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A MALVINA

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Vedesti, o Bella, il mar su cui combatte

Il vento e la tempesta, che la nave

Scorge in porto festante? Se improvvisa

Su lui s'asside la fatal bonaccia,

Ne dispera il nocchiero, e gela e trema,

Che invan raggiunge coll'ansio desìo

Le patrie sponde, i pargoletti figli,

E della sposa l'iterato amplesso.

Tale è il mio core: in lui convien sia desta

Degli affetti la pugna ognor: se tace,

La vita è muta in lui, e l'armonia

Immortale del bello e la favella

Ch'entro si sente, e sembrano parlarne

Il ciel, la terra e l'onde e l'erbe e i fiori.

S'ei tal sortiva, e se innocente affetto

È solo amor fra l'ire torve e crude

E i pensier tristi del bel mondo, amore

Accolgo or sol. Soave ei più mi versa

Per entro il seno il nèttare di vita;

Di voti cari ed innocenti in mente

Ei mi ragiona: a nuovi voli addestra

L'accesa fantasia, e finchè il gelo

Dell'età nol costringe, dalle gravi

Di Sofia cure, cui solo son care

Le insonni notti e la squallida face

Che del pensiero invan svelar procaccia

L'oscuro inestricabil labirinto,

Amor m'invola, e fra le vie rapisce

Del dolce immaginar, e in queste carte,

Cui fia talun segni di fola, sparge

La mestizia onde il core ognor si veste.

Tu, vezzosa MALVINA, a cui le Grazie

Vaghe composer la gentil persona,

Nido d'alma più bella, un dì beasti

De' tuoi sguardi le piagge erme e romite

Ov'io già corsi colla mente, e pinsi

A' meno austeri, lagrimose scene,

Costumi antiqui e ferità degli avi

E novelle sventure. Ecco alle labbra

Schive di succhi estranei, che di miele

Asperso il vaso, agl'Itali palati

Ministra amaro tosco il secol novo

E ogni senso di bello estingue, ardiva

Io l'onda pura appresentar del fonte

Nel cratere di creta. Già me avea

Mosso a libarlo amor de' prischi tempi

Alla tomba prosteso, ove sdegnoso,

Pel culto ora negletto, il cener giace

Di quegli ausonj cigni il cui divino

Canto pur vinse i secoli canuti,

E dolce ognor nell'anima risuona.

Cui più la voluttà soave alletta

Della tristizia, amai di fresche valli

E leggiadre selvette e ameni colli,

Mal noti, pinger la quiete e il bello

Onde son dilettosi, se nol cinse

Il rozzo parlar mio di fosca nube.

Se fra que' monti ancor Bella ti giovi

Il piè inoltrar curioso, allor che l'ali

Volger vorrai de' lumi ove s'innalza

La Pianta ond'io parlava, sulle rose

Del tuo labbro avverrà forse baleni

Un sorriso, più grato assai dell'alba

Nella stagion novella: a quel sorriso

Vedrai d'intorno rallegrarsi il poggio

E rifiorir la valle, ed inviarti

Collo stormir de' rami il conscio bosco

Sull'aure un noto nome e i miei sospiri.

Nè tu vorrai tacciar di dura nota

Questi studi e d'inutili: talora

Giova lo spirto da severe idee

Richiamar fra più liete, onde rinnovi

Lena ed ardir: così fra balze e sassi

Al lasso vïator spesso rinverde

Le forze un prato ameno. Talor giova

Di soavi blandizie adescar l'alma,

Ed educar di cari affetti il core.

Amor che spesso è di venir sì vago

Dolce a parlar nel volgere soave

De' tuoi bei rai, ed ivi insegna altrui

Con quai saette fera e quai tu annidi

Virtù, per che seder teco si piace

Meglio che in grembo a Venere celeste;

Amor ti porga questi fogli, e s'unqua

Pietà ti mova de' dolenti amanti,

E qual rugiada del mattin ti brilli

La lagrima sul ciglio, ei la raccolga

Sollecito e a versarla ah! tosto voli

Pietoso sul mio cor. Tempri ella alquanto

Il bollor che l'incende e nel mio petto

Un fiume sparga di tutta dolcezza,

E spunti nuova luce a' miei pensieri.

La pianta dei sospiri con alcuni cenni su la vita e su le opere dell'autore

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