Читать книгу La pianta dei sospiri con alcuni cenni su la vita e su le opere dell'autore - Defendente Sacchi - Страница 16

III.

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Marcellina era figlia di Giovanni, che fra i maggiori di Nebiolo teneasi pel più venerabile padre. Innocente come l'agnella che pasceva sul suo pendìo, negletta come la pianta del bosco, cresceva la bella come il fiore di primavera: era pronta e vivace, d'un animo puro e dilicato, vestita di quella soave verecondia, onde natura volle far presente al suo sesso per renderlo più vago e desiato.

La madre di Marcellina essendo lieta di questa unica figlia, la crebbe come si coltiva la bionda spica del campo, era il primo pensiero della sua vita. Sebbene il lavorìo della poca sua terra dovesse solo condursi per le sue e per le braccia del marito, e l'opera della Marcellina potesse riuscir loro a molto sollievo, essa non volle serbarla che alle cure più lievi, e amò meglio sola indurare nelle fatiche.

Mentre i genitori intendevano a rompere le zolle de' campi, a raccorre la matura messe, o andavano per le legne al bosco, Marcellina nella povera capanna, lunge dall'importuna sferza del sole e dalla malvagità della stagione, preparava loro lo scarso desco che offerto dalla mano di lei, riusciva a quegli innocenti condito della più squisita dolcezza. Essa imbandiva pure nella tersa caldaja il cibo più semplice dell'uomo coll'aurea farina del monte; con questa pur facea una maniera di pane, che forse fu quello de' primi uomini, allorchè rozzi come que' di Nebiolo, non conoscevano l'arte di costringere il calore entro cave vôlte di creta, per cuocervi i loro cibi. Marcellina formava colla farina senza lievito un rotondo pane: fatto indi ben riscaldare un largo mattone ch'era base al focolare, ivi il collocava, ricoprivalo di ardenti brage e lasciavalo colà finchè fosse a debita cottura.

Tale è il modo con cui la natura insegnò a que' di Nebiolo a supplire all'arte, e pone tanta squisitezza in questo cibo, che quegli uomini ingenui sporgendomelo, m'accertavano essere assai più saporito di quello che si ministra alle mense cittadine. Assaggiandolo lo innaffiai d'una lagrima, perchè sentiva la sublimità di quegli accenti, mentre quella schietta vivanda non era loro amareggiata dall'assenzio che spargono le cure sociali fino sul più abbietto frusto di pane.

Non io già sogno la felicità de' pastori, non le favole degli abitatori di Arcadia: dipingo i costumi de' rozzi coloni dei nostri colli. Non io già invito gli uomini ad abbandonare le città, onde menare nella solitudine una semplice vita, straniera alle colpe ed ai delitti, che sarebbe vana fola per la lor civiltà: io accenno come quei semplici montanari fra le fatiche e i disagi, gustano la felicità, e certo nella innocenza della loro vita, se invidiano alle nostre dovizie, non sanno che, ottenendole, rinunzierebbero alla pace.

La pianta dei sospiri con alcuni cenni su la vita e su le opere dell'autore

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