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Cadence

“Oh, Kallie! Ma guardati!” dissi quasi rimanendo senza parole e scacciando le lacrime che mi stavano riempiendo gli occhi. “Sei così bella!”

La mia meravigliosa figlia sorrise mentre scendeva le scale della nostra modesta casa in stile Cape Cod. I suoi capelli erano raccolti in uno chignon a conchiglia che lasciava solo poche ciocche dei suoi capelli biondi scendere attorno al suo viso. Il suo trucco, anche se aveva passato un’ora a perfezionarlo, era sottile e accentuava i suoi lineamenti già stupendi.

Dopo aver sceso l’ultimo gradino, Kallie lentamente roteò su se stessa. La sua gonna azzurra mulinò attorno a lei, rendendola ancora più splendida e brillante per la luce che arrivava dal bovindo del soggiorno. Se avesse avuto le ali, chiunque avrebbe giurato che fosse un angelo venuto dal cielo.

“Non muoverti,” dissi e mi mossi velocemente verso la fine del tavolo. Volevo catturarla proprio così come era, avendo il bisogno di fermare in tempo quest’attimo. Aprii il cassetto e cercai all’interno. Telecomandi, vecchie batterie, cavi di corrente—nulla di quello che stavo cercando. “Maledizione. Avrei giurato che fosse qui.”

“Cosa stai cercando?” chiese Kallie.

“La mia macchina fotografica bella. Credo che potrebbe essere di sopra nel mio comodino.”

“Mamma,” si lamentò Kallie. “Hai già scattato un centinaio di foto con il tuo telefono. I miei amici saranno qui a minuti.”

“Sì, ma la qualità del telefono non è così buona. Lascia solo che vada di sopra a prendere la mia macchina. Abbiamo tempo. La limousine non arriverà qui per altri dieci minuti.”

“Uff,” brontolò.

“Oh, smettila. Mi ci vorrà solo un secondo per prenderla,” le dissi e corsi su per le scale verso la mia camera da letto.

Come previsto, non appena aprii il cassetto trovai la mia costosa Nikon in cima a un mucchio di altre attrezzature. Era stata una delle mie rare follie, un acquisto d’impulso che avevo fatto quando Kallie aveva iniziato la scuola superiore. Mi ero improvvisamente resa conto che stavo esaurendo il mio tempo. Era strano. Quando era piccola, speravo sempre che crescesse. Volevo che parlasse, camminasse, si nutrisse da sola. Le giornate sembravano sempre così lunghe e poi la sua giovinezza era passata in modo incredibilmente rapido. Ora avrei dato qualsiasi cosa per avere indietro quel tempo. Presto sarebbe diventata maggiorenne, pronta per iniziare la fase successiva della sua vita. Le fotografie non avrebbero mai rimpiazzato i ricordi che condividevamo, ma almeno avrei avuto le foto da guardare.

Presi la macchina fotografica e stavo per chiudere il cassetto ma quello che c’era sotto la macchina fotografica attirò la mia attenzione. Mi fermai un attimo e allungai il braccio per prenderlo. Era un biglietto per la Festa della Mamma che Kallie aveva fatto per me quando era alle elementari. Se la memoria non mi ingannava doveva avere otto anni quando lo aveva fatto.

Piegandomi lentamente per sedermi sul bordo del letto fissai la costruzione di carta rosa ormai sbiadita. Improvvisamente mi sentii molto vecchia anche se avevo appena trentacinque anni. Sembrava solo ieri quando era tornata da scuola con quel cartoncino. Era così eccitata. Era un venerdì ma non era riuscita a resistere fino alla domenica per darmelo. Tuttavia, era rimasta molto delusa il giorno della Festa della Mamma quando si era resa conto che non aveva una sorpresa da darmi. Determinata a farmela comunque era quasi riuscita a far scoppiare un incendio cercando di farmi la colazione a letto con il tostapane.

Sorrisi al ricordo. Era così tipico di Kallie. Anche da bambina aveva sempre messo gli altri per primi e io ero orgogliosa di poterla chiamare mia figlia. Era difficile da credere che fosse diretta al suo primo ballo di fine anno. Anche se mi aveva assicurato che il suo accompagnatore era solo un amico, ero comunque preoccupata. Stava crescendo troppo in fretta.

“Mamma! La limousine ha appena parcheggiato!” urlò Kallie, distogliendomi dai miei pensieri.

“Sto arrivando, sto arrivando,” risposi e mi alzai per scendere lungo le scale. “Aspetta. Non uscire di corsa dalla porta. Il tuo accompagnatore dovrebbe entrare e presentarsi.”

Quando raggiunsi il fondo delle scale, colsi Kallie che alzava gli occhi al cielo.

“Sai che ti voglio bene, mamma, ma accidenti. Ti consideri una femminista, ma qualche volta hai delle idee proprio all’antica.”

“Non c’è nulla di sbagliato nell’essere corteggiata nel modo giusto. È un segno di rispetto,” ribattei.

Non hai appena detto ‘corteggiata,’ vero?” I suoi occhi si spalancarono per l’incredulità.

“Okay, okay! Hai ragione,” dissi ridendo. “Forse qualche volta sono un po’all’antica. Che posso dire? Sono tua mamma e tu stai per andare al ballo. È il mio lavoro preoccuparmi che un ragazzo ti tratti con rispetto.”

“Te l’ho detto migliaia di volte. È solo un amico della classe di francese. Mi sta facendo un favore perché non avevo nessuno con cui uscire. Inoltre, è un anno più giovane di me. Non posso uscire con uno del secondo anno! Sarebbe come rompere delle regole. Si presume che le ragazze non escano con i ragazzi più giovani!”

Feci un sorrisetto ironico.

“É proprio così?”

“Sì, lo ha detto la mia amica Gabby—”

Il campanello suonò, interrompendo quello che stava per dire. Ebbi a malapena il tempo di reagire. Kallie fu alla porta in un attimo.

“Ciao,” la sentii dire dopo che l’ebbe aperta.

“Ehi, Kallie. Wow, stai benissimo!” disse una voce maschile. Non ero in grado di vedere il suo volto perché Kallie lo stava coprendo. Mi mossi verso la porta, avendo il bisogno di valutare il ragazzo che era lì per portar fuori la mia bambina. Quando Kallie mi sentì arrivare al suo fianco, fece le presentazioni.

“Mamma, lui è Austin. Austin, mia mamma.”

“É un piacere conoscerla, ah…signora Riley,” disse con un timido sorriso.

Cominciai a restituirgli il sorriso ma mi bloccai. C’era qualcosa di familiare in lui. Era strano. Mi ricordava…

Battei due volte le palpebre, cercando di scacciare un preoccupante senso di dejà vu. Allungai lentamente la mano per stringergliela.

“Austin, è un piacere anche per me conoscerti.”

Le mie parole furono esitanti, caute. Conoscevo il suo volto. Quegli occhi. Grigi penetranti con macchioline scure. Quel sorriso sghembo. I capelli erano un po’ più chiari, ma…

No. Non può essere. Mi sto solo sentendo nostalgica per aver trovato quel cartoncino per la Festa della Mamma.

“Mia mamma voleva fare altre foto,” gli disse Kallie. “Chiediamo a tutti di uscire dalla limousine così possiamo fare una foto di gruppo.”

Battei di nuovo le palpebre.

Sì, foto. Devo fare delle foto.

Scossi la testa per schiarirmi le idee e seguii Kallie e Austin all’esterno. Dopo che il gruppo di dodici adolescenti della St. Aloysius Prep si mise in fila, scattai alcune foto di tutti loro vestiti eleganti nei loro smoking e nei loro abiti da sera. Alcuni restarono in attesa mentre gli altri si mettevano in posa e così riuscii a scattare qualche sciocca foto di loro che saltavano e si facevano le boccacce. A ogni foto, cercai con discrezione di guardare meglio Austin attraverso il visore. Era tutto così strano. Mi sentii come se fossi stata catapultata in qualche tipo di contorta curvatura spazio temporale. Una sensazione di timore cominciò a impadronirsi di me.

Kallie e i suoi amici cominciarono ad agitarsi, ansiosi di cominciare la loro grande notte. Li avevo bloccati anche troppo a lungo. Abbassai la macchina fotografica e indicai loro di andare verso la limousine.

“Divertitevi!” dissi al gruppo mentre cominciavano a salire nell’auto in attesa. Kallie mi lanciò un sorriso raggiante che intensificò il nodo che mi si era formato nello stomaco. D’impulso le feci cenno di venire verso di me.

“Che succede?” mi chiese frettolosamente.

“Divertiti. Non bere. Comportati in modo prudente.” Le diedi un leggero bacio sulla guancia.

“Andiamo, mamma. Mi conosci. Mi comporto sempre bene.”

“Non è di te che sono preoccupata,” dissi, lanciando un’occhiata verso Austin. Kallie vide la direzione del mio sguardo e alzò gli occhi al cielo.

“Rilassati. Non devi preoccuparti di Austin,” cercò di rassicurarmi.

“Sarai a casa alle undici?”

“In punto!”

Mi diedi un breve abbraccio prima di girarsi e unirsi ai suoi amici, ma io la presi per un braccio. Dovevo sapere se mi stessi solo immaginando le cose.

“Kallie, come si chiama di cognome Austin?”

Lei alzò le sopracciglia, confusa per la mia domanda.

“Quinn. Perché?”

Lo stomaco precipitò verso i miei piedi e il cuore cominciò a battermi all’impazzata.

No. No, no, no!

Le probabilità dovevano essere una su un milione.

Era inconcepibile.

Le possibilità erano così basse.

Una immagine di un ritaglio di un giornale che avevo conservato anni prima mi tornò in mente. Sapevo che Fitz si era trasferito da qualche parte vicino a Washington, ma avevo smesso di seguire i suoi spostamenti dopo la nascita di Kallie. Dovevo farlo. Era l’unico modo per riuscire a sopravvivere emotivamente.

Ma ora questo.

Poteva essere solo una coincidenza, ma nel profondo sapevo che non lo era. Era possibile—anche probabile. Le somiglianze nell’aspetto fisico tra Austin e Fitz erano troppe per considerarle una coincidenza. E condividevano lo stesso cognome.

Non può accadermi veramente. Non ora. Non dopo tutto questo tempo.

Per quanto ne sapeva Kallie, io non sapevo chi fosse suo padre. Avevo mentito per proteggerla, e non sapevo come dirle la verità in quel momento. Eravamo unite ma poteva non perdonarmelo. Era la sera del suo ballo e quel segreto vecchio di diciassette anni stava per rovinare tutto e distruggere ogni cosa che considerava cara.

“Mamma, stai bene?” chiese Kallie, con preoccupazione evidente.

Guardai mia figlia. Così giovane e innocente. Proprio come lo ero io una volta.

Dio aiutami. Cosa faccio?

Le strinsi con forza gli avambracci, lottando contro il soverchiante impulso di vomitare.

“Kallie, promettimi che Austin è solo un amico.”

Lei spalancò gli occhi come se mi fossero improvvisamente cresciute le corna.

“Sì! Rilassati mamma. Sei troppo presa da tutto questo. È solo un ballo. Cosa farai fra un paio di settimane quando andrò a Montreal per la gita con la classe di francese? Stasera andrà tutto bene e sarò a casa ancora prima che tu te ne accorga.”

Un lampo di quello che mi aveva detto prima su Austin mi tornò in mente. In meno di un secondo i miei nervi già a pezzi sembrarono crollare definitivamente.

“Kallie, hai detto che Austin era nella tua classe di francese. Ci sarà anche lui in gita?”

“Mamma, smettila. Forse quando torno a casa stasera, potremmo tare in piedi fino a tardi e guardare un vecchio musical. Magari con i popcorn? Proprio come facevamo quando ero piccola? Dopo tutto ho sedici anni e vado per i diciassette…” iniziò a canticchiare ripetendo il testo di una canzone da Tutti insieme appassionatamente. Si avvicinò per abbracciarmi ancora una volta ma né le sue parole né il suo abbraccio mi fecero sentire meglio.

Guardai la limousine. Tutti i suoi amici erano già stipati dentro, in attesa solo di Kallie.

“Certo, tesoro. Sembra una bella idea,” risposi distrattamente sentendomi come in una puntata di Ai confini della realtà.

Non la fermai quando alla fine se ne andò. Forse avrei dovuto, ma non sapevo come spiegarglielo. Non c’era un modo facile per dire a mia figlia che, fra tutte le persone dell’intero mondo, stava per andare al ballo con il suo fratellastro.

Definita

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