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CAPITOLO TRE

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La carrozza procedeva a sbalzi nel suo tragitto e Charlotte non poteva fare a meno di pensare che il cocchiere prendesse appositamente ogni dosso che incontrava sulla strada. Aveva sobbalzato sul sedile così tante volte che ormai la sua schiena, i fianchi e il sedere dovevano essere pieni di lividi. Cosa aveva indotto i suoi genitori a pensare che mandarla nelle terre selvagge del Sussex fosse un’ottima scelta? Almeno Peacehaven era vicino al mare. Era ciò che più si avvicinava al suo concetto di casa, trovandosi a metà tra Seabrook e Weston. Si augurò che quella permanenza non sarebbe stata…terribile come temeva.

La carrozza sussultò di nuovo e lei si trovò protesa in avanti. Colpì un fianco della carrozza con il capo e il dolore la trafisse come un coltello rovente in un panetto di burro. Si portò una mano alla testa e mugolò. L’intero viaggio non era stato altro che una tortura. Per fortuna la carrozza aveva smesso di muoversi. Imprecò sottovoce e tentò di mettersi a sedere, ma scivolò di lato. La carrozza era inclinata e questo non era certo un buon segno. Doveva scendere da quella maledetta vettura e farsi dire dal cocchiere che cos’era successo. Se avesse sbattuto la testa con più violenza, si sarebbe fatta male per davvero. Mentre si sporgeva verso la maniglia della porta, questa si aprì.

"Tutto bene?" chiese un uomo.

Charlotte alzò lo sguardo e aggrottò la fronte. Non aveva mai visto quell’uomo, ma per qualche strana ragione le sembrava di conoscerlo. Aveva i capelli ramati di rosso … diciamo, una capigliatura biondo rossiccia, e straordinari occhi blu. Una combinazione vincente. In realtà era piuttosto belloccio, e lei lo avrebbe sicuramente apprezzato meglio…se non si fosse trovata in quella scomoda posizione. Gli porse la mano. "Grazie. Ho proprio bisogno di aiuto, per uscire da qui.”

Lui allungò un braccio, le afferrò la mano e l’aiutò a scendere dalla carrozza. Aspettò che i piedi di Charlotte fossero ben saldi sul terreno e poi si mise ad osservare attentamente la carrozza.

“Sembra che si sia rotta una ruota.”

Guardò meglio e aggrottò la fronte. Gli assi sembravano interi, ma una delle ruote era dichiaratamente spezzata in due parti.

"Dov'è il vostro cocchiere?" domandò.

"Sono qui, milady! – gridò una voce – Perdonate. Ho cercato di evitare l’ultimo fosso ma… ” s’interruppe. Il pover'uomo sembrava in ansia, tanto quanto la sua padrona.

"Va tutto bene, Samuel – lo rassicurò Charlotte – Comunque, siamo tutti interi. Ringraziamo il Cielo!” Si passò le mani sulla gonna, incerta sul da farsi e sospirò. Secondo i suoi calcoli sarebbe dovuta arrivare da zia Serafina prima di sera. Ora, con la carrozza in quello stato, dubitava che sarebbero riusciti ad arrivare prima di notte. Quella giornata era iniziata sotto una cattiva stella.

Lo sconosciuto si mise a fissarla.

"Che c’è?" chiese all’uomo. Aveva dello sporco o qualcosa del genere sul viso? Si guardò nel vetro della carrozza.

"Perdonate, ma avete un’aria familiare. – disse lui – Non vorrei apparire sfacciato, ma non riesco a ricordare dove vi ho veduta.”

Charlotte sospirò. Si trovava nel Sussex ed era diretta a Peacehaven. Non era possibile che lui si trovasse ad Hyde Park quando lei aveva dato…spettacolo. A meno che anche lui non stesse venendo da Londra. Lo stomaco di Charlotte si contrasse per la vergogna; sperò vivamente che l’uomo non fosse uno degli ignari spettatori della sua disfatta.

Non aveva alcuna intenzione di chiarire perché si fosse comportata a quel modo. Nessuno poteva capirla tranne, chiaramente, la sua amica del cuore, Pear.

"Sono sicura di non aver mai fatto la vostra conoscenza . – disse – Sono Lady Charlotte Rossington."

Lui annuì, come se in realtà se lo aspettasse, ma non disse nulla. Quel silenzio irritò ancora di più Charlotte. Comunque sia, l’uomo non si era ancora presentato. Con imperdonabile maleducazione.

"Mi sembrate spaesata, milady – disse l’uomo – Dove eravate diretta?"

"Milady – interruppe il cocchiere, avvicinandosi a loro – Non è possibile per me riparare la carrozza in questo posto. La ruota è andata, e tra poco calerà la sera. Sono costretto a usare uno dei cavalli per recarmi in città a cercare un fabbro che possa aiutarci.”

"Ma non siamo vicini a Peacehaven?" chiese lei.

"Sì, abbastanza vicini – intervenne lo sconosciuto – A circa trenta minuti di carrozza."

Charlotte trattenne un gemito. Perché erano ancora così lontani? Aveva un disperato bisogno di buttarsi su un letto e riposare, e non vedeva l’ora di arrivare da zia Serafina! Ardeva dal desiderio di un bagno caldo e di molte ore di sonno, per riprendersi da quel viaggio estenuante. Ma mantenne il controllo.

"Molto bene, fate ciò che dovete.” disse al cocchiere.

IL cocchiere si rivolse all’uomo.

"Mio signore, sareste così gentile da accompagnare Lady Charlotte alla proprietà della sua signora zia? Non posso lasciarla qui da sola. "

"Sarei felice di fare da cavaliere a Lady Rossingron. – rispose lo sconosciuto – Di grazia, ditemi di preciso dove devo accompagnarla."

"Al palazzo di Lady Serafina Bell – intervenne Charlotte – Contea di Sheffield."

L’uomo annuì. “Sì, conosco.”

Ciò significava che l’uomo bazzicava regolarmente Peacehaven. L’ultima volta che Charlotte c’era stata, invece, era ancora una bambina. Allora c’era suo padre con lei, una delle rare volte che andava a trovare la zia. Ricordava che era stata una visita piacevole. Il viaggio però non era stato un inferno come quello che aveva appena passato, perché in quel periodo villeggiavano a Seabrook ed erano abbastanza vicini. Ma da Londra a Peacehaven si trattava di un viaggio massacrante.

"Ottimo! Questo vi renderà le cose più facili. Vi ringrazio per la cortesia."

"È un piacere per me, milady. – rispose l’uomo, porgendole il braccio – Vi prego, accomodatevi nella mia carrozza. Il mio cocchiere si occuperà del vostro bagaglio. "

Charlotte si fece accompagnare alla carrozza. I sedili erano molto più morbidi di quelli su cui aveva viaggiato fino a poco prima. Di sicuro, i suoi genitori si era assicurati di procurarle la carrozza più scomoda che potessero trovare, per punirla meglio. Così, durante il tragitto, avrebbe avuto tempo e modo per pentirsi delle sue intemperanze.

Il cocchiere passò i suoi bagagli nella carrozza e infine il gentiluomo prese posto accanto a Charlotte. Quasi subito la carrozza si mosse.

Viaggiarono in silenzio e Charlotte ne fu molto felice. Lei e l’uomo erano perfetti sconosciuti, e una conversazione tra loro sarebbe stata alquanto sconveniente. Per tutto quel tempo l’uomo non pensò di presentarsi e lei non gli chiese chi fosse. Ma forse sua zia lo conosceva già.

* * *

Collin non poteva credere che l'audace signora che aveva visto in calzoni fosse diretta proprio a Peacehaven. Fin dal primo istante aveva avuto il sospetto che si trattasse della figlia dei marchesi di Seabrook, e a quanto pare non si era sbagliato. Era molto più bella di persona, e lui non si era mai sentito così a corto di parole. Comunque, avrebbe dovuto trovare modo di intavolare una piacevole conversazione..

"Quanto tempo vi tratterete a Peacehaven, milady?" Diamine, le parole gli uscivano fuori quasi stentate! Aveva decisamente perso l’abitudine di parlare con una signora: sembrava un orso! Lei sospirò. Non poteva mentire. “I miei genitori mi hanno mandato via per punizione. Dipende da loro, quanto tempo rimarrò qui.”

"Suona come una minaccia." A quanto pare, quella bravata di indossare abiti maschili in pubblico era stato troppo, per i marchesi. “E cosa avete fatto di così riprovevole, di grazia? Siete stata forse pescata a baciare qualche bellimbusto in Covent Gardens? "

Lei ridacchiò. La sua risata era pura e cristallina. A Collin piacque e desiderò vederla di nuovo ridere. “Certo che no, anche se questa cosa del bacio mi stuzzica un po’. Evidentemente, voi siete solito baciare molte donne in Covent Gardens. Forse è per questo che avete pensato subito a una cosa del genere."

Lui ridacchiò. "Non sono così birichino.” esclamò, sorridendo. Ma anche a lui quella cosa stuzzicava un po’. In verità, baciarla era ciò che avrebbe desiderato fare in quel momento. Ma non intendeva rovinarle definitivamente la reputazione, e in ogni caso avrebbe dovuto corteggiarla. Per ora non si conoscevano affatto e non voleva certo essere costretto a un matrimonio riparatore solo perché non era capace di tenere le mani a posto.

"Non sono neanche un santo, però." aggiunse. Non voleva passare ai suoi occhi per un damerino. Collin intendeva affascinarla. Anche se si erano appena conosciuti, desiderava già rivederla. Doveva fare qualcosa per attrarla, altrimenti lei avrebbe fatto la ritrosa e non avrebbe accettato un invito a rivedersi.

"È molto furbo da parte vostra non ammettere di aver fatto mai qualcosa di scandaloso, nella vita.” disse Charlotte.

“Per quanto riguarda voi, invece, forse non vi conviene sbandierare ai quattro venti che siete qui a Peacehaven perché vi trovate al centro di uno scandalo. – la rintuzzò Collin, con sarcasmo – Forse, sarebbe meglio dire che siete qui a tenere compagnia alla vostra vecchia zia. O creare un alone di mistero sulla vostra permanenza in questo luogo.”

“Credo che dire di essere costretta a tenere compagnia a mia zia sia la cosa più saggia. Zia Serafina è avanti negli anni. Non c’è niente di strano se mi hanno mandata qui a farle compagnia per qualche mese.” disse Charlotte. Ma poi aggrottò la fronte. "Credete che qualcuno crederà al fatto che preferisco stare con mia zia, piuttosto che godermi la mia stagione di balli?”

"E voi che ne pensate? – indagò Collin – E’ davvero una tortura per voi rinunciare agli eventi di quest’anno?"

"Assolutamente no! – esclamò Charlotte, con convinzione – Evitarli è ciò che speravo." Arricciò il naso. "Nel migliore dei casi la testa di quelle nobildonne è vuota, nel peggiore è piena di stupidaggini!” Chinò il capo. “Suppongo di apparirvi saccente e presuntuosa.”

"Forse un po' – ammise l’uomo – ma in linea di massima sono d’accordo con voi. Anch’io non amo affatto questi…eventi sociali. Anzi, cerco sempre di evitarli."

E in effetti Collin non riusciva a ricordare quando era stata l’ultima volta che aveva partecipato ad una festa. Sua sorella organizzava spesso balli e cene, ma lui aveva sempre declinato l’invito, adducendo una scusa o l’altra. Alla fine la sorella aveva smesso di invitarlo.

"Quindi comprendo perché preferiate starvene in un posto come questo ad ammuffire.” aggiunse, per stuzzicarla.

"Immagino che sarà proprio quello che farò qui. – disse lei, ignorando l’allusione – Probabilmente Zia Serafina non lascia spesso il suo palazzo."

"Non saprei – disse lui – Sono anni che manco da Peacehaven. Avevo lasciato le mie proprietà nelle mani di un amministratore ma…è dovuto andare in pensione.” Era dichiaratamente una bugia, ma ammettere la verità lo metteva in imbarazzo. Collin non voleva che quella bella signora venisse a conoscenza della sua incapacità nel gestire i propri affari. Avrebbe dovuto occuparsi lui, delle sue proprietà, e non demandare i suoi doveri ad altri.

“Nei prossimi giorni sarò molto indaffarato a rendermi conto di come vanno le cose, nella mia tenuta, e a decidere il da farsi. E’ probabile che mi cercherò un nuovo amministratore.”

Ma forse non era quella la cosa giusta da fare. Meglio occuparsene in proprio e non affidare mai più la proprietà a mani estranee. Gli bruciava ancora di essersi fatto buggerare da un bifolco qualsiasi. Aveva già parlato con le autorità e ormai sembrava certo che quel bastardo avesse lasciato l’Inghilterra.

"Come mai non siete tornato prima?" chiese Charlotte.

"I miei genitori …" Collin deglutì a fatica. Non gli piaceva parlarne. “Sono morti entrambi in questa tenuta. E non riuscivo ad avvicinarmi a questo posto senza soffrire." Accompagnare Charlotte dalla zia gli avrebbe concesso di evitare ancora per un po’ quel momento.

"Avete tutta la mia comprensione – disse Charlotte, dolcemente – Amo i miei genitori e, anche se adesso sono parecchio stizzita con loro, non riesco a sopportare l’idea di poterli perdere." Distolse lo sguardo e lui si chiese a cosa stesse pensando, così intensamente. Ma tacque.

"Quindi, non avete idea di quanto tempo rimarrete qui. –continuò Collin – I vostri genitori non vi hanno detto, per caso, quanto tempo sarebbe durato il vostro…esilio?” Voleva indurla a parlare. "Di sicuro, voi vi sarete fatta un’idea.”

Charlotte sospirò. “Mia madre mi è sembrata molto felice di punirmi. Oserei dire, che ci abbia provato gusto. Oh, quando vuole sa essere proprio una megera!” Scosse la testa. “Da bambina, ero convinta che tra i due mio padre fosse quello più severo. Diamine, da giovane lavorava come spia! Ma è un agnellino, in confronto a mia madre!”

Collin aveva dimenticato che il marchese di Seabrook aveva lavorato per Sua Maestà. Durante la guerra era stato una spia famosa.

Chiaramente, quella cosa non era a conoscenza di tutti. Tempo prima, Collin aveva casualmente ascoltato una conversazione tra il marchese e suo cognato, il conte di Shelby. Il padre del Conte era stato collega e amico del marchese, e quella volta a Seabrook stavano ricordando le loro imprese.

“Credo che tutte le madri siano brave nell’infliggere punizioni ai propri figli. Almeno, quelle che ci tengono a loro. "

"Mi spiace… – mormorò Charlotte – Continuo a parlare dei miei genitori mentre voi ancora piangete per la perdita dei vostri. E’ una terribile mancanza di tatto, da parte mia. "

"Non doletevi. – la rassicurò Collin – E’ passato tanto tempo, ormai."

Chiaramente, mentiva. Non importava quanti anni fossero passati, il dolore per la loro perdita era ancora vivo e bruciante nel suo cuore. Ma non voleva farla sentire in colpa. Tuttavia, era carino da parte di quella ragazza preoccuparsi per lui… Lo faceva sentire…amato.

La Volpe In Rosso

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