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Costituiscono gli Ebrei una razza speciale?

La tendenza scientifica cui si inspira il nostro secolo ha voluto trovare una formola con cui giustificare la persecuzione contro gli Ebrei, e si disse che essi costituivano tuttora una nazione speciale, che quindi erano da considerarsi nei diversi Stati, in cui dimoravano, come stranieri, e per poco non si propose di equipararli agli zingari ed ai gitani. Ricacciare gli Ebrei in Palestina è la proposta la più moderata che esca dalle labbra degli odierni antisemiti.

Sarebbe agevole rispondere a questa pretesa opinione scientifica con una sola parola, dimostrando, cioè, come oggi tutte le legislazioni dei paesi civili si affrettino a cancellare dai loro codici ogni differenza fra cittadini e stranieri, progresso questo, in cui l'Italia fu, col suo codice civile, vessillifera alle altre nazioni.

Ma questa difesa respingerebbero gli Ebrei, perocchè essi si sentano italiani in Italia, francesi in Francia (16), inglesi in nghilterra (17) ed Ebrei soltanto nei loro tempî (18).

Noi non abbiamo, d'altronde, ad avversarî nè filosofi, nè cristiani, nè liberali: ognuno di questi, infatti, troverebbe, nelle proprie convinzioni morali, religiose o scientifiche, argomenti per esserne condotto alla pratica della più larga tolleranza. Abbiamo di fronte, invece, quella fazione, oggi pur troppo numerosa, che vorrebbe la legislazione sociale non inspirata a nessun principio superiore all'uomo, e serva al più gretto utilitarismo; quella fazione che in America, la terra classica della libertà, propone ed ottiene provvedimenti straordinarî contro i Chinesi!!

Vinciamo quindi la naturale ripugnanza, e facciamoci a provare come gli Ebrei differiscano dagli altri italiani per la religione soltanto, non per l'amore al paese, non per la razza.

Non ricorderemo qui come ogni Ebreo di Roma abbia iscritto nel suo libro di preghiera fra le date fauste della sua vita il 20 settembre 1870, segnandovi persino l'ora precisa della liberazione: dieci e mezza antimeridiane, come già un quarto di secolo prima vi aveva iscritto la Pasqua del 1847, quando, per opera di Pio IX, caddero le mura e le porte che chiudevano il ghetto (19). Ci sembra che, per dimostrare come gli Ebrei in Italia si sentano italiani e non altro, basti, e ce ne sia di avanzo, della nobile figura del martire di Mantova, di Giuseppe Finzi (20)!

Se fra gli antisemiti italiani vi ha qualcuno cui scaldi il petto amor di patria, si faccia innanzi ed osi contestare l'italianità a quel monumento di patriottismo che è l'on. Finzi.

Ma ove al nome venerato del patriota lombardo noi aggiungessimo quelli di Angelo Usigli, compagno di Ciro Menotti (21), del milanese Bachi, che fu tra i precursori del movimento del 1848, di Daniele Manin cattolico di religione, ma di famiglia ebrea (22), e se a questi nomi facessimo seguire quelli dei numerosi Ebrei che accorsero volontarî sotto le bandiere nelle diverse guerre della indipendenza (23), i nostri avversarî ci risponderebbero sempre coll'adagio favorito dei sofisti: L'eccezione prova la regola.

Attacchiamo dunque di fronte il pregiudizio, larvato a scienza, e mostriamo che è tanto assurdo il credere che gli Ebrei sieno oggi i discendenti di Abramo quanto sarebbe ridicolo il sostenere che il Kedive d'Egitto sia l'erede diretto dei Faraoni, o che nelle vene degli odierni Romani corra il sangue dei Bruti e degli Scevola.

Già sin da quando gli Ebrei abbandonarono l'Egitto, numerosi stranieri si mescolarono a loro, sicchè ben può dirsi che da quel momento la razza di Giacobbe cominci a fondersi colle altre (24).

Nei tempi biblici i progenitori delle dodici tribù non esitarono ad imparentarsi con altre razze non esclusa la cananea pur tanto odiata. Mosè sposò una madianita. Fra le proavole di Davide vi ha la cananea Tamar e la moabita Rut. Nelle vene di Ezechiello corre il sangue di Raab la cananea, nè egli è il solo profeta d'Israello che tragga origine da idolatri. Più tardi i proseliti non solo non furono rigettati, ma vennero accolti senza reluttanza in grembo alla fede. Lo provano le leggi favorevolissime ai proseliti dimoranti nella Palestina, sparse in tutto il Pentateuco: lo provano i Gabaoniti che, entrati nell'Ebraismo mediante l'inganno e la frode, pure vi furono più che benignamente trattati, allorchè, per vendicare un oltraggio ad essi fatto, fu versato sangue di Re (25): lo provano le centinaia di migliaia di proseliti di cui si fa menzione al tempo della monarchia degli Israeliti, specialmente all'epoca di Salomone (26): lo provano i proseliti dei tempi di Ester (27) e quelli dei popoli trapiantati dal conquistatore Senacheribbo in Palestina (28), non che varie conversioni individuali abbastanza notevoli, come quella di Naaman il supremo ministro del regno siro (29) e quelle di Ebena regina di Adiabene e di suo figlio Izak, di cui fa cenno Giuseppe (30). Nè gli Ebrei aveano a vile di mescolare il sangue con questi proseliti; chè anzi il loro Talmud ci ha tramandato, quasi a titolo di gloria, che i principali maestri d'Israello, come Hillel, Rabbi Jehudà il Santo, Akiva martire della crudeltà romana, Rabbi Meir ed altri moltissimi discendevano da proseliti, e che proselite era Onkelos, uno dei più grandi tra i parafrasti caldei.

Insomma, gli Ebrei di Palestina non furono, come volgarmente si crede, un popolo segregato dal consorzio umano. Ecco come un autore non sospetto e che, vivo, non si sarebbe mai immaginato di vedersi citato nel secolo xix a difesa degli Ebrei, scrive:

“Questi ultimi Ebrei [dopo la morte di Erode] erano un miscuglio di parecchie nazioni. Se ne erano stabiliti in tutti i paesi che sono sotto il sole, siccome dice la Scrittura. Parecchi venivano ad abitare nella Giudea, od almeno vi facevano qualche devoto viaggio per poter offrire sacrifizi a Dio nel solo tempio in cui fosse permesso di farlo. Oltre a ciò vi erano sempre ad ogni qual tratto dei Gentili che si convertivano, e divenivano proseliti. Così gli Ebrei, a parlar propriamente, non eran più un popolo solo colla stessa lingua e gli stessi costumi, ma parecchi popoli che si riunivano in una sola religione. Persino quelli che abitavano la Terra Santa erano un miscuglio di diverse nazioni, di Idumei e di altri Arabi, di Egiziani, di Fenici, di Siriaci e di Greci.”

Fin qui il Fleury (31), ai cui Mani chiediamo umile venia se lo abbiamo tratto a testimoniare in favore degli Ebrei, ciò che certamente egli non avrebbe desiderato; ma non è proprio colpa nostra, se le accuse che si muovono a questo disgraziato popolo sono tanto svariate e contraddittorie, che quanto veniva scritto per far loro onta possa, poche generazioni dopo, essere addotto ad argomento di difesa.

Ma se la nazione giudaica era già dopo Erode una mescolanza di diverse nazioni, come ci insegna il Fleury, e come ci confermano gli Atti degli Apostoli: “Or in Giudea dimoravano degli uomini religiosi d'ogni nazione di sotto il cielo” (32), non bisogna neppur credere che, dopo la dispersione seguita alla distruzione del secondo tempio, gli Ebrei abbian cessato di fare proseliti fra genti di schiatte diverse.

Numerose colonie di Ebrei popolavano Roma e le altre città dell'impero. A Roma soltanto ve v'erano 20,000 sotto Augusto, e narra Strabone che v'erano numerosi Ebrei in quasi tutte le città d'Italia (33). E numerosi eran pure in molti altri paesi non ancora sottoposti al giogo di Roma. In ogni luogo, al dire di Filone, gli Ebrei esercitavano una salutare influenza sulle credenze religiose e sui costumi; in ogni luogo avevano stabilito sinagoghe, dove si riunivano nei giorni di sabato per pregare e commentare la Bibbia. A queste riunioni partecipavano sovente molti pagani, che aderivano poco a poco alle nuove dottrine udite proclamare, e che, rigettando gli errori del politeismo, accettavano le pratiche più essenziali del giudaismo, il riposo settimanale e l'annuo digiuno dell'espiazione. In tutte le classi sociali del mondo romano abbondarono i giudaizzanti, ben prima che sorgesse l'apostolato cristiano; sicchè si può dire coll'Havet (34) che, se colle parole l'avvento del Cristianesimo, deve intendersi la conquista del mondo greco e romano da parte del Dio degli Ebrei, si può dire che questo avvento aveva avuto luogo sin dai tempi di Augusto e di Tiberio, e che questa conquista era in via di compiersi, ben prima che fosse questione di Cristo.

Ad Alessandria di Egitto, a Roma, in Siria la propaganda giudaica fu sempre intensa ed efficace.

Giuseppe Flavio ci apprende come molti greci passassero in Antiochia al Giudaismo (35).

A Roma il proselitismo ebraico, nascosto nelle vie adiacenti al Tevere, forse in prossimità almeno dei luoghi dove oggi ancora sorge il ghetto, guadagnò neofiti persino nelle famiglie patrizie, salendo dallo schiavo al liberto, dal liberto al padrone (36).

E di questo spirito di proselitismo e della efficacia sua ci dà prova Svetonio (37).

L'influenza delle idee giudaiche sul paganesimo preoccupava gli spiriti: Victoribus victi legem dederunt sclama Seneca nel De Superstitione, ed il poeta Rutilio geme: Atque utinam nunquam Judaea subacta fuisset.

Nè il legislatore se ne mostra meno impensierito. Al tempo di Domiziano le conversioni al giudaismo erano così frequenti che parecchie leggi furono fatte per impedirle (38). I convertiti erano puniti di morte e colla confisca dei loro beni, e la stessa pena colpiva coloro che erano accusati di aver cooperato alla loro apostasia.

Nè pare che queste leggi avessero risposto allo intento, perchè vediamo Costantino obbligato a proibir di nuovo con severissime pene agli Ebrei di far proseliti.

Ma a toglier ogni dubbio sull'efficacia dello spirito di propaganda che animava gli Ebrei nella Roma pagana, ci piace recar qui un brano di Dione Cassio (39). “Questo paese si chiama Giudea, e Giudei i suoi abitanti. Non conosco l'origine di questo secondo nome, ma esso si applica ad altri uomini che, quantunque di razza diversa, hanno adottate le istituzioni di questo popolo. E fra i Romani sonvi molta gente di tal fatta, e quanto si fece per porvi ostacoli, non giovò che ad aumentarli, tanto che fu forza accordar loro la libertà di vivere secondo le loro leggi.”

Altro modo, di cui gli Ebrei dovettero giovarsi per acquistar proseliti, fu il possesso degli schiavi; e le numerose precauzioni, che per lunga serie di secoli prendono le autorità spirituali e le temporali, per impedire agli Ebrei di convertire alla loro religione gli schiavi da essi posseduti, bastano a farci persuasi quanto zelo mettessero gli Ebrei nel deluderle.

Ma anche senza tener conto di questo coefficiente pure importantissimo per l'adulterazione della razza, la storia delle età di mezzo ci porge non infrequenti esempi di conversioni al giudaismo.

Alla fine del iv secolo dell'èra nostra Abu-Karibba-Tabban re dell'Yemen (40) e nel 740 Bulan re dei Kazari (41) abbracciano il giudaismo.

All'epoca dell'imperatore Enrico II il cappellano di un Duca Corrado, di nome Vecelino, passò al giudaismo, locchè fece adirare al massimo grado l'imperatore, ma non produsse altro castigo che quello di una erudita confutazione (42).

Un caso simile sotto Lodovico il Pio è narrato da Krabano Mauro (43).

In Francia le conversioni al giudaismo non sono senza esempio. Parecchi cristiani lasciarono nel ix secolo la Chiesa per abbracciare il giudaismo, e fra questi si citava un diacono palatino a nome Putho (44), e sino ai tempi di Filippo il Bello (xiv secolo) si segnalano conversioni (45).

Nel 1040 un celebre rabbino di Granata, Giuseppe Halevy, è accusato di aver fatto proseliti alla fede mosaica in Ispagna e messo a morte (46).

Le conversioni al giudaismo erano, nel xiii secolo ancora, tanto frequenti da meritare che Nicolò IV, appena assunto al Pontificato, se ne occupasse con una lettera datata da Rieti, 5 settembre 1288; lettera che non deve aver prodotto grande effetto, se Giovanni XXII è obbligato a promulgarne una consimile il 13 agosto 1317.

Rainaldo ci assicura che nel xiv secolo molti fra i discepoli di Giovanni Viclefo abbracciarono la perfidia giudaica.

Il primo di agosto 1603 sulla Piazza Ribeiro in Lisbona venne bruciato fra Diego di Assunçao, monaco francescano, che, dopo aver abbracciato il giudaismo, andava predicando ed insegnando questo solo doversi considerare vera religione.

Ricorderò ancora quel Giovanni Mica, cristiano portoghese del xvi secolo, che, fattosi ebreo, prese il nome di Giuseppe Nassi, visse in Costantinopoli e pubblicò varie opere lodatissime (47).

Nel secolo scorso rimase celebre in Inghilterra la conversione di lord Giorgio Gordon (48).

Molti altri esempî potremmo citare (49); ma crediamo che quelli da noi portati sien più che sufficienti a provare che il Giudaismo devesi considerare come una religione, non come una razza (50).

Come dubitare che gran parte degli Ebrei attuali non discenda da questi nuovi convertiti (51)? Certamente, grazie alle persecuzioni che per lunghi secoli afflissero i credenti nella legge di Mosè, non un Ebreo si trova oggi nel luogo di origine della propria famiglia.

Cacciati or di qua, or di là, essi andavano concentrandosi nei paesi, dove leggi, non più miti, ma meno crudeli permettevano loro di vivere con una sicurezza relativa; sicchè, oggi, tanto varrebbe voler cercare i veri discendenti dagli Ebrei di Palestina, per ricacciarli nella loro terra, quanto il cercare in Italia i discendenti degli antichi barbari per ricacciarli oltre Alpi.

Ma se si volesse adottare contro gli Ebrei un provvedimento qualsiasi, ispirato a questa pretesa differenza di razza, come a noi italiani non si affaccierebbe alla mente la testimonianza, già da noi invocata, di Dione Cassio e come non ci tormenterebbe il dubbio che questi pretesi stranieri, questi abborriti semiti sieno proprio figli di quei Romani convertiti al Giudaismo, di cui parla lo storico latino, tornati fra noi, dopo Dio sa quali peregrinazioni, mossi da quell'amore del paese di origine che, come un istinto, sopravvive forse in noi alla memoria?

Nè gioverà spender molte altre parole intorno a siffatta questione di razza, perchè, assurda dovunque, essa raggiunge fra noi l'apice della assurdità.

Gettiamo uno sguardo sulla storia dei secoli scorsi, e vedremo, finchè durò la potenza di Roma, accorrere fra noi stranieri d'ogni razza e d'ogni lingua, e quando i destini d'Italia mutarono sì che da donna divenne ancella, vedremo gli schiavi di ieri mutarsi in predoni, correre sulle terre nostre e devastarle. Goti, Longobardi, Normanni, Saraceni persino si impiantano fra noi, e vi spadroneggiano, e noi osiamo oggi parlare di razza!

E poi cosa è la razza di fronte al grande principio del secolo nostro, quello delle nazionalità? E caratteristica della nazionalità è la lingua, non la religione, non l'origine.

Per riconoscere nome e qualità di italiano a chi è nato in Italia da genitori italiani, a chi parla la nostra lingua, sarà forse d'uopo aprirgli le vene per riconoscere quante goccie di sangue non italiano vi corra?

Or via, l'Italia, che a buon dritto considera come fratelli i Valdesi del Piemonte, i Cimbri dei Sette Comuni (52), gli Slavi del Molise, gli Albanesi ed i Greci del Mezzodì, vorrà contestare nome e qualità di italiani agli Ebrei, che nei tempi di schiavitù divisero la sorte degli altri Italiani?

Un'ultima ragione infine, e potentissima, dovrebbe spingere i moderni antisemiti a non insistere sulla questione di razza.

Essi, che non arrossiscono di farsi persecutori, ma che arrossirebbero di giustificare la persecuzione colla sola causa che la renderebbe meno odiosa, lo spirito di religione, verrebbero, ponendo innanzi tale questione, a provocare una enorme ingiustizia.

Non vi ha dubbio che negli scorsi secoli o per convinzione, o per sottrarsi a persecuzioni, o per ispirito di cupidigia, milioni di Ebrei apostatarono per abbracciare il Cristianesimo.

Pel Cristiano che ripugna dall'Ebreo, perchè vede in lui l'ostinato avversario della sua Fede, l'uccisore del suo Dio, l'acqua del Battesimo lava queste colpe originali, sicchè egli a buon dritto considera eguali a se stesso l'ebreo battezzato e i suoi discendenti.

Ma per l'antisemita moderno, ateo e materialista, che odia nell'ebreo non la religione, ma la razza, l'acqua del Battesimo non lava nulla; perocchè nessun teologo ha mai asserito che il Battesimo muti un semita in un giapeto.

Sicchè, se il moderno antisemitismo non vuol commettere una enorme ingiustizia, egli deve cercare, per avvolgerle nel suo odio, quelle migliaia di famiglie cristiane che hanno nelle vene sangue di ebreo (53).

Il dilemma è stringente: o gettare la maschera e confessare che non si perseguitano gli Ebrei perchè semiti, ma unicamente perchè ebrei, od intraprendere ricerche etnografiche e genealogiche, che sarebbero appena possibili, se ogni uomo, da Adamo in poi, si fosse iscritto in un stud book, come un cavallo di puro sangue.

Ma prevediamo sin da ora la risposta che si farà a questo dilemma. Ci si dirà che gli Ebrei vanno perseguitati non soltanto perchè di razza diversa, ma perchè la loro legge contribuisce a mantenere una barriera fra essi ed i popoli fra cui vivono; perchè alla Santa massima del Vangelo: Amatevi scambievolmente, l'esecrando Talmud ha sostituito quest'altra: Odiate quanto non è ebreo.

A questa obbiezione vecchia quanto la malignità umana risponderemo nel veniente capitolo, bastandoci per ora di riferire un ultimo fatto a prova del modo con cui gli Ebrei intendono l'amor di patria. Allorquando nel Sinedrio dei principali rabbini di Europa, convocato a Parigi d'ordine di Napoleone I, i delegati imperiali chiesero fin dove giungesse, secondo gli Ebrei, il dovere dell'amor di patria, tutti i congregati e primi fra essi i rabbini Segrè, Zingheim e Worms, ortodossi fin nel midollo e negli insegnamenti e nella pratica della vita, si alzarono in piedi gridando: “Fino alla morte.”

(16) Nella predicazione [in Francia] nessun rabbino si lascierà sfuggire l'occasione di rammentare ai suoi uditori quanto devono alla Francia che li ha liberati dalla schiavitù (Rassegna Naz., loc. cit., pag. 47). Non citiamo esempî italiani, perchè a tutti sarà accaduto di leggere nei giornali politici le relazioni di solennità celebratesi nelle sinagoghe in occasione di feste ed anniversarî patriottici.

(17) Gladstone, in una sua lettera 6 ottobre 1876, indirizzata al signor Leopoldo Gluckstein e pubblicata negli Archives Israélites di Parigi, 1º novembre 1876, così si esprime: “Ho sempre ammirato il contegno degli Israeliti inglesi nell'adempimento dei loro doveri civici.”

(18) Una curiosa prova della assurdità dell'accusa che si muove agli Ebrei di sentirsi estranei alla terra in cui nacquero ce la porge l'Antisémitique francese. Mentre in ogni numero scaglia questa calunnia contro gli Ebrei, rinfaccia poi alla maggior parte degli Ebrei francesi di esser di origine tedesca e si sforza di aizzare contro di loro le passioni popolari, dipingendoli quasi altrettanti agenti del governo germanico. O logica, proprio antisemitica!!

(19) Sei mesi in Italia, pel dott. A. Berliner; versione dell'abate prof. Pietro Perreau.

(20) Abbiamo citato a preferenza del nome di altri patrioti Ebrei quello dell'on. Finzi, e perchè pochi possono a lui paragonarsi per inconcusso patriottismo, e perchè rammentiamo d'aver letto nell'Arena di Verona del 10 novembre 1876 il seguente brano di una lettera che in occasione delle elezioni generali l'illustre uomo scriveva a quel giornale.

“Ebreo realmente, mi trovai iscritto nei registri di popolazione dove nacqui: ma nè per religione, nè per abitudini mi sono sentito ebreo in tutta la vita. Ho una religione anch'io vivida e pura che mi affratella a tutta l'umanità senza distinzione d'ebrei, di cristiani, di cattolici, di turchi, che mi è inspiratrice di nobili e delicati sentimenti, che mi insegna il volontario sacrifizio e mi dà vigore e conforto nelle ore perplesse della sventura.”

Questa lettera, fatta per attirare sul capo dell'on. Finzi i fulmini degli intolleranti di tutte le religioni, giova mirabilmente all'assunto nostro, perchè dimostra — e ce n'era bisogno? — che il fatto di esser nati ebrei piuttosto che cristiani o turchi non ha proprio nulla a vedere coi sentimenti patriottici.

(21) Angelo Usigli, nato nel 1803 a Modena, morto a Londra, nel 1875, fu congiurato con Ciro Menotti, anzi dei pochi che collo stesso Menotti furono nella costui casa circondati dalle truppe estensi. L'Usigli propose di dar fuoco alla casa piuttosto che arrendersi, ma, dissentendo i compagni, fu con loro arrestato e condannato a morte. Commutatagli la pena in esiglio perpetuo, si rifugiò a Londra e collaborò nella Giovane Italia. V. Gazzetta d'Italia, 15 aprile 1875.

(22) L'avo di Daniele Manin era ebreo. Il comm. Pincherle lo seppe dalla sua bocca stessa. V. La vita ed i tempi di Daniele Manin per Errera e Finzi, Venezia, 1872. Cfr. Rudolph Gottschill, Un mois d'automne en Italie.

(23) Ci limiteremo a riferire qui l'elenco degli Ebrei che fecero parte della gloriosa schiera dei Mille; sono otto e cioè: Alpron Giacomo, da Padova; Colombo Donato da Ceva; D'Ancona Giuseppe da Venezia; Donati Angelo da Padova; Luzzatto Riccardo da Udine; Ravà Eugenio da Reggio Emilia; Uziel Davide Cesare da Venezia. Calcolato a venticinque milioni il numero degli italiani nel 1860, ed a quarantamila il numero degli ebrei, si vedrà di leggieri quanto sproporzionatamente numeroso sia stato il concorso degli Ebrei in quella spedizione. I nomi che precedono abbiam desunto dal n. 21 dell'anno 1864 del Bollettino delle nomine e promozioni. Giornale Ufficiale militare, pag. 169 e seg.

(24) Esodo, xii, 38.

(25) Giosuè, ix, x. — ii. Sam. xxi.

(26) I. Re.

(27) Ester, viii, 17.

(28) II. Re, xvii, 24 e seg.

(29) II. Re, v, 17, 18.

(30) Antiq., l. xx, cap. 2 a 4.

(31) Mœurs des Israélites, cap. v. In Œuvres de l'abbé Fleury, Paris, Michel Desaiz, 1837, pag. 183, col. i. Cfr. Frank, De l'état politique, religieux et moral de la Judée dans les derniers temps de sa nationalité. In Vérité Israélite, tomo ii, pag. 7 e segg.

(32) Atti degli apostoli, ii, 5.

(33) Cfr. Degubernatis, Matériaux pour servir a l'histoire des études orientales en Italie.

(34) Havet, Le Christianisme et ses origines. L'ellénisme, t. ii, pag. 248. Cfr.: Delaunay, Philon d'Alexandrie. Les écrits historiques, pag. 123 e 124; Nicolas, Des doctrines des Juifs, pendant les deux siècles antérieurs a l'êre chrétienne, pag. 113; Beuss, Hist. de la Théologie chrétienne au siècle apostolique, v. 1, pag. 107 e 109.

(35) Avendo condotto al loro culto un gran numero di Greci, ne fecero una parte della loro comunità. (De bello jud., libro vii, cap. iii, § 3).

(36) Les philosophes du siècle d'Auguste in Revue contemporaine. Tomo v, prima dispensa.

(37) Judaeorum juventutem per speciem sacramenti in provincias gravioris cœli distribuit, reliquos gentis ejusdem vel similia sectantes urbe summovit. (Svetonio, in Tiber., § 36).

(38) Judaeus qui eum qui judaicae religionis non esset contraria doctrina ad suam religionem traducere praesumpserit, bonorum proscriptione damnetur, miserumque in modum puniatur. (Leg. 7, Cod., de Jud.; Dione Cassio, Hist. rom.; Spencer, In orig., p. 33).

(39) Hist. rom., xxxviii, 17.

(40) Oggi ancora, secondo una corrispondenza della Presse di Vienna, riferita nel n. 20 dell'Israelit di Magonza dell'anno 1875, esistono nell'Yemen più di 500 mila ebrei.

(41) A quest'epoca, il giudaismo salì nuovamente sopra un trono regio, sopra quello dei Cazari, popolo della Tartaria, ai quali eransi mischiati alcuni ebrei, cristiani e mussulmani. Fu senza dubbio per effetto del commercio crescente in quel regno, così favorevole all'industria e situato vicino il mar Caspio, che Balan, capo dei Cazari (o Cozari) si lasciò convertire al giudaismo. Da quell'istante un ebreo regnò costantemente per meglio di tre secoli. (Schwab, Storia degli Ebrei, tradotta dal prof. Pugliese. Venezia, Longo, 1870, pag. 95. Cfr. Ad. Neubauer, Relazione al Ministro ed osservazioni del sig. Munk in Journal Asiatique, 1865, tomo i).

(42) Monumenta Histor. German. Scriptores, vi, p. 704 e 720.

(43) Würdtwein, Nova subsidia diplomatica, i, p. 125.

(44) Bedarride. Op. cit., pag. 84.

(45) Basnage. Op. cit., libro vii, cap. 18.

(46) Bartholoccius. Bibl. rabb., t. iii. — Salomon ben Virga, Scevet Jehudà, 5 excidium.

(47) Cfr. De Rossi, Diz. storico degli Autori Ebrei, Parma, 1802, a. v. Nassi e Steinschneider, Catalogus Libr. Hebr. in Bibl. Bodleiana, col. 1515.

(48) Cfr. Macaulay, Speeches, vol. 6, pag. 141, 2ª ediz. Tauchnitz.

(49) È innegabile che nell'età moderna lo spirito di propaganda degli Ebrei è completamente cessata. Pare che ora abbiano preso alla lettera l'insegnamento del Talmud: Son perniciosi i proseliti agli Israeliti come la lebbra o come la calvizie (Talm. Bab., capo iv, folio 47 b. et alibi) sicchè si può oggi asserire che la religione mosaica è la sola, fra quelle professate nel mondo civile, che non si occupi di far proseliti. Pure oggi ancora non mancano esempî, benchè rarissimi, di Cristiani che abbracciano volontariamente il Giudaismo. Cooper, nelle sue lettere sugli Stati Uniti, parla di una società di Ebrei costituitasi nello Stato di Nuova York per provocare la conversione dei Cristiani. Se la notizia, che non vedemmo mai confermata da altre fonti, non è un humbug americano, la fondazione di questa società è una prova che gli Ebrei di America non si sentono, per quanto almeno concerne l'eccentricità, estranei alla terra in cui vivono; perocchè possiamo affermare che non vi ha in Europa oggigiorno fra gli Ebrei la più leggiera traccia di spirito di proselitismo.

(50) Anche il Rénan si è testè occupato di questo argomento in una conferenza da lui tenuta il 27 gennaio 1883 al Cercle Saint-Simon ed edita poi dal celebre editore parigino Calmann Lévy col titolo: Le Judaïsme comme race et comme religion. In questa conferenza, cui rimandiamo coloro che fossero vaghi di maggiori particolari sull'argomento, il dotto francese, dopo aver spiegato come la scienza delle religioni le divida in due grandi classi, universali (il buddismo, il cristianesimo, il maomettismo) e nazionali o locali cui devono ascriversi tutte le altre, viene a mostrare come tutte le religioni nazionali sieno perite e come la religione ebraica, precorrendo per opera dei suoi profeti al Cristianesimo, abbia assunto, col monoteismo che ne è la caratteristica la più spiccata, forma appunto di religione universale. Gli Ebrei, che dalle loro profezie eran fatti persuasi tutti i popoli dovere col tempo convertirsi alla loro Fede, cercavano affrettarne la realizzazione cercando proseliti fuori della loro nazione. E di questo spirito di propaganda del giudaismo antico molti esempî reca il Rénan. Nessuno poi potrà dire di aver un'idea completa dell'argomento, ove non abbia letto l'importantissimo opuscolo del cav. Marco Mortara: Le prosélytisme juif. Paris, Witt. Hersheim, 1875.

(51) È innegabile che la segregazione forzata in cui gli Ebrei vennero tenuti fino a pochi anni addietro impedì loro sempre di confondersi colle popolazioni in mezzo alle quali vivevano; sicchè si può asserire con qualche certezza che esiste un tipo speciale al quale si possono conoscere gli Ebrei. Ma questo tipo è egli il tipo semita puro? Quale antropologo potrebbe asserirlo? Non è più ovvio il ritenere che esso sia più che il carattere di una razza, la risultante di speciali abitudini di vita, che si sarebbe perpetuata per eredità fisiologica? Ed infatti, non vediamo questo stesso tipo andar man mano cancellandosi negli Ebrei, che, vivendo nei paesi civili, finiscono coll'adottare le abitudini delle popolazioni fra cui si trovano, mentre si mantiene inalterato in Ungheria, in Polonia ed in tutti i paesi dove la minor civiltà delle popolazioni e la conseguente rozzezza dell'ebreo rende difficile ogni contatto, ogni assimilazione?

(52) Usiamo la denominazione la più comunemente accettata, pur conoscendone l'inesattezza, per non ingolfarci in una questione etnografica affatto estranea al nostro argomento.

(53) Ricordiamo che il Conte di Molé, famoso ministro francese dei tempi di Luigi Filippo, discendeva da una ebrea, la figlia di Samuel Bernard il banchiere di Luigi XIV, che si era battezzata per isposare il cancelliere Molé. Nè questa dei Molé è la sola nobile famiglia europea nelle cui vene sia frammisto qualche gocciolina di sangue giudaico; e, per non moltiplicare gli esempi, ricorderò come da famiglia ebrea discendesse Pier di Leone, noto antipapa del secolo xii, e come discendesse pure da una ebrea — la figlia del celebre generale Ventura, modenese — quel marchese di Trazignies, belga, che, spinto da fanatismo religioso e politico, venne in Italia a combattere il movimento nazionale nelle file dei briganti, e fatto prigioniero colle armi alla mano, fu, da un picchetto del 43º reggimento fanteria, fucilato in Isoletta li 11 novembre 1861.

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