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CAPITOLO DUE

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Reid sollevò un braccio come un vigile che stesse fermando il traffico.

“Va tutto bene, signor Thompson,” gridò. “È solo la consegna della pizza.”

L’uomo anziano sul suo prato, con i capelli grigi rasati e il ventre prominente, si bloccò sui suoi passi. Il fattorino della pizza si guardò alle spalle e per la prima volta, mostrò una qualche emozione. Sgranò gli occhi per lo shock quando notò la pistola e la mano appoggiata sopra.

“Sei sicuro, Reid?” Il signor Thompson studiò sospettoso l’uomo con le pizze.

“Sono sicuro.”

Lentamente il fattorino estrasse uno scontrino dalla tasca. “Uh, sono diciotto,” disse, sconcertato.

Reid gli consegno una banconota da venti e una da dieci, per poi prendergli le scatole. “Tieni il resto.”

L’uomo non se lo fece dire due volte. Corse alla sua coupé ancora accesa, saltò dentro e si allontanò con uno stridio di pneumatici. Il signor Thompson lo guardò andare via, con gli occhi socchiusi.

“Grazie, signor Thompson,” disse Reid. “Ma è solo la pizza.”

“Non mi piaceva la faccia di quel tizio,” ringhiò il suo vicino di casa. A Reid piaceva l’anziano signore, anche se riteneva che Thompson avesse preso l’incarico di tenere d’occhio la famiglia Lawson un po’ troppo seriamente. Nonostante ciò, preferiva un eccessivo zelo a un atteggiamento pigro sul lavoro.

“Non si può mai essere troppo attenti,” aggiunse Thompson. “Come stanno le ragazze?”

“Stanno bene.” Reid sorrise con aria garbata. “Ma, ah… quella la deve proprio portare sempre in bella vista?” Indicò la Smith & Wesson al fianco di Thompson.

L’uomo anziano sembrò confuso. “Beh… sì. Il mio permesse per le armi nascoste è scaduto, e la Virginia è uno stato in cui è legale girare armati.”

“… Giusto.” Lui si costrinse a sorridere di nuovo. “Ha ragione. Grazie ancora, signor Thompson. Le farò sapere se abbiamo bisogno di qualcosa.”

Thompson annuì e poi attraversò in fretta il cortile fino a casa sua. Il vice direttore Cartwright aveva garantito a Reid che l’uomo anziano era molto in gamba; era un agente della CIA in pensione, e anche se mancava dall’azione da più di due decenni era ovvio che fosse lieto, se non persino ansioso, di tornare a essere utile.

Reid sospirò e si chiuse la porta alle spalle. Girò la chiave e attivò di nuovo l’allarme di sicurezza (un gesto che stava diventando un rituale ogni volta che apriva o chiudeva la porta), e poi si voltò per trovare Maya in piedi dietro di lui nell’ingresso.

“E quello cosa è stato?” domandò la ragazza.

“Oh, niente. Il signor Thompson voleva solo salutare.”

Maya incrociò di nuovo le braccia. “E io che credevo che stessimo facendo progressi.”

“Non essere ridicola.” Reid sbuffò. “Thompson è solo un vecchietto innocuo…”

“Innocuo? Porta una pistola ovunque vada,” protestò Maya. “E non pensare che non lo abbia visto mentre ci guarda dalle sue finestre. È come se ci stesse spiando…” Rimase a bocca aperta. “Oddio, sa di te? Anche il signor Thompson è una spia?”

“Santo Cielo, Maya, io non sono una spia…”

In realtà, pensò, è esattamente quello che sei…

“Non ci credo!” esclamò lei. “È per questo che gli chiedi di tenerci d’occhio quando vai via?”

“Sì,” ammise Reid a bassa voce. Non doveva confessarle verità non richieste, ma non aveva senso nasconderle quei dettagli quando le sue ipotesi erano tanto accurate.

Si aspettava che la figlia si arrabbiasse e iniziasse di nuovo ad accusarlo, ma invece Maya scosse la testa e mormorò: “Incredibile. Mio padre è una spia, e il nostro vicino di casa fuori di testa è una guardia del corpo.” Poi, con sua sorpresa, gli gettò le braccia al collo, facendogli quasi cadere le pizze di mano. “So che non puoi dirmi tutto. Volevo almeno una parte della verità.”

“Sì, sì,” borbottò lui. “Sto solo rischiando la sicurezza internazionale per essere un bravo padre. Ora vai a svegliare tua sorella prima che la pizza si raffreddi. E Maya? Non una parola di tutto questo a Sara.”

Andò in cucina, prese qualche piatto e dei tovaglioli, e versò tre bicchieri di gazzosa. Qualche momento più tardi, Sara entrò in cucina, strofinandosi gli occhi assonnati.

“Ciao, papà,” mormorò.

“Ehi, tesoro. Siediti. Dormi male ultimamente?”

“Mmh,” mugugnò vagamente lei. Prese una fetta di pizza e ne morse la punta, masticando piano e con poco entusiasmo.

Reid era preoccupato per la figlia minore, ma cercò di non darlo a vedere. Invece prese una fetta della pizza salsiccia e peperoni. L’aveva quasi portata alla bocca quando Maya intervenne, strappandogliela di mano.

“Che cosa credi fare?” volle sapere la ragazza.

“… Mangio? O almeno ci sto provando…”

“Uhm, no. Hai un appuntamento, ricordi?”

“Cosa? No, è domani…” si interruppe, incerto. “Oddio, è stasera, non è vero?” Si trattenne dal darsi una manata in fronte.

“Certo che lo è,” disse Maya con la bocca piena di pizza.

“E comunque non è un appuntamento. È una cena con un’amica.”

La figlia maggiore scrollò le spalle. “Come dici tu. Ma se non vai a prepararti, arriverai in ritardi per la tua ‘cena con un’amica’.”

Lui guardò l’orologio. Maya aveva ragione; avrebbe dovuto incontrare Maria alle cinque.

“Muoviti, su. Vai a cambiarti.” Lo spinse fuori dalla cucina e Reid corse al piano di sopra.

Con tutto quello stava succedendo e i suoi continui sforzi per evitare di riflettere, si era quasi dimenticato della promessa di vedersi con Maria. Avevano fatto diversi tentativi di ritrovarsi nelle ultime quattro settimane, ma per un motivo o per l’altro i loro piani erano sempre andati a monte; se doveva essere sincero con se stesso, la maggior parte delle volte era stata colpa sua. Alla fine Maria era sembrata stancarsi e non solo aveva programmato l’uscita, ma aveva scelto un posto a metà strada tra Alexandria e Baltimora, dove viveva lei, purché Reid le avesse promesso di vederla.

Sentiva la mancanza della collega. Gli mancava la sua presenza. Non erano solo partner nell’agenzia, ma condividevano un passato, anche se Reid non riusciva a ricordarne la maggior parte. In effetti quasi niente. Tutto ciò che sapeva era che quando era con Maria, aveva la netta sensazione di essere in compagnia di qualcuno che teneva a lui, un’amica, qualcuno di cui potersi fidare, e magari anche qualcosa di più.

Andò all’armadio e tirò fuori un completo che riteneva sarebbe stato adatto all’occasione. Preferiva uno stile classico, anche se era consapevole che il suo guardaroba lo invecchiava di almeno un decennio. Estrasse un paio di pantaloni color cachi, una camicia plaid, e una giacca di tweed con le toppe di pelle sui gomiti.

“È così che ti vuoi vestire?” domandò Maya, facendolo sobbalzare. Era appoggiata allo stipite della porta della sua camera, masticando pensierosa una crosta di pizza.

“Che cosa ha che non va?”

“Quello che non va è che sembra che tu abbia appena finito di far lezione. Andiamo.” Lo prese per un braccio per riportarlo all’armadio, e iniziò a spulciare tra i suoi vestiti. “Accidenti, papà, ti vesti come se avessi ottant’anni.”

“Che cosa hai detto?”

“Niente!” replicò la ragazza. “Ah. Ecco.” Tirò fuori un cappotto nero dal taglio sportivo, l’unico che aveva. “Metti questo, con qualcosa di grigio sotto. O di bianco. Una maglietta o una polo. Liberati dei pantaloni da papà e indossa dei jeans. Scuri. Aderenti.”

Su richiesta della figlia, cambiò l’outfit mentre lei aspettava nel corridoio. Supponeva che avrebbe fatto meglio ad abituarsi a quello strano rovesciamento dei ruoli. Un momento prima era un padre iperprotettivo, quello dopo cedeva agli ordini della figlia furba ed esigente.

“Molto meglio,” disse Maya quando le si presentò di nuovo. “Sembra quasi che tu sia pronto per un appuntamento.”

“Grazie,” replicò, “e non è un appuntamento.”

“Continui a dirlo. Ma se vai a cena e poi a bere con una donna misteriosa che definisci una vecchia amica, anche se non hai mai parlato di lei e noi non l’abbiamo mai incontrata…”

“Lei è una vecchia amica…”

“E, potrei aggiungere,” continuò a parlargli sopra Maya, “è piuttosto attraente. L’abbiamo vista mentre scendeva dall’aereo a Dulles. Quindi se anche solo uno tra voi due sta cercando qualcosa di più di ‘una vecchia amicizia’, questo è un appuntamento.”

“Buon Dio, io e te non parleremo di questo argomento.” Reid sussultò. Ma dentro di sé, si stava facendo prendere dal panico. Ha ragione. Questo è un appuntamento. Aveva fatto talmente tante acrobazie mentali di recente che non si era soffermato a riflettere su che cosa significasse veramente ‘una cena e qualche bicchiere’ per una coppia di adulti single. “Va bene,” ammise, “diciamo che è un appuntamento. Uhm, che cosa faccio?”

“Lo stai chiedendo a me? Non sono esattamente un’esperta.” Maya sorrise. “Parla con lei. Conoscila meglio. E ti prego, cerca di fare del tuo meglio per essere interessante.”

Reid sbuffò e scosse la testa. “Guarda che io sono molto interessante. Quante persone conosci che sanno esporre l’intera storia orale della rivolta di Bulavin?”

“Solo una.” Maya roteò gli occhi. “E non esporre a quella donna l’intera storia orale della rivolta di Bulavin.”

Reid ridacchiò e abbracciò la figlia.

“Andrai bene,” lo rassicurò lei.

“Anche voi starete bene,” disse il padre. “Chiederò al signor Thompson di passare per un po’…”

“Papà, no!” Maya si liberò dal suo abbraccio. “Andiamo. Ho sedici anni. Posso tenere d’occhio Sara per un paio d’ore.”

“Maya, sai quanto è importante per me che voi due non siate da sole…”

“Papà, quell’uomo puzza di olio per motori, e tutto quello di cui vuole parlare sono ‘i bei vecchi tempi’ con i Marines,” disse lei esasperata. “Non succederà niente. Mangeremo la pizza e guarderemo un film. Sara sarà a letto prima del tuo ritorno. Andrà tutto bene.”

“Credo ancora che il signor Thompson dovrebbe venire…”

“Può spiare dalle sue finestre come fa di solito. Staremo bene. Te lo prometto. Abbiamo un ottimo sistema di sicurezza, catenacci a tutte le porte, e so della pistola vicino all’ingresso…”

“Maya!” esclamò Reid. Come faceva a saperlo? “Quella non devi toccarla, hai capito?”

“Non la toccherò,” lo rassicurò lei. “Sto solo dicendo. Lo so che è lì. Per favore. Lascia che ti dimostri che posso farlo.”

A Reid non piaceva l’idea che le sue ragazze rimanessero da sole in casa, neanche un po’, ma Maya lo stava praticamente supplicando. “Ripetimi il piano di fuga,” disse.

“Tutto quanto?” protestò la figlia.

“Tutto quanto.”

“Va bene.” Si lanciò i capelli dietro una spalla, come faceva spesso quando era irritata. Roteò gli occhi al soffitto mentre recitava, con tono piatto, il piano che Reid aveva messo a punto poco dopo il loro arrivo nella casa nuova. “Se qualcuno arriva alla porta d’ingresso, prima devo accertarmi che l’allarme sia armato, e che il catenaccio e i lucchetti siano chiusi. Poi controllo dallo spioncino per accertarmi che sia qualcuno che conosco. Se non lo è, chiamo il signor Thompson e gli chiedo di indagare.”

“E se lo è?” insistette lui.

“Se è una persona che conosco,” ripeté Maya, “controllo dalla finestra di lato, con attenzione, per vedere se c’è qualcun altro. Se c’è, chiedo al signor Thompson di venire a indagare.”

“E se qualcuno prova a entrare con la forza?”

“Allora scendiamo nello scantinato e andiamo nella palestra,” recitò la ragazza. Uno dei primi lavori che Reid aveva fatto, dopo aver traslocato, era stato sostituire la porta della stanzetta nello scantinato con una dall’anima in acciaio. Aveva tre pesanti catenacci e cardini in lega d’alluminio. Era a prova di proiettili e ignifuga, e il tecnico della CIA che l’aveva installata aveva dichiarato che sarebbero serviti una dozzina di arieti della SWAT per buttarla giù. Aveva trasformato a tutti gli effetti la piccola palestra in un bunker improvvisata.

“E poi?” domandò lui.

“Prima chiamiamo il signor Thompson,” disse Maya. “E poi il 911. Se dimentichiamo i cellulari o non possiamo raggiungerli, c’è un telefono fisso nello scantinato pre-programmato con il suo numero.”

“E se qualcuno fa irruzione, e non riuscite ad arrivare allo scantinato?”

“Allora andiamo all’uscita disponibile più vicina,” continuò Maya. “Non appena siamo fuori, facciamo più rumore possibile.”

Thompson era molte cose, ma duro d’orecchio non era fra di esse. Una notte Reid e le ragazze avevano tenuto il volume della televisione troppo alto mentre guardavano un film d’azione, e l’uomo anziano era arrivato di corsa al suono di quello che aveva pensato fossero spari silenziati.

“Ma sarebbe meglio se avessimo sempre i cellulari con noi, nel caso dovessimo fare una telefonata non appena arriviamo in un posto sicuro.”

Reid annuì in segno d’approvazione. Maya aveva recitato tutto il piano, con l’eccezione di una parte piccola ma cruciale. “Hai dimenticato qualcosa.”

“No, non l’ho fatto.” Si accigliò.

“Non appena siete in un luogo sicuro, e dopo aver chiamato Thompson e le autorità…?”

“Oh, giusto. Allora ti chiamiamo subito e ti facciamo sapere che cosa è successo.”

“Okay.”

“Okay?” Maya sollevò un sopracciglio. “Okay significa che ci lascerai da sole per una volta?”

Ancora non gli piaceva. Ma era solo per un paio d’ore, e Thompson sarebbe stato alla porta accanto. “Sì,” disse alla fine.

Maya emise un sospiro di sollievo. “Grazie. Staremo bene, te lo giuro.” Lo abbracciò di nuovo, brevemente. Si girò per tornare al piano di sotto, ma poi le venne in mente qualcos’altro. “Posso farti un’altra domanda?”

“Certo. Ma non ti prometto di darti una risposta.”

“Comincerai di nuovo a… viaggiare?”

“Oh.” Ancora una volta fu preso alla sprovvista. La CIA gli aveva offerto di restituirgli il lavoro, e in effetti il direttore del National Intelligence stesso aveva richiesto che Kent Steele fosse pienamente reintegrato, ma Reid non aveva ancora accettato, e l’agenzia aveva evitato di insistere. La maggior parte del tempo faceva in modo di non pensarci.

“Io… vorrei davvero dirti no. Ma la verità è che non lo so. Non ho ancora deciso.” Si interruppe per un momento prima di chiederle: “Che cosa penseresti se lo facessi?”

“Vuoi la mia opinione?” domandò lei sorpresa.

“Sì, certo. Tu sei davvero una delle persone più intelligenti che conosca, e la tua opinione è molto importante per me.”

“Voglio dire… da una parte, è una bella cosa, sapendo quello che so ora…”

“Sapendo quello che credi di sapere,” la corresse Reid.

“Ma mi fa anche paura. So che ci sono buone possibilità che resti ferito, o… o peggio.” Maya rimase in silenzio per un po’. “Ti piace? Lavorare per loro?”

Reid non le rispose subito. Aveva ragione; quello che gli era successo era stato terrificante, e aveva messo in pericolo la sua vita più di una volta, oltre che quelle delle sue ragazze. Non avrebbe sopportato se fosse successo loro qualcosa. Ma la dura verità, e una delle maggiori ragioni per cui si era tenuto tanto impegnato di recente, era che gli era piaciuto, e che gli mancava. Kent Steele bramava la caccia. C’era stato un tempo, quando era ricominciato tutto, in cui aveva considerato quella parte di lui come una persona diversa, ma non era vero. Kent Steele era solo uno pseudonimo. Lui bramava la caccia. Gli mancava. Era una parte di Reid, proprio come insegnare e crescere le sue due figlie. Anche se aveva ancora i ricordi confusi, facevano parte di lui e della sua identità. Smettere del tutto sarebbe stato come quando un’incidente metteva fine alla carriera di una star dello sport, lasciandola a domandarsi: Chi sono, se non uno sportivo?

Non fu necessario rispondere alla sua domanda ad alta voce. Maya poté vederlo nel suo sguardo distante.

“Com’è che si chiama?” domandò la ragazza all’improvviso, cambiando argomento.

Reid sorrise imbarazzato. “Maria.”

“Maria,” ripeté lei pensierosa. “Va bene. Goditi l’appuntamento.” Poi tornò al piano di sotto.

Prima di seguirla, Reid ebbe un piccolo ripensamento. Aprì il primo cassetto del comò e frugò nel fondo fino a quando non trovò quello che stava cercando, una vecchia bottiglia di costosa colonia che non metteva da due anni. Era stata la preferita di Kate. Annusò il diffusore e sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Era un profumo familiare e muschiato che portò con sé un’ondata di bei ricordi.

Ne spruzzò un po’ sui polsi e se lo diede ai lati del collo. L’odore era più forte di quanto ricordasse, ma piacevole.

Poi… un altro ricordo gli lampeggiò davanti agli occhi.

La cucina in Virginia. Kate è arrabbiata, sta indicando qualcosa sul tavolo. Non è solo arrabbiata, è spaventata. “Perché hai una cosa del genere, Reid?” chiede in tono accusatorio. “E se una delle ragazze l’avesse trovata? Rispondimi!”

Allontanò la visione prima dell’arrivo dell’inevitabile emicrania, ma ciò non rese l’esperienza meno inquietante. Non riusciva a ricordare quando o perché fosse avvenuto quel litigio; lui e Kate avevano discusso di rado, e nel ricordo lei era sembrata spaventata. Doveva aver avuto paura di quello per cui stavano litigando, o forse persino di lui. Ma non le aveva mai dato motivo per temerlo. Almeno non che riuscisse a ricordare…

Gli tremarono le mani quando fu colpito da un nuovo pensiero. Non riusciva a ricordare l’evento, il che significava che doveva essere tra quelli soppressi dall’impianto che gli avevano messo nel cranio. Ma perché una memoria riguardante Kate era stata cancellata insieme all’agente Zero?

“Papà!” Maya lo chiamò dal fondo delle scale. “Arriverai in ritardo.”

“Sì,” borbottò. “Vengo.” Prima o poi doveva affrontare la realtà: o cercava una soluzione al suo problema, oppure quelle memorie occasionali avrebbero continuato a tornare alla superficie, confuse e scioccanti.

Ma ci avrebbe pensato più tardi. In quel momento aveva una promessa da mantenere.

Andò al piano di sotto, baciò entrambe le figlie sul capo e si diresse verso l’auto. Prima di attraversare il vialetto, si accertò che Maya avesse attivato l’allarme dietro di lui, e poi salì sul SUV argentato che aveva comprato un paio di settimane prima.

Anche se era molto nervoso ed emozionato di vedere di nuovo Maria, ancora non riusciva a liberarsi dalla stretta di panico nello stomaco. Non riusciva a evitare di pensare che lasciare da sole le figlie, anche se per poco, fosse una pessima idea. Se gli eventi del mese precedente gli avevano insegnato qualcosa, era che innanzitutto aveva moltissimi nemici che desideravano vederlo soffrire.

Obiettivo Zero

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