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Fitz

La mia sveglia suonò alle cinque martedì. Dopo essermi assicurato che Austin fosse pronto per la scuola, partii per la mia corsa mattutina, lasciandomi parecchio tempo per essere in ufficio alle otto. Mentre i miei piedi calpestavano l’asfalto, il sudore mi gocciolava lungo il collo e mi scendeva lungo la colonna vertebrale. Feci una pausa al Lincoln Memorial per allungarmi i polpacci prima di cominciare il secondo giro del mio percorso da quattro miglia. Il vecchio Abe sembrava perso nei suoi pensieri, godendosi la luce del sole del primo mattino mentre fissava sulla piscina riflettente l’immagine del Washington Monument. Pensai che la sua espressione potesse accoppiarsi alla mia. La mia mente era in subbuglio, combattuta per le minacce di mio padre. Non sapevo se avesse il coraggio di andare avanti e c’era molto in palio.

Si presumeva che io incontrassi i membri delI’RNC il sabato sera precedente. Avevo dato buca e ora mio padre era sul piede di guerra. Non aveva importanza. Poteva pensare che fossi debole ma si sbagliava. Non ero più il pollo di una volta. Gli avevo permesso di infliggermi anche troppi danni nella mia vita e non gli avrei permesso di lasciare che la storia si ripetesse.

Vidi un movimento con l’angolo dell’occhio e alzai lo sguardo dalla posizione di allungo in cui mi trovavo. Dall’angolo, emerse una bionda con abbigliamento da corsa aderente, correndo nella direzione opposta a quella da cui ero arrivato. Non era strano vedere un’altra jogger. Molte persone correvano lungo il Mall a quell’ora del mattino. Tornai a completare I miei allungamenti, poi mi misi in posizione eretta e passai alle braccia. Pronto per cominciare il mio giro successivo iniziai con un’andatura moderata, colmando lentamente la distanza tra me e la runner.

Quando la oltrepassai, cominciai a faticare a camminare. Battei le palpebre combattendo contro l’immagine della donna che avevo appena incrociato.

Smisi di correre e mi guardai indietro. Lei non aveva rallentato, ma si stava guardando alle spalle—guardando me. Quando vide che mi ero fermato, si girò velocemente e sembrò incrementare il ritmo.

“No, non è lei,” dissi tra me ad alta voce.

Scossi la testa. Lo stress a cui ero sottoposto mi stava facendo vedere cose. Tuttavia, mentre vedevo la sua piccola figura allontanarsi da me, non riuscivo a scacciare l’assillante sensazione che fosse lei—la ragazza che aveva stregato i miei sogni sin da quando avevo ventidue anni. Impulsivamente, mi girai e cominciai a inseguirla. Dovevo sapere. Se non era lei, allora avrei inventato qualche scusa su un errore di identità e sarei tornato sui miei passi.

Era veloce, dovevo proprio ammetterlo. Ero al massimo e avevo a malapena chiuso la distanza tra di noi. Con mio grande sgomento, uscì dal sentiero e girò attorno alla parete del Korean Memorial, scomparendo dalla mia vista.

Cazzo!

Quando raggiunsi la parete, mi guardai in giro. I turisti più mattutini stavano girovagando per la zona, scattando foto delle statue create per commemorare la guerra dimenticata. Controllai di nuovo la zona. Lei non c’era da nessuna parte. Era come se fosse svanita dalla faccia della terra.

Sto inseguendo un maledetto fantasma.

Convinto di aver completamente perso la testa, decisi di lasciar perdere il resto della mia routine di allenamento. Avevo lasciato la mia Audi parcheggiata nella quattordicesima strada. La strada di ritorno più veloce per arrivarci era quella di tagliare lungo il sentiero che mi avrebbe portato attraverso l’Ash Woods.

E fu così che la trovai.

Lei si stava avvicinando ai gradini del D.C. War Memorial. Facendo attenzione a restare fuori dalla sua vista, camminai lungo il lato opposto del monumento circolare. La guardai mentre si sedeva sui gradini e tirava fuori quello che sembrava un telefono cellulare. Da quell’angolazione non riuscivo a vedere il suo volto, solo la parte posteriore della sua testa. I suoi capelli—quel colore dorato che mi riportava indietro di quasi due decenni—erano raccolti in una treccia. Un’altra cosa che mi riportava indietro nel tempo. Fissando le ciocche gialle e dorate che si intrecciavano, seppi che doveva essere lei. Solo lei aveva I capelli così.

Potevo sentire che parlava con qualcuno. Aveva il cellulare in vivavoce, perciò la conversazione era forte e chiara.

“Per l’amor di Dio,” disse la voce all’altro capo della linea. “Ragazza, hai idea di che ore sono?”

“Oh, taci,” disse la bionda. La sua voce era netta e, al contempo, femminile. E così fottutamente familiare. “So che è presto ma ascolta. Questa è grossa. L’ho visto.”

“Visto chi?”

“Fitz!” sibilò il mio nome, dandomi la certezza che questa donna era effettivamente la donna dei miei sogni.

“Okay, ora sono sveglia. Cosa intendi dire con hai visto Fitz? Ne sei sicura?”

“Sì, ecco, no. I suoi capelli erano leggermente più lunghi ma… sì, sono sicura fosse lui.”

“Dove lo hai visto, Cadence?”

Bingo. É lei.

Un’ondata di soddisfazione mi travolse prima che un altro pensiero mi colpisse sul petto come una martellata.

Cadence. É veramente lei, in carne e ossa e solo a pochi passi da me.

Ricordi di caldi serate estive mi passarono davanti agli occhi. La vidi di nuovo, vicino al lago con i suoi occhi verdi scintillanti e i capelli luccicanti alla luce di un tramonto che stava scolorendo. Potevo quasi sentirla tra le mie braccia—anche ora. Il calore del suo abbraccio, il modo in cui sussurrava il mio nome quando la baciavo…

Cadence cominciò a parlare di nuovo, strappandomi da un passato lontano.

“Durante la mia corsa del mattino,” la sentii spiegare alla persona al telefono. “Stava correndo anche lui. Gli sono passata vicino ma non sono sicura che abbia capito che ero io.”

“Gli hai parlato?”

“Sei pazza?” urlò Cadence, poi sembrò riprendere il controllo. Si guardò nervosamente attorno per un momento e dovetti accucciarmi per restare nascosto. Quando parlò di nuovo, la sua voce era decisamente più bassa e dovetti sforzarmi per sentirla. “Seriamente, Joy. Quali sono le probabilità di vederlo correre al Mall dopo tutto questo tempo? E specialmente ora!”

Joy. La ragazza afroamericana che lavorava al negozio con Cadence.

Sorrisi tra me, compiaciuto per qualche strano motivo del fatto che fossero rimaste amiche dopo tutto quel tempo.

“Tutto questo è inquietante—come se ci fosse qualcosa di spettrale da capire,” disse Joy. “Non so, cara. Le stelle sembrano allinearsi in un modo veramente strano. Non importa quanto sia passato. Devi dirglielo.”

“Oddio. Non so se posso farlo!”

“Beh, qualcosa ti sta dicendo che è ora. Ci sono già state anche troppe coincidenze.”

“Hai ragione. Posso farlo. Un gioco da ragazzi,” rispose Cadence, ma il suo tono era quasi sarcastico.

“Bene. Sono felice che sia chiaro. Ora me ne torno a letto. Non devo essere al lavoro per almeno altre due ore.”

“Aspetta, Joy–” Si fermò subito, guardò il telefono e imprecò. “Maledizione!”

Si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro, sembrando persa nei suoi pensieri. Seguii le linee del suo piccolo corpo. Stava bene, veramente bene in realtà. Le sue curve erano più pronunciate, I seni e i fianchi più armoniosi di quanto ricordassi ma ancora snelli e in forma. Il corpo che stavo guardando apparteneva a una donna, non alla giovane ragazza di cui mi ero innamorato. Tuttavia, nonostante gli anni che erano passati, desideravo allungare il braccio e toccarla.

Non avrei dovuto origliare la sua conversazione, ma nel momento in cui avevo sentito il mio nome non avevo potuto farne a meno. Ero curioso di sapere di cosa stessero parlando e di cosa si presumeva dovesse dirmi.

Ed ero molto curioso su di lei.

Era la ragazza che aveva scosso il mio mondo circa diciassette anni prima, e da allora avevo raramente pensato a un’altra donna—e questo valeva anche per gli anni che avevo passato da sposato. Mentre mi domandavo se uscire dal mio nascondiglio e farmi vedere, mi resi conto dell’ironia della situazione. La stavo spiando, proprio come avevo fatto il primo giorno che l’avevo vista al lago. E ora ero qui anche oggi. Forse, come si dice, la storia si ripete. Toccava a me cambiare il suo corso.

“Cadence,” dissi ad alta voce quando mi mossi da dietro il monumento.

Lei fece un salto e si girò portandosi la mano al petto.

“Mi hai spaventata da morire!”

“Mi dispiace. Non volevo farlo,” mi scusai mentre mi avvicinavo. La mia memoria non le rendeva giustizia. Era ancora più meravigliosa di quanto ricordassi, facendomi quasi sussultare per l’incredulità. Non pensavo fosse possibile che lei fosse ancora più splendida di quanto era una volta. Mi schiarii la gola. “Devo dire, è un piacere incontrarti qui.”

Riprendendosi dallo shock della mia improvvisa apparizione, sembrò riaversi.

“Sì, già, un piacere. Ecco, io io…” balbettò. “Io in realtà devo andare. Stavo giusto per riprendere a correre.”

“Aspetta,” dissi e allungai la mano per afferrarle il braccio. Quando il mio palmo toccò la sua pelle, si bloccò. Così feci io e la stessa aria sembrò sfrigolare. Io quasi non ero in grado di parlare o di riordinare il mio cervello per farmi muovere. Era la prima volta che la toccavo in più di diciassette anni. La mia gola divenne secca in modo ridicolo e dovetti schiarirmela prima di poter parlare di nuovo. “É passato così tanto tempo. Come stai?”

Lei si liberò il braccio e si massaggiò la zona dove era stata la mia mano. L’azione non sembrava dire che era stata offesa dal mio tocco, ma piuttosto che il contatto l’aveva fatta sentire come mi ero sentito io. I suoi occhi verdi brillavano come smeraldi nel primo sole del mattino.

Erano sempre stati così accesi?

“Io bene,” rispose. “Tu?”

Cominciai a parlare di nuovo ma le parole non volevano uscire. Era come se stessi ancora assorbendo tutta l’incredulità di vederla di nuovo. Dovetti ricordarmi che era reale e non un folle sogno che si era ripetuto per gli ultimi diciassette anni.

“Non male,” fu tutto quello che riuscii a dire.

“Bene, ottimo. Ma, ecco, come ti ho detto, devo andare.”

Sembrava nervosa, ma non potevo lasciare andare via—non di nuovo. Almeno non fino a quando non avessi capito di cosa trattasse la sua conversazione telefonica. Quando lei mi fece un piccolo cenno con la mano e si girò per ricominciare a correre, corsi in avanti per mettermi nel gradino vicino a lei. Lei piegò la testa per guardarmi con curiosità ma non disse nulla.

“Vivi da queste parti?”

“Sì, nella zona di Washington, sì.” La sua risposta fu cauta. Fui in grado di apprezzarla. Dopo tutto, era passato così tanto tempo. Per quel che ne sapeva, potevo essere diventato uno psicopatico. Tuttavia, dovevo continuare a parlare.

“Io vivo ad Alexandria, ma il mio ufficio è nell’East End. Il Mall è comodo e corro su questo percorso quasi ogni giorno. Stranamente non ti ho mai vista fino a oggi. Corri spesso qui?”

“No, ho appena cominciato a venire qui perché stanno facendo dei lavori sui marciapiedi del mio quartiere.” Una ciocca di capelli uscì dalla treccia mentre correvamo. Ebbi il desiderio di allungare il braccio e mettergliela dietro l’orecchio ma mi trattenni.

“Credo che allora dovrei ringraziare il DDOT.”

“Per cosa?”

“Per aver rotto I marciapiedi. Questo ha cambiato la tua routine e ci ha permesso di incontrarci.” Lei mi guardò di soppiatto ma, ancora una volta, non rispose e quindi proseguii. “Non ho potuto fare a meno di sentirti al telefono.”

Cadence si fermò improvvisamente. Quando mi girai per guardarla vidi il suo volto impallidito. Sembrava che avesse appena visto un fantasma. Smisi di correre e tornai indietro camminando verso di lei.

“Lo hai fatto?” disse con un tono di voce molto alto.

“Sì, mi spiace. Non avrei dovuto. Dopo tutto. Già una volta mia hai fatto una lezione sul fatto che spiare non fosse educato,” dissi sorridendo sperando di metterla a suo agio richiamando un vecchio ricordo. “Ora però sono curioso. Cosa dovevi dirmi?”

“Nulla,” disse, solo un po’ troppo velocemente.

Interessante.

Ora ero veramente curioso.

“Guarda, è passato un bel po’ di tempo Cadence. Per quanto mi stia piacendo questa corsa inaspettata con te, preferirei parlare senza ansimare per lo sforzo. Perché non ci fermiamo e andiamo a prendere una tazza di caffè? Possiamo recuperare.”

Lei abbassò lo sguardo e scosse la testa. Quando alzò gli occhi per guardarmi di nuovo, i suoi occhi erano addolorati. Allungai il braccio e le presi una mano, capendo subito che era un errore. Era sempre stata uno dolore costante nel mio petto e questo movimento mi portava pericolosamente vicino a lei. Guardai verso le sue labbra a forma di cuore. Il bisogno di baciarla fu innegabile.

Cristo, datti una calmata.

Non so come succedesse così velocemente, ma non avrei dovuto esserne sorpreso. Anche quando eravamo più giovani le cose erano andate velocemente. Ora, con la sua piccola mano tra i miei palmi, seppi con assoluta certezza che non volevo lasciarla andare. Non riuscii a obbligarmi a fare un passo indietro.

Per la prima volta dopo diciassette anni, lei mi stava guardando. Pensavo mi fosse passata, ma solo tenerle la mano mi fece capire che non era così—proprio per nulla. In qualche modo, nel corso di un’estate, Cadence mi aveva virtualmente reso inutile per qualsiasi altra donna. Volevo poterlo negare, ma se ci avessi provato, sarebbe stato solo mentire a me stesso. Sicuramente mi ero imbattuto in altre donne meravigliose nel corso della mia vita ma nessuna di loro mi aveva mai attivato come aveva fatto Cadence. La forza magnetica che sentivo sempre verso di lei era ancora presente, forte proprio come il giorno in cui ci eravamo incontrati. Questa poteva essere la mia possibilità per spiegarmi—per scusarmi per non aver avuto le palle di oppormi a mio padre tanti anni prima. Lei doveva sentirmi e sapere che non era passato un singolo giorno senza che avessi pensato a lei.

“Non credo che il caffè sia una buona idea, Fitz,” sussurrò.

“Perché no?”

“Perché io…” iniziò a dire.

Poi mi venne un altro pensiero e guardai velocemente in basso verso la sua mano ancora nella mia—nessun anello. Cercai di nascondere il mio sollievo. Ero stato così preso dall’averla vista di nuovo, che non mi era proprio venuto in mente che lei poteva essersi concessa a qualcun altro. Solo l’idea che lei stesse con un altro uomo mi fece contrarre le viscere anche se non ne avevo alcun diritto.

“É solo un caffè, Cadence.”

Lei si liberò la mano e fece un passo indietro. La sua postura si irrigidì e il suo sguardo divenne più freddo.

“Invece di chiedere a me di uscire per un caffè forse dovresti pensare di portarci tua moglie,” disse con un tono acido. Il modo con cui aveva enfatizzato l’ultima parola mi fece vacillare. Battei le palpebre per un attimo sperduto prima che mi si accese una lampadina.

Lei non lo sa.

“Cadence, non sono sposato. Mia moglie è morta undici anni fa.”

I suoi occhi si spalancarono e lei cominciò a ridere ma in un modo che non sembrava per nulla felice.

“Certo che è morta! Non è ironica la vita?” Fece cadere lo sguardo verso terra. Quando lo rialzò la sua espressione era sospettosa. “Guarda, Fitz, mi dispiace per tua moglie—veramente. Ma non so a cosa tu stia pensando. Fare qualsiasi cosa insieme è una cattiva idea. Correre, un caffè, Sono tutte cattive idee. Non c’è modo di recuperare. Sono passata diciassette anni. Quella nave è ormai salpata.”

“Lo è?” chiesi.

La fissai intensamente mentre sollevava le braccia con esasperazione.

“Ci siamo incrociati per caso. E allora? Diciamoci ‘è stato bello vederti’ e andiamo avanti con le nostre vite.”

Attirato come una falena da una fiamma, o forse voglioso di essere punito le presi di nuovo la mano. Lei non si ritrasse.

“Prendi un caffè con me,” insistetti di nuovo. “Per favore.”

Il conflitto era chiaro nei suoi occhi. Cosa non avrei dato per strisciare nel suo cervello e capire i suoi pensieri. Tutto quello che sapevo era che avevo sognato quegli occhi verdi, quelle labbra morbide, quei capelli biondi per troppo tempo.

“C’è un bar qui vicino lungo Maryland Avenue,” disse alla fine. “Ho tempo solo per una tazza veloce. Devo andare al lavoro alle nove e devo avere il tempo di andare a casa e fare una doccia prima.”

Le lasciai la mano e feci un cenno nella direzione a cui si era riferita.

“Fa’ strada, dolcezza.”

La sua testa scattò in alto per guardarmi. Io le feci l’occhiolino e le lanciai un sorrisetto impertinente che le diceva in silenzio che era vero—mi ricordavo.

Prima che avessimo finito questo improvvisato appuntamento al bar lei avrebbe saputo che io non avevo dimenticato nulla—e che non avevo dimenticato lei.

Definita

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