto risguarda gli uomini, non per quanto risguarda il partito.

Spieghiamo il nostro concetto.

Se è vero che tutto si può pretendere dall'uomo fuorchè la logica, è anche più vero che è specialmente nella politica che la logica si va facendo ogni giorno più rara.

Tutto giorno udiamo uomini vantarsi conservatori, liberali, radicali, e raramente li vediamo informare tutte le loro azioni ai principi di cui si dicono seguaci.

Nei paesi specialmente, come l'Italia, da poco educati alla vita politica, è accaduto che uomini appartenenti ad opposte scuole politiche si trovarono per lungo tempo affratellati da un intento comune, la liberazione della patria.

Questo intento comune, e l'azione comune che ne fu conseguenza, han fatto sì che le idee degli uni esercitassero qualche influenza su quelle degli altri, mitigassero la logica inflessibile dei principii, dessero vita a quella specie di eccletismo politico di cui ogni giorno vediamo prove in Italia.

Ecco perchè, sebbene il radicalismo sia per natura il peggior nemico degli Ebrei, i radicali italiani si separano in ciò dalla maggioranza del partito cui appartengono.

Se una serie di miracoli eguali a quelli, per cui l'Italia da ancella divenne nazione, facesse domani risorgere la Polonia, l'Europa vedrebbe uno spettacolo più singolare ancora; vedrebbe per alcun tempo i radicali ed i clericali polacchi vivere assieme d'amore e d'accordo, tutti assorti in un sol pensiero, la salute della patria (11).

Ma sarebbe tregua di anni, che nella storia dei popoli sono un momento, e i due principî opposti non tarderebbero a darsi battaglia anche nella terra degli Jagelloni.

La storia naturale ci insegna che animali, i quali allo stato selvaggio sono nemici inconciliabili, possono allo stato di servitù vivere fra loro d'accordo.

E se ciò avviene per animali di diversa razza, come non avverrebbe per l'uomo?

Veniamo all'altra parte dell'obbiezione.

È vero del pari che gli Ebrei sono oggigiorno combattuti con violenza da taluni giornaletti di provincia, che si dicono cattolici e si vantano rappresentanti non già di Papi o di Vescovi, dinanzi ai quali ci inchineremmo reverenti, ma di sodalizi più o meno ignorati ed in nessun caso autorevoli.

Errerebbe di gran lunga chi credesse che quei giornali rappresentino lo spirito, la parte pensante del loro partito (12).

È comune errore il credere alla disciplina della stampa cattolica, e l'errore è tanto comune che i fatti i più lampanti, l'opposizione accanita, per esempio, che taluni giornali sedicenti cattolici fanno ai Presuli delle loro diocesi, non valgono a sradicarlo.

A provare che tutta la stampa non partecipa all'opinione dei suddetti giornalucoli, addurrò quattro fatti quasi contemporanei.

1º Or sono due o tre anni, in occasione delle elezioni amministrative a Roma, l'Unione Romana, associazione cattolica presieduta da S. E. il signor Duca Scipione Salviati, venne ad accordi colla Associazione Costituzionale. Quest'ultima portava un israelita siccome candidato al Consiglio Provinciale.

Sarebbe stato impossibile, assurdo, pretendere che in Roma una Associazione cattolica portasse fra i suoi candidati un non cattolico: pure la lista fu concordata ed i giornali cattolici la sostennero, togliendo, è vero, il nome del candidato israelita, ma sostituendolo con una riga di punti. Se si ponga mente che ciò avveniva per una elezione che aveva luogo su di un sol nome, si converrà, che il dichiarare esplicitamente, che al candidato israelita non si opponeva nessuno, equivaleva da parte dei giornali cattolici a dire: non possiamo appoggiarlo, ma desideriamo vederlo eletto.

2º L'organo del partito cattolico di Genova, Il Cittadino, fu per molto tempo, ed è ancora, arbitro assoluto delle elezioni amministrative di quella città, e fra i suoi candidati fu sempre almeno un israelita.

3º La Rassegna Nazionale, importante rivista che vede da cinque anni la luce in Firenze, che è l'organo della parte più liberale del partito cattolico, ed in cui collaborano gli uomini più insigni di quel partito, come il Cantù, lo Stoppani, ecc., ecc., pubblicava nel suo numero di luglio u. s. una splendida difesa degli Israeliti dovuta a quel luminare del giudaismo, che è il prof. Ad. Frank, dell'Istituto di Francia. E qui cade in acconcio il ricordare che il signor Frank dettava, pregatone, quel suo articolo per gli Annales de philosophie chrétienne pubblicati dal signor Roux con tanto zelo a Parigi (13).

4º Or son pochi mesi, infine, l'Osservatore Romano, il solo giornale, ricordiamolo bene, che la Corte Pontificia riconosca come suo organo, recava nel suo N. 165 del 21 luglio 1883 una corrispondenza da Nyiregyhaza, 16 luglio, sull'iniquo processo di Tisza Eszlar, che ha testè disonorato l'Ungheria, corrispondenza ispirata a sentimenti così nobili ed elevati che non sappiamo resistere al desiderio di riferirne un brano, per istruzione di coloro che della stampa cattolica giudicano dagli ignobili giornali di provincia cui abbiamo testè accennato:

“Dopo l'ultima mia, che vi dava conto dell'8ª seduta, ebbe luogo una pausa di tre giorni; quindi si continuò nell'audizione di testimonî a carico e scarico, si aprì la discussione sul presunto trafugamento e tentata sostituzione di cadavere, e furono uditi i periti medici dell'università di Pest in contesto di quelli che esaminarono il cadavere e stesero il repertum facti. Le varie scene a cui diedero luogo queste diverse fasi dell'ormai sciaguratamente celebre processo non valsero a portar miglior luce sui fatti, ma contribuirono purtroppo a mettere in evidenza lo stato anormale dell'amministrazione della giustizia in Ungheria, non che lo sfogo di passioni, crassa ignoranza, corruzione, abbiezione di caratteri.

“Ester Solymossy è scomparsa. Questo è l'unico fatto certo.

“Fu dessa vittima d'un sacrifizio rituale?

“Ne manca ogni prova attendibile. Non si ha per base dell'accusa che la denuncia d'un figlio contro del proprio padre.

“Accetti chi vuole una tal base; io la respingo con orrore.

Onorerai il padre tuo e la madre tua! proclamò Iddio dall'alto del Sinai. Chi calpesta questa legge divina, a cui fecero omaggio tutti i popoli della terra, sanzionando nei loro codici per ogni caso e senza eccezione alcuna il diritto dei figli di non deporre in giudizio contro dei genitori; chi, ripeto, calpesta questa legge, non è più uomo, è un bruto; ed i bruti non meritano fede in giudizio.

“Ciò sia detto in risposta ai fanatici, ai dilettanti di casuistica, ed agli stolti, quorum infinitus est numerus, che stimano non si possa essere buon cattolico senza essere antisemita e giudeofobo.”

Abbiamo trascelto a caso questi esempî, e molti ne tralasciammo dei tanti che ci si affacciavano alla memoria; perocchè questi siano più che sufficienti a dimostrare che lo spirito animante la stampa cattolica, degna di questo gran nome, verso gli Ebrei non vada cercato in quei fogliucciacci di provincia che seguono le pedate dell'Osservatore Cattolico di Milano, giornale più volte riprovato dalla Autorità Ecclesiastica.

E chiudiamo la lunga digressione.

Il radicalismo, abbiam detto, combatte l'Ebreo perchè ne invidia le pretese ricchezze (14); lo combatte, perchè vede in lui incarnati quei principî di libertà e di tolleranza politica e religiosa, che sono l'antitesi la più perfetta delle dottrine radicali, basate sulla violenza ed ispirate al detto del gran satirista di Roma: Stat pro ratione voluntas.

E non senza un perchè il radicalismo ha scelto l'Ebreo a bersaglio dei suoi strali.

La società posa su basi solide, e i radicali, malgrado la loro buona volontà, non riescirebbero certamente a scuoterla d'un tratto.

Perciò volsero prima le loro armi contro la Chiesa cattolica, sicuri di aver a compagni nella lotta molti liberali di buona fede che credevano giovare alle idee di progresso intellettuale e sociale, combattendo la Chiesa e privandola non soltanto di quei privilegi che contrastavano all'ordine politico degli Stati moderni; ma ponendola eziandio fuori del diritto comune, e violando a suo danno i più elementari principî del giure naturale, siccome fu fatto in Francia, in Germania ed in Isvizzera.

Se la lotta contro la Chiesa offriva ai radicali il vantaggio di aver ad alleati molti liberali, la lotta contro gli Ebrei assicurava loro il concorso dei più esagerati campioni del fanatismo religioso.

Ora un partito, che apre in America pubbliche scuole per insegnarvi ad usufruire la dinamite per giungere al progresso sociale, non può essere schifiltoso nella scelta dei mezzi. Dopo aver combattuto a fianco ai liberali contro Ignazio di Loyola, esso si allea ad Arbues e a Torquemada per combattere contro gli Ebrei, per rinnovare contro di loro gli eccessi onde vanno disonorati nella storia i nomi di Ferdinando ed Isabella di Spagna, di Emanuele di Portogallo e di tanti e tanti sovrani delle età media e moderna.

E così, applicando il vecchio precetto, tanto caro ai tiranni, divide et impera, viene il radicalismo man mano sgretolando il vecchio mondo, pronto poi, siccome disse il poeta, a cogliere i frutti del mal di tutti.

Questo abbiamo voluto dire per spiegare il perchè prendiamo oggi a difendere gli Ebrei. Non ci muove interesse di casta, non spirito di religione, ma convinzione profonda, immutabile, che in essi non si osteggia la credenza religiosa, ma si combatte uno dei ripari della moderna società.

Come oggi difendiamo gli Ebrei, avremmo ieri difeso le corporazioni religiose espulse di Francia (15), difenderemmo domani qualsivoglia setta, corporazione o sodalizio cui si volessero negare i beneficî del diritto comune, e questo non per uno spirito alla Don Chisciotte, ma perchè crediamo necessario mettere in guardia la società moderna contro gli assalti del radicalismo, il quale rinnova precisamente la tattica riuscita tanto bene ai precursori della prima rivoluzione francese.

Come costoro, prima di attaccare la monarchia di fronte, vennero man mano scalzando tutti i principî su cui essa poggiava; così i radicali, prima di assalire di fronte la società, la minano sotterra, e vellicando stolte ed abbiette passioni, tentano inocularle l'odio per la libertà, il disprezzo pel diritto, l'amore per le leggi di violenza partigiana, di persecuzione ingiustificata.

A questo lavorìo deleterio bisogna tutti si oppongano: e per opporvisi con frutto, per combattere vittoriosamente questa santa battaglia della civiltà e del progresso, occorre stringersi intorno al labaro dei nuovi tempi su cui sta scritto: Libertà per tutti.

Recoaro, agosto 1883.

Corrado Guidetti.

Dott. in lettere.

(1) Hist. des Juifs, p. 2852.

(2) Rassegna Nazionale, Firenze, 1º luglio 1883, p. 42.

(3) Per evitare una confusione altrettanto perniciosa quanto, ai tempi nostri, comune, quella che proviene dal non intendersi sul significato che si annette alle parole, spieghiamo qui ciò che intendiamo per radicalismo.

Lungi da noi il pensiero di designare con questo nome coloro che aspirano ad una piuttosto che ad un'altra forma di reggimento politico.

Radicale può essere tanto il monarchico quanto il repubblicano, e sì l'uno che l'altro possono esser liberali. Per noi la distinzione fra liberali e radicali sta in ciò soltanto: che il liberale vuole raggiungere i più alti ideali dell'avvenire rispettando i diritti, la libertà, la vita di ognuno; il radicale, invece, è disposto a violare ad ogni momento la libertà ed i diritti altrui, per conseguire il suo intento.

Posta così nettamente la questione, diremo subito che fra quel prototipo leggendario di inquisitore che, dinanzi a un massacro in cui cadevano egualmente vittime eretici e cattolici, avrebbe sclamato: uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi, e Barnave, il girondino, che di fronte alle prime stragi che insozzarono la rivoluzione francese, sintetizzando in una frase cinica e crudele i concetti del radicalismo, nella seduta del 23 luglio 1789, chiede ironicamente dall'alto della tribuna: Le sang qui coule est-il donc si pur? non sentiamo preferenza alcuna.

(4) Appartenevano del pari all'estrema sinistra intransigente del Parlamento romeno quei quattro deputati che nel 1878 escogitarono una mozione intesa ad un tempo a inorpellare l'Europa, che insisteva perchè agli Ebrei si accordasse l'eguaglianza civile, ed a rendere a questi impossibile o quasi il conseguirla. V. Marco Antonio Canini. La verità sulla questione degli Israeliti in Rumania. Roma, Barbera, 1879.

In Italia poi, uno dei rarissimi deputati che faccia pompa del suo antisemitismo, e che si diverta a parlare nelle sue corrispondenze giornalistiche di Giornali della Sinagoga e di altre simili amenità da medio evo, è quello stesso che in piena Camera dichiarò egli non conoscere un Papa Pio IX, ma soltanto un conte Giovanni Mastai Ferretti di professione Vicario di Dio! ho nominato l'on. Petruccelli della Gattina. Anche in Francia la questione semitica fu sollevata per la prima volta, in questi anni, da un articolo, perfidamente abile, intitolato: Dieu des Juifs tu l'emportes! pubblicato dal noto mangiapreti signor Francisque Sarcey, nel xix Siècle di Edmond About nel maggio o giugno 1875.

(5) Errerebbero a gran partito coloro che credessero il signor Rénan un amico degli Ebrei; egli, nel suo libro sull'Ecclesiaste, ne ha ultimamente schizzato un ritratto dal quale risulterebbe che essi sono oggi quello che erano or sono quattromila anni alle falde del Sinai: gli adoratori del vitello d'oro. E nei suoi Souvenirs d'enfance et de jeunesse parla degli Ebrei in guisa da meritarsi che il primo numero dello Antisémitique di Montdidier gli consacri una colonna di elogi. Ciò avvertiamo non per far colpa allo scienziato francese delle sue tendenze; ma perchè gli avversari nostri, ogni qualvolta citiamo il Rénan, non ci rinfaccino di appoggiarci all'autorità di chi ha negata la divinità di N. S. Gesù Cristo. Il Rénan potrà essere anticristiano fin che si vuole, ma non certo per filosemitismo.

(6) Ernest Rénan. Le Judaïsme et le Christianisme. Paris, Calmann Levy, 1883, p. 24 e 25.

(7) Nacque a Lisbona nel 1437; fu intendente delle finanze di Alfonso V, re di Portogallo, di Ferdinando il Cattolico, re di Castiglia, di Ferdinando il Bastardo, re di Napoli, di Alfonso II suo successore che non abbandonò quando i francesi lo cacciarono dal Regno. Abarbanello si stabilì in Italia e fu preso per arbitro in una questione commerciale fra il Re di Portogallo e la Repubblica di Venezia. Morì a Venezia nel 1508 e fu sepolto in Padova. Veggansi per maggiori notizie: Bartolocius, Bibl. Rabb.; Bayle, Dict. Crit.; Boissi, Dissert., p. 2; Schwab, Abravanel et son époque; S. Honel, Lien d'Israel, 5º anno, pag. 355 e segg.; e tutte le biografie.

(8) I. Bedarride. Les Juifs en France, en Italie et en Espagne. Paris, Michel Levy, 1861, p. 294. È appena necessario avvertire che, riferendo l'opinione di Abarbanello, facciamo sulle ultime parole sue le più ampie riserve. Nè S. Tommaso, nè scrittori approvati ed autorevoli, nè tanto meno la Chiesa Cattolica si espressero nel senso della liceità di ribellarsi o peggio di uccidere il tiranno, anzi la negarono recisamente.

(9) Merita a questo proposito di esser riferito il giudizio che uno dei più dotti Rabbini del nostro secolo, il professore S. D. Luzzatto di Padova, dava della rivoluzione francese.

Trascriviamo un brano di una sua lettera inedita del 26 dicembre 1836 inserita nel Vessillo Israelitico di Casale, ottobre 1876, p. 325.

“Nello scorso secolo gli spiriti della Francia, scatenandosi ad un tempo con un diluvio di scritti religiosi e contro i Governi assoluti e contro il Cristianesimo, produssero nelle menti quello stravolgimento, che poi si sviluppò nella funestissima rivoluzione francese, la quale pose in trambusto per tanti anni il mondo intero.”

(10) Vi sono taluni ingenui che si chieggono come il principe di Bismarck tolleri il risvegliarsi dell'antisemitismo in Germania. A questi ingenui osserviamo che il non cade foglia che Dio non voglia si avvera anco in politica, specialmente quando il Dio si chiama: il signor di Bismarck. Le vere dottrine di libertà sociale ed economica che furono la gloria dei quattordici primi lustri del nostro secolo non ebbero, non hanno nemico più mortale del cancelliere di ferro. E chi è nemico di libertà è nemico naturale degli Ebrei. Lo stesso Bismarck in una conversazione avuta con un diplomatico straniero, telegrafata al Morning Post nell'agosto dello scorso anno, diceva per assicurarlo delle sue intenzioni pacifiche: “La Germania non è nelle mie mani, come crede la gente. La Germania è nelle mani degli Ebrei, che hanno orrore per la guerra in causa dei loro interessi e delle signore che hanno orrore della guerra per la vita dei loro mariti e dei loro figli.” Aver orrore della guerra vuol dire esser fattori di civiltà, ma vuol dire ad un tempo esser odiati a morte dal signor di Bismarck.

(11) Cade proprio in acconcio notar qui che lo stesso Governo russo, che deportava in Siberia monsignor Felinsky, il venerando Arcivescovo di Varsavia, puniva più volte colla carcere e coll'esilio il patriottismo dell'illustre Michel B. Meisel, Rabbino di quella città.

(12) I nostri lettori troveranno fra i documenti un discorso dell'eminentissimo cardinale Manning, il quale ci dà la vera opinione della parte pensante del partito cattolico sulla questione semitica.

(13) Ci sia concessa una lieve digressione. È uno spettacolo che solleva l'animo del pensatore quello che ci offrirono quasi contemporaneamente gli Annales de philosophie chrétienne, invitando un ebreo a discutere nelle loro colonne la questione semitica, e la Société des Etudes juives di Parigi, chiamando nel suo seno un non israelita a dissertare “sul Giudaismo e sul Cristianesimo.” Malgrado i gufi, che tentano di oscurare il sole, è d'uopo convenire che siamo assai lontani dai tempi di San Luigi, Re di Francia (Cfr. Joinville, p. 11) quando un cavaliere, trovandosi presente ad una di quelle discussioni che allora frequentemente avvenivano fra sacerdoti cattolici e rabbini ebrei, sulla prevalenza delle rispettive religioni, vedendo come gli ebrei avessero il sopravvento nella discussione, stese morto ai suoi piedi con una bastonata l'ultimo rabbino che aveva parlato, dicendo ai preti cattolici, in atto di rampogna: “Vous avez fait folie d'avoir occasioné telle dispute d'erreur.

(14) Queste linee erano già scritte, allorchè ci venne fatto di leggere nella Revue Britannique (luglio 1883) un dotto articolo, tolto dall'Edimburgh Review, nel quale si accenna appunto allo spirito di odio e di persecuzione che oggi si manifesta sotto il falso nome di liberalismo repubblicano.

(15) Non faccia meraviglia se in questo nostro lavoro, ispirato, osiamo vantarcene, ai principî della maggiore tolleranza, ci accada di paragonare sovente i Gesuiti agli ebrei. Sì gli uni che gli altri furono perseguitati da nemici, i quali, ben più che osteggiarne i principî, miravano ad attribuirsene le ricchezze; contro gli uni come contro gli altri si ripeterono le stesse accuse di usure, di accaparramenti, di massime antisociali, sicchè non è raro vedere nelle opere antigesuitiche del secolo scorso i Gesuiti paragonati agli Ebrei. Ho sott'occhi, per esempio, i “Lupi smascherati, Ortignano, nell'officina di Tancredi e Francescantonio padre e figlio Zaccheri di Strozzagriffi, mdcclx” libello antigesuitico, attribuito all'abate Capriata, ed a pag. 57 (nota) trovo: “I principi l'hanno rigettati da loro [i gesuiti] e sono omai riguardati come Giudei.

Che se qualcuno ci rammentasse le prediche di qualche gesuita contro gli Ebrei, risponderemmo ricordando il Qui gladio ferit; e se ci si obbiettassero certi articoli antisemitici della Civiltà Cattolica, l'organo massimo della Compagnia, diremmo che ad essi la persecuzione non ha nulla insegnato, e compiangeremmo quei perseguitati che dalle violenze di cui furono vittima non appresero la sublime virtù della tolleranza.

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