Читать книгу La Volpe In Rosso - Dawn Brower - Страница 6

CAPITOLO DUE

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Il trambusto nel parco avrebbe dovuto attirare l'attenzione di Collin, il conte di Frossly. Di regola sarebbe stato così, ma in quel momento egli aveva troppe cose per la testa. Era entrato nel parco più per abitudine che perché avesse voglia di farlo. Il suo stallone nitrì e alzò la testa come se stesse richiamando l’attenzione di un cavallo nei pressi. Questo lo divertì. I due si stavano scambiando una sorta di saluto?

Collin tirò le redini e fermò il cavallo. Il suo buon amico, Cameron, il duca di Partridgdon, si fermò accanto a lui. Avevano passeggiato insieme in un silenzio condiviso. Nessuno dei due aveva molto da dire ed entrambi sembravano lieti di non essersi dovuti sforzare per intavolare una conversazione. Il duca era tornato in Inghilterra dopo un breve viaggio. Cameron soggiornava molto spesso all’estero: era il suo modo di evitare il matrimonio che la sua famiglia lo aveva costretto ad accettare. Se non l'avesse fatto, il ducato sarebbe andato in rovina. La dote fissata durante il fidanzamento era già stata intaccata per pagare i debiti. Cameron odiava quell’accordo e non sopportava l'idea di essere costretto a sposare una donna a cui era legato da quasi due decenni. Quando i suoi genitori avevano sottoscritto l’impegno matrimoniale, lei era poco più di una bambina.

La situazione di Collin non era certo migliore …

"Cosa pensate sia accaduto?" esclamò Cameron, rompendo il silenzio.

L’amico scrollò le spalle. "Dubito che la cosa rivesta una qualche importanza, per noi. Di sicuro si tratta di stupidi pettegolezzi in cui non ho intenzione di restare invischiato. E credo nemmeno voi.”

"Probabilmente avete ragione.” concordò Cameron. Strinse lo sguardo e lanciò un’occhiata al parco. "Tuttavia, la vittima mi sembra di conoscerla."

Collin si voltò a guardare in direzione del trambusto. Non riconobbe le due donne. Si accigliò. "La ragazza bionda indossa i calzoni?"

Ma era forse matta, quella donna? Non poteva immaginare il motivo per cui una lady si fosse acconciata in quel modo…assolutamente sconveniente! Tuttavia, dovette ammettere con se stesso che la cosa lo intrigava. Era forse quella, la mira della donna? Attirare l'attenzione di un gentiluomo? Ma non era certo il modo migliore per farlo. Se sperava di farsi notare, ci era sicuramente riuscita, ma dubitava che gli effetti sarebbero stati quelli sperati. Si sarebbe solo attirata addosso pettegolezzi e possibili adescamenti da parte dei peggiori lestofanti dell’aristocrazia.

"Sì, indossa un completo da uomo. – rispose Cameron – La conoscete?"

Lui scosse la testa. “Cerco di mantenermi alla larga da queste teste aristocratiche. Mia sorella probabilmente saprebbe di chi si tratta. Ma disgraziatamente non è qui con noi e non posso chiederglielo.”

Sua sorella, Kaitlin, era felicemente sposata con il conte di Shelby da più di quindici anni. Aveva tre figli che la tenevano occupata … due maschi e una ragazzina. Si rivolse a Cameron. "Quella donna vi interessa, caro amico?”

Cameron aggrottò la fronte. "Non quella coi calzoni, l’altra dama – chiarì il Duca – Credo che sia la mia fidanzata."

"Ah! – esclamò Collin, afferrando al volo la situazione – Allora dobbiamo eclissarci subito. Dubito che vogliate farle sapere che siete tornato in Inghilterra, o sbaglio?”

"Certo che no! – esclamò Cameron. Poi si acciglio di nuovo. "Anche se, a guardarla, mi sembra più avvenente di quanto ricordo." Le ultime parole furono quasi un sussurro, ma arrivarono comunque alle orecchie di Collin.

Questa piccola gita aveva dato a Cameron qualcosa su cui riflettere? La signora dai capelli scuri era davvero bellissima. Almeno per ciò che poteva vedere da quella distanza. La bionda però … quella svergognata … qualcosa in lei lo attraeva. Forse era perché, con quel vestito da uomo addosso, le sue curve erano tutte ben delineate e nulla era lasciato all’immaginazione. Non ci aveva mai pensato. Qualsiasi maschio dal sangue caldo avrebbe trovato eccitante una donna vestita da uomo e Collin era tutt'altro che santo.

"Oh, diamine!” esclamò Collin scorgendo il Duca e la Duchessa di Weston, in compagnia del Marchese e la Marchesa di Seabrook, passeggiare nel parco proprio in prossimità delle due donne. Aveva capito solo in quel momento chi fosse la dama bionda e, cosa più importante, chi erano i suoi genitori. "Temo che stia per scoppiare uno scandalo!”

Cameron inarcò un sopracciglio. "Non capisco."

L’amico gli indicò l’uscita del parco. "Credo che la marchesa di Seabrook stia per strangolare la sua unica figlia." Cameron lanciò un'occhiata ai signori anziani e poi alle due ragazze, che erano così nell’occhio di tutti. "Ah!– esclamò Colin, ridacchiando – Forse varrebbe la pena di sedersi comodamente e godersi lo spettacolo!” Ma poi scosse la testa. “Ma forse è meglio non lasciarsi invischiare. Anche se mi piacerebbe guardare tutta la scena!”

"Avete ragione – concordò Collin – La duchessa di Weston potrebbe rivelarsi la voce della ragione. Sta insegnando alcune pratiche medicinali a mia cugina, Marian, e non è quella che si potrebbe considerare una tipica signora della vecchia aristocrazia. Ha convinzioni … decisamente progressiste."

Cameron sospirò. "È meglio che ci affrettiamo. Questi nobili sono troppo occupati a spettegolare su chi hanno a tiro e non ci noteranno nemmeno, mentre voltiamo i cavalli.”

"Fatemi strada, vi prego.” disse Collin.

Preferiva di gran lunga tornarsene a casa di suo zio Charles, il conte di Coventry. Doveva capire il modo migliore per gestire la situazione in cui si trovava. Se Cameron non si fosse presentato all’improvviso, sarebbe rimasto nel suo studio ad esaminare attentamente i libri contabili della proprietà. Da ciò che aveva capito, il suo amministratore si era eclissato lasciando la tenuta in rovina. Aveva sottratto fondi dalle casse della proprietà e non aveva mai fatto alcuna ristrutturazione, né onorato le spese. Collin aveva intenzione di ritirarsi a Peacehaven e vivere nel suo castello finché non avesse trovato un modo per sanare tutti i debiti. Ormai non si fidava più di nessuno e intendeva occuparsene in prima persona.

Collin doveva ancora parlare con le autorità per rintracciare l'uomo. Si rimproverava per il fatto di essersene andato a sollazzarsi a Londra mentre lo stavano derubando. Che stupido era stato! Sarebbe dovuto andare a controllare ciò che avveniva nella sua tenuta già molto tempo prima. E se tornare non gli avesse causato così tanto dolore, di sicuro lo avrebbe fatto. Non si era più recato a Peacehaven dopo la morte dei suoi genitori. Ogni volta che ci pensava il cuore gli si spezzava nel petto, ma alla fine non aveva avuto altra scelta. Nessun altro poteva prendere il suo posto, ed era ora che crescesse e si assumesse le sue responsabilità.

Uscirono dal parco senza che nessuno se ne accorgesse. Collin lanciò un’ultima occhiata alla signora in calzoni. Una parte di lui sperava di incontrarla di nuovo. Era curioso di sapere cosa le era passato per la testa e perché si era conciata a quel modo. Sarebbe stato un racconto interessante … Tuttavia era molto improbabile che l’avrebbe rivista. Presto si sarebbe rintanato in campagna, affogato nella ristrutturazione della tenuta e nel resoconto della produzione agricola. Niente a che fare con una lady sui generis che aveva osato travestirsi da uomo e farsi guardare da tutti in un parco pubblico…

* * *

Charlotte camminava avanti e indietro nella sua camera da letto, dov’ era stata esiliata non appena tornata a casa. Una volta lì, si era spogliata dei vestiti maschili e si era rimessa i suoi abiti da donna. Sua madre si sarebbe fatta venire un attacco apoplettico, se l’avesse rivista con i calzoni addosso! Per un momento Charlotte aveva addirittura temuto che l’avrebbe strozzata davanti a tutti, nel parco. Non ricordava di averla mai vista così arrabbiata, in vita sua. La marchesa di Seabrooke aveva la faccia così rossa dalla rabbia che le sue guance sembravano delle mele! I suoi genitori erano davvero furiosi, molto più di quanto avesse preventivato… Quello che aveva fatto… sulle prime le era sembrata una buona idea, ma ora temeva di essersi solo messa nei guai. Odiava deludere i suoi genitori. Soprattutto suo padre: lo aveva sempre ammirato e sapeva quanto era stato valoroso in battaglia. Se mai si fosse sposata, sperava che il gentiluomo con cui avrebbe condiviso la vita sarebbe stato altrettanto coraggioso. Non che sperasse che il paese scendesse di nuovo in guerra, ma voleva comunque stimare, prima di amare, la persona che le sarebbe stata al fianco.. Non le sembrava di chiedere troppo …

La porta della sua camera da letto si spalancò. Una cameriera entrò e fece una riverenza. "Perdonate, milady – disse – I vostri signori genitori richiedono la vostra presenza in salone."

Il cuore prese a batterle all’impazzata. Era il momento. Era arrivata alla resa dei conti, il biglietto di ritorno per Seabrook. Lì sarebbe stata libera di dedicarsi al suo romanzo e di non preoccuparsi di eventuali impegni sociali. Charlotte deglutì a fatica e fece un grosso respiro.

"Vi ringrazio, Mildred.” disse alla cameriera. Era orgogliosa di come, esteriormente, riuscisse a mantenere la calma. La sua voce non mostrava alcun segno del nervosismo che, invece, la stava spossando dal di dentro. Era un miracolo che non stesse tremando in maniera inconsulta. Per qualche ragione, temeva che i suoi genitori non le avrebbero concesso la grazia che sperava e, nella situazione in cui si era messa, non poteva nemmeno chiederglielo per favore. Dopo quello che aveva combinato non aveva certo voce in capitolo. Charlotte era più che sicura che questa volta i suoi genitori l’avrebbero indotta a piegare la testa.

Sulla soglia del salone si fermò, per prendere fiato. Sapeva di dover contare su tutte le sue forze, in quel momento. Charlotte fece un passo incerto e poi entrò nel salone a testa alta. Non le sarebbe servito a niente mostrare la sua debolezza, anzi. Per quanto li amasse, in simili frangenti i suoi genitori potevano essere spietati. Se glielo avesse permesso mostrandosi fragile, l’avrebbero spezzata con le loro parole di rimprovero. Questo non significava che fossero cattivi, tutt’altro. I suoi genitori erano sempre stati amorevoli e premurosi con lei e l’avevano seguita per tutto il percorso adolescenziale, ma comunque non erano degli sciocchi. Charlotte era sicura che questa volta non l’avrebbe passata liscia.

Sua madre sembrava calma e non aveva un solo capello fuori posto. Era un po’ pallida, ma comunque non cadaverica. Le macchie di rosso sulla sua faccia erano sparite e ora il suo viso aveva ripreso un’espressione normale.

"Volevate vedermi?" Non era proprio una domanda, ma purtroppo la sua voce lasciò trapelare un minimo di indecisione…

"Vi prego, sedetevi.” esclamò suo padre, indicandole una sedia in prossimità del divano su cui si erano piacevolmente accomodati. Sua madre si versò con calma una tazza di the e vi mise dentro due zollette di zucchero. Poi si mise a sorseggiarla, come se non stesse per dare una punizione a sua figlia. Che strega …

"Non discuteremo delle vostre azioni.” Cominciò a dire suo padre. I suoi capelli biondo dorato erano un po’ spettinati. Doveva essersi passato la mano tra i capelli per il nervoso migliaia di volte, quel giorno. “È inutile rinfacciarvi i dettagli del vostro operato. Ciò che è fatto è fatto." Sollevò un bicchiere pieno di liquido ambrato e ne bevve un sorso. Niente the per suo padre … Era brandy, quello che aveva nel bicchiere. Diamine, aveva spinto il suo caro padre ad affogare la delusione nell’alcool! Si vergognò moltissimo di quello che aveva fatto. Purtroppo non poteva tornare indietro, ma ormai aveva ottenuto ciò che voleva e questo era il momento di capire se era anche riuscita a raggiungere il suo obiettivo. "Ciò di cui vogliamo parlarvi è come intendiamo punirvi per ciò che avete fatto.”

Sua madre prese una focaccina, la cosparse di marmellata e le diede un morso. Aveva intenzione di ignorare Charlotte per tutta la durata della conversazione? Era molto peggio che se l’avesse aggredita con parole di biasimo…

"Capisco", rispose. Non si sa come, ma Charlotte riuscì a mantenersi tranquilla. Per ora, nessun problema. Ma ci sarebbe riuscita fino in fondo?

"Avete qualcosa da dire in vostra discolpa?” continuò il padre.

Charlotte scosse lentamente la testa. Non sarebbe servito a niente giustificarsi davanti a loro. Si era vestita da uomo e aveva gironzolato per Hyde Park … apposta. Non c’era altro da aggiungere.

"Non ho nulla da dire. Mi assumo la completa responsabilità delle mie azioni.” rispose, tranquillamente. C'era solo un posto in cui avrebbero potuto spedirla. Pregò di non essersi messa nei guai per niente. Potevano solo rimandarla a casa, e basta. Non c’era molta scelta. A Charlotte dispiaceva di aver ferito i suoi genitori, ma quello scandalo era l'unico modo per ottenere ciò che voleva. Se avesse potuto, avrebbe rifatto tutto daccapo. A patto che, avesse davvero ottenuto ciò che desiderava…tornare a Seabrooke. Per questo non poteva permettersi di sentirsi in colpa o di scusarsi con i suoi genitori. Loro non sapevano cosa aveva in mente e quindi non potevano negarle quel desiderio. Erano molto delusi, e l’avrebbero rispedita a casa. Sicuro.

"Molto saggio da parte vostra. – la schernì il padre – Anche perché non avete scelta."

Ahi! La cosa si metteva male. Di colpo Charlotte ebbe un brutto presentimento. Si lasciò prendere dall’ansia.

"Va bene …" Deglutì a fatica. "Quale sarà la mia punizione?”

“C’erano due possibili castighi…” continuò suo padre.

Due? Ce n'era solo uno possibile: Seabrook … Che intendeva dire?

"Seabrook è stato il nostro primo pensiero ma, se vi rimandassimo a casa, non imparereste di certo la lezione. Quindi lo abbiamo escluso."

Il cuore saltò un battito e il suo stomaco si contrasse. Che stava succedendo? Dove l'avrebbero mandata? Era sbagliato, tutto sbagliato.

"Se non potrò tornare a casa, dove andrò?" Oddio, davvero si era messa nei guai per niente? Non aveva mai preso in considerazione la possibilità che non l’avrebbero rispedita a Seabrook! E ora… non riusciva a esprimere come si sentiva. Ma doveva essere rimanere forte. Forse poteva ancora realizzare il suo desiderio, anche se l’avessero reclusa altrove.

Una strana espressione apparve sul viso di sua madre. Un sorriso … minaccioso. "Ero sicura che avevate fatto tutto questo per tornare a casa." Posò la tazza di the e incontrò lo sguardo di Charlotte. "Invece, andrete a tenere compagnia alla vostra prozia Serafina. Vive da sola e sarà un vantaggio per lei avervi a portata di mano per i prossimi mesi."

La mente di Charlotte si oscurò per qualche istante, mentre cercava di fare mente locale. Era sinceramente delusa di come si stavano mettendo le cose. Impedirle di tornare a casa e spedirla in un posto che odiava! Questa volta i suoi genitori avevano voluto darle una lezione esemplare, e costringerla a pentirsi amaramente della vergogna che avevano provato a causa sua.

Zia Serafina … era vecchia. D'accordo, ma non decrepita. Charlotte immaginava come avrebbe trascorso i prossimi mesi. Come sua dama di compagnia, la zia l’avrebbe costretta a lunghe chiacchierate e a riunioni e passeggiate che lei invece aborriva! Era andato tutto a rotoli, e ora, che fare? Non poteva che rassegnarsi e bere l’amaro calice fino in fondo. Si era imprigionata con le sue stesse mani e ormai non c’era via di scampo.

Piuttosto: quanto sarebbe durata la sua prigionia?

La Volpe In Rosso

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