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Capitolo 2

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Julian Kendall passeggiò fino all’Hotel Irving, situato al numero 26 di Gramercy Park South. Era un hotel esclusivo sull’Isola di Manhattan. Niente di New York o dell’America lo affascinava.

Alla fine Julian raggiunse l’hotel e vi entrò. Un impiegato lo accolse immediatamente. “Buongiorno, signore”, affermò l’uomo dai capelli castano scuro, grigi sui lati vicino all’orecchio. “Come posso aiutarla?”

“Mi chiamo Lord Julian Kendall. Avete ricevuto un telegramma con la mia prenotazione?”

L’uomo si chinò a controllare il contenuto di una cartella, poi annuì. “Il suo telegramma diceva che sarebbe rimasto qui per una periodo di tempo indefinito.”

“E’ vero”, rispose Julian. “Spero di fare di New York la mia casa lontana da casa.”

Gli rivolse uno dei suoi sorrisi più affascinanti. “Quello che ho visto fino ad ora, mi fa pensare che resterò qui abbastanza a lungo.” Non stava mentendo. Imbattersi in Brianne Collins era stato veramente fortuito.

L’impiegato si girò ed aprì uno sportello, poi prese un mazzo di chiavi da un gancio. Le fece penzolare davanti a Julian. “Quella incurvata è per la sua stanza, e quella con una G incisa è per il cancello di Gramercy Park. Si senta libero di approfittare del parco, ma è esclusivo. Solo quelli che hanno la chiave possono usarlo. Per favore, non faccia entrare nessuna marmaglia nel parco. Ci sono delle signore che lo usano regolarmente e vogliamo proteggere la loro sicurezza.”

Che novità…Nessuno dei parchi di Londra era chiuso da cancelli come questo. Stavano cercando di tenere gli individui spiacevoli lontani dal parco e riservarlo solo alle classi elevate. Che chances c’erano che qualcuno della zona più povera si avventurasse in quella parte di Manhattan? Sembrava che la classe più ricca affollasse quell’area. Non aveva visto nessun altro, neppure un membro della classe operaia…C’era qualche norma che regolava le loro uscite in pubblico, o qualcosa di simile?

“Grazie”, disse Julian il più educatamente possibile. Era cresciuto tra i privilegi, ma non lo aveva mai sbattuto in faccia a nessuno prima di allora, o forse non se ne era mai accorto. “Può indirizzarmi verso la mia camera?”

“Salite le scale e girate a destra. La stanza è in fondo al corridoio dell’ala sinistra.”

“I miei bauli saranno consegnati dalla Penn Station. Per favore, fateli portare nella mia stanza quando arrivano.” Aveva assunto qualcuno che si occupasse del suo bagaglio quando era arrivato. Tutto quello che aveva portato con sé lungo il cammino verso l’hotel, era una piccola valigia. Afferrò le chiavi con una mano e la borsa con l’altra, poi andò nella direzione indicata dall’impiegato. Non ci mise molto ad arrivare alla camera. Infilò la chiave nella serratura e la girò. Quando la serratura scattò, aprì la porta ed entrò.

Era una stanza lussuosa. Una coppia di sedie e un tavolino si trovavano vicino alla finestra. Di fronte ad un piccolo divano dalla parte opposta della stanza c’era il caminetto ed un tavolo era stato collocato al suo fianco. In una stanza separata e più piccola, un morbido letto con un copriletto marrone scuro e dei ricami dorati occupava lo spazio. C’era un altro tavolino vicino al letto. La luce entrava nella stanza dalle portefinestre che conducevano al balcone.

Non era grande come le sue stanze a Londra, ma sarebbe andata bene. L’hotel svolgeva un ottimo lavoro, rivolgendosi ai gusti più raffinati dei ricchi e nobili. Lui avrebbe dovuto sentirsi al proprio posto e in qualche modo ciò gli lasciava l’amaro in bocca. Julian posò la borsa sul letto e si avvicinò al lavandino collocato dalla parte opposta della stanza. Era già stata versata l’acqua nella brocca. Ne versò un po’ nel catino e si spruzzò il viso, poi lo asciugò con un asciugamano vicino. Si sentì rinfrescato, avendo lavato via una parte della sporcizia del viaggio. Forse sarebbe andato a vedere questo Gramercy Park…

Si mise le chiavi in tasca ed uscì dalla stanza, improvvisamente agitato. Avrebbe potuto fare una passeggiata nella zona e forse trovare un club per gentiluomini. Gli avrebbe fatto piacere bere un drink o anche numerosi. Nel frattempo, il sonno sarebbe stato sfuggente. Julien uscì dall’hotel fischiettando, mentre scendeva in strada. Il parco era molto vicino, ma non voleva veramente esplorarlo in quel momento.

“Julian”, gridò un uomo.

Si bloccò lungo il cammino. Nessuno avrebbe dovuto sapere che era arrivato, o persino che si trovava a New York. Lentamente, si voltò verso il suono e fu subito pervaso dal sollievo. Certamente William Collins sarebbe venuto a cercarlo. Lo aveva visto parlare con Brianne alla Penn Station. Si stampò un sorriso felice sul volto e salutò l’altro uomo. “Sta qui vicino?” Non sapeva cos’altro dirgli.

William scosse la testa su e giù. “Sì, mio padre ha comprato una casa di città proprio dietro l’angolo. E’ il posto più adatto a Manhattan al momento. Gli piaceva l’idea di un parco chiuso dove mia madre e Brianna potessero passeggiare.”

Quello sarebbe stato un piacevole vantaggio collaterale di Gramercy Park. Se sua sorella o sua madre erano lì, si sarebbe sentito meglio, sapendo che sarebbero state al sicuro in un parco esclusivo. “Io sto all’Hotel Irving”, Julian fece un cenno verso il luogo che aveva appena lasciato. “Per quanto tempo restate in città? Non è un periodo impegnativo alla piantagione?” Non sapeva quasi nulla di quale lavoro fosse necessario a Lilimar. Sembrava semplicemente una domanda possibile da fare.

“Preferirei non essere affatto qui”, rispose William. Gli lanciò un’occhiata di sbieco testardamente. “Ma qualcuno doveva accompagnare mia madre e mia sorella. Mio padre sarà qui tra un paio di settimane e allora ritornerò a casa. C’è sempre qualcosa da fare a Lilimar.” Piegò la testa da un lato. “Cosa la porta qui? Stanco dell’Inghilterra?”

In un certo senso, lo era e ciò gli forniva una scusa perfetta per esplorare ciò che l’America aveva da offrire. “Sono stato dappertutto durante il mio tour. Mio padre ha pensato che mi avrebbe fatto bene vedere come vanno le cose in America.” Julian si strinse nelle spalle. “Dubito che farò qualcosa che possa fare sviluppare il mio carattere.” Suo padre non era al corrente della sua tendenza a lavorare come spia, e Julian voleva che le cose continuassero così. Comportarsi come una specie di farabutto andava bene, per l’immagine che voleva mostrare al mondo. “ Conosce per caso un buon club per gentiluomini qui vicino?”

“Il Player Club è proprio dietro l’angolo, al numero 16 di Gramercy South”, rispose William. “E’ riservato ai soli membri.”

Julian strinse gli occhi e chiese, “Ciò significa che non sarò ammesso?” Sembrava esattamente il tipo di posto nel quale aveva bisogno di entrare. Probabilmente i soci erano la crema dell’élite di New York.

William sorrise. “Non esattamente.” Fece un cenno verso il sentiero che conduceva in direzione del club. “Si dà il caso che io sia un membro. Mi segua e farò il suo nome per l’ammissione. Tuttavia, devo avvisarla, la tariffa di ammissione è molto cara, ma ne vale la pena, se cercate la privacy. Io sto a New York molto più di quanto desideri, e frequentare il club è stata una necessità.” Sospirò. “Mi stavo recando lì, quando l’ho incontrata. Mia sorella mette a dura prova la mia pazienza. Dovevo scappare per un po’.”

Sembrava un punto di partenza per discutere delle inclinazioni di Olivia. Invece Julian tentò un approccio lievemente diverso. “La capisco. Anche mia sorella è difficile, nei giorni migliori.” Si mise le mani in tasca mentre parlavano. “Ho avuto un breve incontro con sua sorella alla Penn Station. Non era propensa ad accettare la mia assistenza.”

William alzò gli occhi al cielo e disse, con un tono disgustato, “Crede di sapere quello che è meglio in ogni cosa e non ascolta ragioni. Se riuscisse a scendere dalle nuvole abbastanza a lungo per capire veramente il mondo intorno a sé, non si sarebbe separata da noi appena siamo scesi dal treno. E’ stato per pura fortuna che l’abbiamo trovata abbastanza in fretta.”

Non così in fretta, se aveva avuto il tempo per un tête-à-tête con Alice Paul… Avrebbe dovuto affrontare quell’argomento con William successivamente. Per ora, avrebbe ottenuto l’ammissione al suo club e lo avrebbe perlustrato. “Parlatemi del Player Club”, lo incoraggiò Julian.

“E’ stato fondato nel 1888 da Edwin Booth”, iniziò William. “Voleva usare il club come un mezzo per cancellare la macchia sul nome dei Booth. Suo fratello minore era John Wilkes Booth.”

“Ah”, rispose Julian. “L’assassinio di un presidente può rendere un nome meno desiderabile…”

“Non avrei voluto essere al suo posto. Se avessi un fratello, e lui avesse fatto qualcosa di così profondamente stupido, e non fosse stato inseguito dai soldati dell’Unione ed ucciso- forse lo avrei fatto io stesso.”

“Per fortuna non avrà bisogno di scoprirlo. Nessuno potrebbe essere di nuovo così stupido.” Julian ridacchiò lievemente. Lui non avrebbe mai provato ad assassinare qualcuno di così importante, ma poteva capire come una persona arrabbiata con il presidente in carica potesse essere abbastanza stupida da fare almeno un tentativo. “Anche se sua sorella dovesse avvelenare la sua esistenza.”

“E’ proprio vero”, concordò William. “Le voglio molto bene, ma è abbastanza bisbetica.”

Svoltarono l’angolo e si diressero al Player Club. William aprì la porta e fece cenno di entrare. La stanza principale aveva un grande camino di marmo con un divano color Borgogna come punto focale dalla parte opposta. Due sedie appaiate lo fiancheggiavano. Una scala lì accanto era abbellita con della moquette rossa. Quella che Julian supponeva fosse la sala da pranzo, si trovava a sinistra, oltre la scala. Era circondata da un lungo tavolo, con almeno venti sedie. Alle pareti erano appese molte opere d’arte. “Questo posto è proprio sontuoso…” Fece un gesto verso un dipinto. “Quello non è un…” Stava indicando un quadro con dei fiori bianchi e fucsia in un vaso bianco. Poteva essere un Van Gogh o un Monet, ma Julian non ne era sicuro.

William alzò le spalle. “Non me ne intendo molto di arte. Anche se un tempo Mark Twain era un socio abituale qui. Penso che uno dei suoi manoscritti originali sia appeso lì. Non ho avuto la possibilità di curiosare tra i molti oggetti che tengono qui.”

Interessante… “E’ un club per artisti?”

“Per la maggior parte”, confermò William. “Ma ce ne sono alcuni che non sono propriamente artisti, anche se creano delle cose.”

Non era sicuro di capire cosa intendesse. “Può spiegarsi meglio, per favore?”

“Nikola Tesla è un socio”, spiegò William.

Julian non era familiare con il lavoro del fisico, ma aveva già sentito quel nome. Uno scienziato non era un artista, tuttavia esplorava le possibilità del mondo. “E’ necessario che io abbia qualche talento per diventare un socio?”

“No”, disse William. “A loro piace mescolare gli artisti, in mancanza di una definizione migliore, e le classi superiori. E’ il modo in cui il Player Club tiene aperte le porte agli individui che sanno lottare e fanno lavorare il proprio genio.”

Questo Player Club si stava rivelando molto più interessante di quanto avesse pensato all’inizio…”In questo caso…” Fece un gesto della mano verso William. “Portatemi dalla persona con la quale devo discutere la mia ammissione.”

Non ci volle molto a convincere i responsabili a considerare la sua ammissione. Non potevano ammetterlo all’istante, bisognava metterlo al voto, ma i soci principali non pensavano che ci sarebbero stati problemi. Erano contenti dell’acquisizione che avrebbe incluso il figlio di un duca nei loro elenchi. A Julian piaceva la pozza di informazioni nella quale era riuscito a tuffarsi. Era molto meglio di quanto avesse sperato. Se il resto della sua visita a New York fosse andato altrettanto bene, sarebbe potuto tornare a casa prima del previsto e forse avrebbe ottenuto un incarico migliore nel frattempo.

Non avrebbe voluto accettare quello che aveva adesso, ma aveva sentito di doverlo fare. Se voleva farsi un nome, doveva intraprendere i passi necessari per dimostrare ai superiori che potevano fidarsi di lui- per quanto la questione potesse essere spiacevole. Era stato mandato lì a New York, perché volevano qualcuno che osservasse gli sforzi dei suffragisti.

L’Inghilterra aveva i propri problemi riguardo ai diritti delle donne, quindi era prudente capire come fosse il clima ovunque. Alice Paul era un’americana che si era immischiata con le Pankhurts in Inghilterra ed era stata lei ad attirare l’attenzione degli ufficiali del governo. In parte la missione di Julian consisteva nell’assicurarsi che lei non ritornasse. L’ultimo periodo passato nel sistema carcerario non era stato- piacevole per lei. Certamente, quello era un eufemismo per quello che aveva sopportato. A causa della sua testardaggine verso la causa, avrebbe potuto morire di fame, quindi erano stati costretti a nutrirla contro la sua volontà. Fortunatamente era sopravvissuta ed era tornata a casa. Finché fosse rimasta a casa sua, non sarebbe più stata un problema per l’Inghilterra.

Anche se Alice Paul faceva parte del suo incarico, non lo occupava del tutto. Julian non avrebbe dovuto seguirla in giro o spiarla. Sarebbe sembrato strano se lo avesse fatto. Era un membro dell’aristocrazia e per lui sarebbe stato più facile infiltrarsi nella società newyorchese. Avrebbe fatto la propria parte per apparire come un uomo di mezzi e nel suo tempo libero avrebbe curiosato nel movimento suffragista. Probabilmente c’erano anche delle donne delle classi elevate che non erano soddisfatte di quello status quo. Miss Brianne Collins sembrava una di queste…

I suoi rapporti con i suoi amici Alexander e Andrew Marsden gli rendevano più facile avvicinarsi a lei. Gli avevano dato anche un pretesto per parlare con lei alla Penn Station, ma ciò non significava che lei si fidasse di lui. Sembrava che Miss Collins pensasse che lui fosse sgradevole da guardare. Avrebbe dovuto sforzarsi di farle cambiare idea. Lei sarebbe potuta essere la persona della quale lui aveva bisogno per spiare le suffragette e riferire i loro progressi a casa. Gli uomini dell’alta società erano i suoi altri obiettivi. Erano quelli che potevano controllare la situazione negli Stati Uniti ed accedere ai livelli più alti del governo federale. Poiché tenevano in mano tutte le carte, per così dire, sarebbero stati loro a rendere possibile un cambiamento.

Comunque, Julian non capiva la ragione per la quale si preoccupavano di ciò che stava accadendo in America. Perché l’Inghilterra non poteva decidere da sola se accordare o no alle donne più diritti, senza interessarsi a quello che succedeva nel mondo? Era un problema serio e lui capiva perché gli uomini non volessero cedere il controllo che avevano avuto da ben-da sempre; comunque, le donne avrebbero dovuto avere la capacità di scegliere da sole cosa volevano nella loro vita, senza che nessuno glielo imponesse. Ciò non significava che lui avrebbe ammesso alcune delle pratiche adottate dalle Pankhurst. Erano pericolose e radicali.

Comunque, avrebbe fatto il proprio dovere, che gli piacesse o no.

Le Tentazioni Di Una Principessa Americana

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