Читать книгу Comando Primario: Le Origini di Luke Stone—Libro #2 - Джек Марс - Страница 8
CAPITOLO TRE
Оглавление10:55 a.m. Ora legale orientale
Cimitero nazionale di Arlington
Arlington, Virginia
Luke Stone stava guardando Robby Martinez nella trincea. L’uomo urlava.
“Arrivano da tutte le parti!”
Aveva gli occhi sgranati. Le sue pistole erano finite chissà dove. Aveva preso un AK-47 da un talebano e stava pugnalando con la baionetta chiunque oltrepassasse il muro. Luke lo fissò in preda all’orrore. Martinez era un’isola, una minuscola barca che lottava contro un’onda di combattenti talebani.
E lo stavano sommergendo. Svanì, sepolto sotto i loro corpi.
Era notte. Stavano cercando di arrivare vivi al sorgere del sole, ma quello si rifiutava di sorgere. Avevano finito le munizioni. Faceva freddo e Luke non aveva più la camicia. Se l’era strappata nella foga del combattimento.
Guerriglieri talebani barbuti e col turbante si riversavano oltre le mura di sacche di sabbia dell’avamposto. Scivolavano, cadevano e si gettavano in avanti. Uomini gli gridavano tutt’intorno.
Uno oltrepassò il muro con un’accetta di metallo.
Gli sparò in faccia. Il combattente giacque a terra contro le sacche, con un buco sanguinolento al posto del volto. Non aveva più la faccia, ma ora Luke aveva la sua accetta.
Si gettò tra i guerriglieri che circondavano Martinez, agitando la lama. Il sangue schizzò. Li fece a pezzi, li tagliò a brandelli.
Il suo commilitone riapparve, chissà come ancora in piedi, sferrando colpi con la baionetta.
Luke affondò l’accetta nel cranio di un nemico. Penetrò troppo. Non riusciva più a staccarla. Persino con l’adrenalina che gli scorreva nel corpo non gli rimanevano più forze. La strattonò, e poi di nuovo… e alla fine si arrese. Guardò Martinez.
“Stai bene?”
L’altro scrollò le spalle. Aveva il volto rosso di sangue. La sua maglia ne era satura. Di chi era? Il suo? Il loro? Martinez cercò di riprendere fiato e indicò i corpi che li circondavano. “Sono stato meglio di così. Te lo garantisco.”
Luke batté le palpebre e il suo commilitone svanì.
Al suo posto c’erano file su file di semplici lapidi bianche, a migliaia, che si estendevano sulle basse colline verdi a perdita d’occhio. Era una bella giornata, assolata e calda.
Alle sue spalle, una cornamusa solitaria suonava “Amazing Grace”.
Sei giovani Ranger dell’esercito stavano trasportando un feretro lucido, coperto dalla bandiera americana, verso una tomba aperta. Martinez era stato un Ranger prima di unirsi alla squadra Delta. I soldati avevano un aspetto formale nelle loro alte uniformi e i berretti beige, ma sembravano anche giovani. Molto, molto giovani, quasi bambini che giocassero a travestirsi.
Li fissò. Non riusciva quasi a pensare a loro. Fece un profondo respiro. Era esausto. Non riusciva a ricordare un momento—non quando era stato all’accademia per i Ranger, né durante il processo di selezione per la Delta e nemmeno in zona di guerra—in cui era stato tanto stanco.
Il bambino, Gunner, suo figlio appena nato… si rifiutava di dormire. Né di notte né di giorno. Quindi neanche lui e Becca chiudevano occhio. In più Becca non riusciva a smettere di piangere. Il dottore le aveva diagnosticato la depressione post partum, complicata dalla stanchezza.
La madre della donna era andata a vivere nel cottage con loro. Non stava andando bene. La madre di Becca… da dove iniziare? Non aveva mai lavorato un solo giorno in tutta la sua vita. Sembrava sbalordita che ogni mattina Luke uscisse per affrontasse il viaggio fino ai sobborghi della Virginia, a Washington DC. E sembrava ancora più sconcertata che non tornasse fino a sera.
Il cottage rustico, che si trovava su una splendida scogliera sopra Chesapeake Bay, era di proprietà della sua famiglia da un secolo. La donna ci andava sin da quando era una bambina e ora si comportava come se fosse casa sua. In effetti lo era.
Aveva cominciato a insinuare che lei, Becca e il bambino avrebbero fatto meglio a trasferirsi nella sua casa ad Alexandria. Per Luke la parte più difficile era che gli stava iniziando a sembrare una buona idea.
Aveva preso a fantasticare di arrivare al cottage dopo una lunga giornata e di trovare il posto completamente vuoto. Riusciva quasi a vedersi. Luke Stone apre il frigo, afferra una birra ed esce nella veranda sul retro. È arrivato appena in tempo per godersi il tramonto. Si siede sulla sedia da giardino e…
CRACK!
Luke trattenne un sobbalzo.
Alle sue spalle una squadra di sette fucilieri aveva sparato una raffica in aria. Il suono riecheggiò tra le colline. Poi spararono ancora. E ancora.
Un saluto con ventun colpi, sette fucili alla volta. Era un onore che non meritavano tutti. Martinez era un veterano pluridecorato in due teatri di guerra. Ora era morto per sua stessa mano. Ma non doveva andare così.
Tre dozzine di soldati erano in formazione vicino alla fossa. Una manciata di agenti ed ex agenti della Delta in abiti civili erano poco distanti. Gli uomini della Delta si riconoscevano sempre perché sembravano rock star. Si vestivano come rock star. Erano grossi e muscolosi, in maglietta e blazer, e pantaloni color cachi. Portavano la barba lunga e gli orecchini. Uno portava una larga cresta tagliata corta.
Luke era da solo, in un completo nero, e stava studiando la folla alla ricerca di qualcuno che si aspettava di trovare: un uomo chiamato Kevin Murphy.
Davanti a tutti c’era una fila di sedie bianche. Una donna di mezza età vestita di nero si stringeva a un’altra. Accanto a loro, una guardia d’onore composta da tre Ranger, due Marine e un Aviere stava togliendo la bandiera dal feretro per ripiegarla con cura. Uno dei soldati si abbassò su un ginocchio di fronte alla donna in nero e le presentò la bandiera.
“A nome del presidente degli Stati Uniti,” disse il giovane Ranger con voce rotta, “dell’esercito degli Stati Uniti e di tutta la nazione, la prego di accettare questa bandiera come simbolo di riconoscenza per l’onorevole e fedele servizio reso da suo figlio.”
Luke guardò di nuovo gli uomini della Delta. Uno si era allontanato dal gruppo per incamminarsi da solo su una collina erbosa tra le lapidi bianche. Era alto e snello, con capelli biondi tagliati molto corti. Portava un paio di jeans e una camicia azzurro chiaro. Nonostante la sua magrezza, aveva spalle ampie e braccia e gambe muscolose. Le braccia sembravano quasi troppo lunghe per il suo corpo, come quelle di un giocatore di basket d’élite. O di uno pterodattilo.
Avanzava lentamente, senza alcuna fretta. Sembrava non avesse impegni pressanti. Teneva lo sguardo chino sull’erba mentre camminava.
Murphy.
Luke lasciò il servizio funebre e lo seguì sulla collina. Aveva il passo più rapido dell’altro uomo e guadagnò in fretta terreno.
Martinez era morto per diversi motivi, ma quello più ovvio era che si era fatto saltare il cervello nel suo letto d’ospedale. E qualcuno gli aveva portato una pistola per farlo. Luke era sicuro al cento percento di chi fosse stato.
“Murphy!” disse. “Aspetta un minuto.”
L’altro uomo alzò lo sguardo e si girò. L’istante prima era parso assorto nei suoi pensieri, ma il suo sguardo si fece subito attento. Aveva un volto stretto come quello di un rapace, a modo suo attraente.
“Luke Stone,” disse con voce piatta. Non sembrava felice di vederlo. Non sembrava neanche dispiaciuto. I suoi occhi erano duri. Come quelli di tutti gli uomini della Delta, brillavano di una luce fredda e calcolatrice.
“Facciamo un po’ di strada insieme, Murph.”
Lui scrollò le spalle. “Come preferisci.”
Ripresero a camminare fianco a fianco. Luke rallentò per adeguarsi al passo dell’altro. Avanzarono per un momento senza dire una parola.
“Come te la passi?” gli chiese. Era uno strano convenevole con cui iniziare. Era andato in guerra con quell’uomo. Avevano combattuto insieme decine di volte. Adesso che Martinez era morto, loro erano gli ultimi due sopravvissuti della notte peggiore della vita di Luke. Si sarebbe pensato che tra di loro ci fosse una certa intimità.
Ma Murphy non gli concesse niente. “Sto bene.”
E poi si azzittì.
Nessun “Come stai?” Nessun “È nato tuo figlio?” Nessun “Dobbiamo parlare”. Non aveva voglia di fare conversazione.
“Ho sentito che hai lasciato l’esercito,” riprese Luke.
Murphy sorrise e scosse la testa. “Che cosa posso fare per te, Stone?”
Luke si fermò e gli strinse una spalla. L’altro uomo si voltò, scrollandoselo di dosso.
“Ti voglio raccontare una storia.”
“Fai pure,” replicò Murphy.
“Ora lavoro per l’FBI,” iniziò. “In una piccola sezione distaccata all’interno del Bureau. Raccolta d’informazioni. Operazioni speciali. La gestisce Don Morris.”
“Buon per te,” rispose l’altro uomo. “Lo dicevano tutti, sai. Stone è come un gatto. Atterra sempre in piedi.”
Luke l’ignorò. “Abbiamo accesso a certe informazioni. Le migliori. Sappiamo tutto. Per esempio so che hai disertato all’inizio di aprile e che sei stato congedato con disonore sei settimane dopo.”
A quella dichiarazione Murphy scoppiò a ridere. “Devi aver scavato un po’ per scoprirlo, eh? Hai mandato una talpa a esaminare il mio fascicolo? O te lo sei fatto mandare per email?”
Lui insistette. “La polizia di Baltimora ha un informatore che è un luogotenente di Wesley ‘Cadillac’ Perkins, il capo della gang dei Sandtown Bloods.”
“Interessante,” rispose l’altro. “Il lavoro della polizia deve essere davvero affascinate.” Si voltò e riprese a camminare.
Luke lo seguì. “Tre settimane fa, Cadillac Perkins e due guardie del corpo sono stati aggrediti alle tre del mattino mentre stavano entrando in auto nel parcheggio di un nightclub. Secondo l’informatore, sono stati attaccati da un uomo solo. Un uomo bianco alto e magro. Ha fatto perdere i sensi alle due guardie nel giro di due o tre secondi. Poi ha colpito Perkins con la pistola e gli ha rubato una valigetta contenente almeno trentamila dollari in contanti.”
“Sembra un uomo bianco molto audace.”
“Il bianco in questione gli ha anche preso la pistola, una Smith & Wesson .38 inconfondibile, con uno slogan particolare inciso sul calcio. La forza crea il diritto. Ovviamente né l’aggressione né il furto del denaro e della pistola sono stati denunciati alla polizia. È solo una faccenda che l’informatore ha riportato al suo contatto.”
Murphy non lo guardava.
“Che cosa stai cercando di dirmi, Stone?”
Luke guardò davanti a sé e notò che si stavano avvicinando al cimitero John F. Kennedy. Una folla di turisti era radunata attorno al lastricato per fotografare la fiamma eterna.
A un’estremità della lapide commemorativa c’era un basso muretto di granito. Appena sopra si vedeva il monumento a Washington dall’altra parte del fiume. Incise sul muro stesso c’erano diverse citazioni del discorso di inaugurazione di Kennedy. Una particolarmente famosa catturò l’attenzione di Luke:
NON CHIEDERTI CHE COSA IL TUO PAESE PUO’ FARE PER TE…
“La pistola che Martinez ha usato per uccidersi aveva la frase La forza crea il diritto incisa sul calcio. Il Bureau ha fatto risalire l’arma a due omicidi in stile esecuzione collegati alle guerre per la droga a Baltimora. Uno era l’assassinio e la tortura di Jamie “Il Padrino” Young, l’ex capo dei Sandtown Blood.”
MA CHE COSA PUOI FARE TU PER IL TUO PAESE.
Murphy scrollò le spalle. “Tutti questi soprannomi. Il Padrino, Cadillac. Deve essere dura tenerli a mente.”
Luke continuò. “Chissà come, quella pistola ha lasciato Baltimora ed è finita nel North Carolina, nella stanza d’ospedale di Martinez.”
L’altro uomo riportò lo sguardo su di lui. I suoi occhi erano piatti e morti, come quelli di un assassino. Murphy non aveva ucciso un solo uomo nella sua vita, ne aveva ammazzati a centinaia.
“Perché non arrivi al punto, Stone? Di’ che cosa hai in mente, invece di raccontarmi una favola per bambini su signori della droga e ladri.”
Luke era tanto arrabbiato che avrebbe potuto prenderlo a pugni. Era stanco. Era irritato. Era affranto dalla morte di Martinez.
“Sapevi che Martinez voleva uccidersi…” iniziò.
Murphy non esitò. “Lo hai ammazzato tu,” ribatté. “Hai ammazzato l’intera squadra. Tu, Luke Stone. Hai ammazzato tutti. Ero lì, ricordi? Hai accettato una missione che sapevi essere impossibile perché non volevi revocare l’ordine di un pazzo con un desiderio di morte. Ed è stato solo per… cosa? Fare carriera?”
“Gli hai dato la pistola,” lo interruppe Luke.
Lui scosse la testa. “Martinez è morto quella notte sulla collina. Come tutti gli altri. Ma il suo corpo era troppo forte per rendersene conto, quindi ha avuto bisogno di una spinta.”
Si fissarono per un lungo momento. Per un istante, nella sua mente, Luke fu di nuovo nella stanza d’ospedale di Martinez. Le gambe dell’uomo erano state maciullate e salvarle era stato impossibile. Gliene avevano amputata una sotto il bacino, e l’altra al ginocchio. Aveva ancora l’uso delle braccia, ma era paralizzato dalla cassa toracica in giù. Era un incubo.
Sul suo volto erano colate lacrime. Stava colpendo il letto con i pugni.
“Ti avevo detto di uccidermi,” stava dicendo a denti stretti. “Ti avevo detto… di… uccidermi. E ora guarda questo… questo casino.”
Luke lo aveva fissato. “Non potevo farlo. Sei mio amico.”
“Non dirlo!” aveva esclamato Martinez. “Non sono tuo amico.”
Allontanò quel ricordo. Ritornò su una collina verde ad Arlington, in un assolato giorno di inizio estate. Era vivo e stava per lo più bene. E Murphy era ancora lì, a fargli la sua versione di una ramanzina. E Luke non la voleva sentire.
Erano circondati da una folla, persone intente ad ammirare la fiamma di Kennedy e a mormorare a bassa voce.
“Come al solito,” stava dicendo l’altro uomo, “Luke Stone ha fallito ma è stato promosso. Ora lavora per il suo vecchio ufficiale in comando in un’agenzia di spionaggio civile super segreta. Hanno dei bei giocattoli lì, Stone? Certo che sì, se la gestisce Don Morris. Ci sono segretarie carine? Auto veloci? Elicotteri neri? È come stare in una serie televisiva, non è vero?”
Lui scosse la testa. Era il momento di cambiare argomento.
“Murphy, da quando hai disertato hai commesso una serie di rapine a mano armata nelle città del nord-est. Hai preso di mira membri di gang e spacciatori di droga, dato che sai che hanno addosso grandi quantità di contanti e che non sporgono denuncia…”
Senza preavviso l’ex commilitone gli sferrò un pugno. Si mosse come un pistone, e atterrò in faccia a Luke appena sotto un occhio, facendogli scattare la testa all’indietro.
“Stai zitto,” gli ordinò. “Parli troppo.”
Luke barcollò e crollò contro un turista alle sue spalle. Lì vicino qualcuno ansimò. Fu un suono rumoroso, simile a una pompa idraulica.
Poi fece diversi passi all’indietro, spintonando varie persone. Per un istante provò una sensazione familiare di stordimento. Scosse la testa per allontanare la confusione. Murphy lo aveva colpito bene.
E non aveva ancora finito. Stava avanzando di nuovo.
La gente gli corse accanto su entrambi i lati, cercando di allontanarsi dal combattimento. Una donna sovrappeso, ben vestita in un completo beige con la gonna, cadde sulle lastre di pietra tra Murphy e Luke. Due uomini corsero ad aiutarla. Dall’altra parte della pila di persone, Murphy agitò la testa per la frustrazione.
A destra di Luke c’era la bassa barriera che separava i visitatori dalla fiamma eterna. La oltrepassò per uscire all’aperto sulla pavimentazione di pietra. Il suo avversario lo seguì. Luke si tolse la giacca del completo, rivelando la fondina da spalla e la pistola di servizio al di sotto. Qualcuno gridò.
“Una pistola! Ha una pistola!”
L’altro uomo la indicò con un sorrisetto. “Che cosa hai intenzione di fare, Stone? Vuoi spararmi?”
La folla scese di corsa dalla collina, in un esodo d’umanità.
Lui si slacciò la fondina e la lasciò cadere a terra. Si mosse verso destra, tenendo la fiamma eterna della tomba di John F. Kennedy proprio alle sue spalle e le lapidi piatte della sua famiglia di fronte. In lontananza vedeva il monumento a Washington.
“Sei sicuro di volerlo fare?” gli chiese.
Murphy oltrepassò una delle lapidi dei Kennedy.
“Non c’è niente che desideri di più.”
Luke alzò le mani e puntò lo sguardo sul suo avversario. Tutto il restò svanì. Vedeva l’altro uomo come se fosse stato avvolto da una strana luce, o sotto un riflettore. Murphy aveva le braccia più lunghe, ma lui era più forte.
Gli fece segno con le dita della mano destra.
“Allora fatti sotto.”
Murphy l’aggredì. Finse un gancio sinistro, ma poi gli sferrò un colpo con la destra. Luke lo evitò e si scagliò in avanti con il pugno destro. L’altro glielo allontanò con uno spintone. Ormai erano vicini, proprio come aveva progettato Luke.
All’improvviso si afferrarono a vicenda. Luke gli fece perdere l’equilibrio con un calcio e lo sollevò per aria per poi sbatterlo a terra con un tonfo. Avvertì l’impatto del suo corpo. Le lastre di pietra vibrarono per la violenza dell’urto. La testa dell’altro uomo rimbalzò contro la piattaforma ruvida che ospitava la fiamma di Kennedy.
La maggior parte degli uomini non si sarebbe rialzata. Ma non Murphy. Non un Delta.
Spinse in avanti di nuovo la mano destra. Graffiò il volto di Luke, cercando di trovare i suoi occhi, ma lui gettò la testa all’indietro.
Poi Murphy attaccò con la sinistra, chiusa in un pugno. Gli colpì un lato della testa, facendogli fischiare le orecchie.
Dopo toccò ancora alla destra. Luke la bloccò, ma l’altro si stava già alzando da terra. Gli si gettò addosso ed entrambi caddero a terra all’indietro. Murphy gli era sopra. Il contenitore metallico che conteneva la fiamma, alto quindici centimetri, era appena alla destra di Luke.
Il vento soffiò la lingua di fuoco verso di loro. Lui ne sentì il calore.
Con tutta la sua forza afferrò l’avversario e lo roteò alla sua destra. La schiena dell’uomo colpì la fiamma eterna. Il fuoco gli divampò attorno ed entrambi ci rotolarono sopra. Luke atterrò sul fianco sinistro e usò la spinta per continuare a rotolarsi.
Salì sopra Murphy e gli afferrò la testa tra entrambe le mani.
L’altro gli sferrò un pugno in faccia.
Non ebbe un gran effetto e Luke reagì sbattendogli il cranio sul cemento.
L’ex commilitone cercò di spingerlo via.
Luke gli scaraventò di nuovo la testa a terra.
“FERMI!” gridò una voce profonda e roca.
La canna di una pistola si premette alla tempia di Luke. Lo colpì forte. Con la coda dell’occhio, vide due grandi mani nere strette attorno all’arma, e dietro un’uniforme blu.
Subito alzò le braccia per aria.
“Polizia,” si qualificò la voce, con un po’ più di calma.
“Signore, sono l’agente Luke Stone dell’FBI. Il mio distintivo è nella giacca laggiù.”
Apparvero altre uniformi blu. Lo circondarono, strappandolo da Murphy. Lo spinsero a terra e lo tennero a faccia in giù contro le pietre. Lui si accasciò il più possibile per non offrire alcuna resistenza. Diverse mani lo tastarono per perquisirlo.
Guardò Murphy. Stava subendo lo stesso trattamento.
Spero che tu non abbia un’arma, pensò.
Dopo un istante lo lasciarono alzare in piedi. Si guardò attorno. C’erano dieci agenti di polizia attorno a loro. Poco più in là si profilava una figura familiare. Big Ed Newsam, che li teneva d’occhio da una modesta distanza.
Un poliziotto gli tese la giacca, la fondina e il distintivo.
“Okay, agente Stone, che problema abbiamo qui?”
“Nessuno.”
L’agente indicò Murphy, che era seduto sulle lastre di pietra, con le braccia strette attorno alle ginocchia. Aveva ancora lo sguardo annebbiato, ma stava tornando in sé.
“Chi è quel tizio?”
Luke sospirò e scosse la testa. “È un mio amico. Un vecchio commilitone.” L’ombra di un sorriso gli apparve sulle labbra e si strofinò il volto. Ritirò la mano coperta di sangue. “Lo sa, a volte queste riunioni…”
La maggior parte dei poliziotti si stava allontanando.
Lui gettò un’occhiata all’altro uomo. Murphy non dava segno di volersi alzare. Allora Luke infilò una mano nella tasca della giacca per tirare fuori un biglietto da visita. Lo fissò per un secondo.
Luke Stone, agente speciale.
In un angolo c’era il logo del Gruppo d’Intervento Speciale. Sotto il suo nome c’era un numero di telefono con cui chiamare la segreteria del suo ufficio. C’era qualcosa di assurdamente soddisfacente in quel biglietto.
Lo lanciò verso Murphy.
“Ecco, idiota. Chiamami. Avevo intenzione di offrirti un lavoro.”
Gli girò le spalle e si avviò verso Ed Newsam. Il collega indossava una camicia con una cravatta scura e aveva un blazer appoggiato a una spalla. Era grosso quanto una montagna. I muscoli gli tendevano gli abiti. Aveva capelli e barba neri, e il suo volto era giovanile, senza una sola ruga sulla pelle.
Scosse la testa e sorrise. “Che stai facendo?”
Luke scrollò le spalle. “In realtà non lo so. E tu?”
“Mi hanno mandato per riportarti indietro,” rispose Ed. “Abbiamo una missione. Liberazione di ostaggi. Alta priorità.”
“Dove?”
Ed scosse la testa. “Riservato. Non lo sapremo fino al briefing. Ma ci vogliono pronti a muoverci non appena ci avranno ragguagliati.”
“Quando è il briefing?”
Ed si era già girato per scendere dalla collina.
“Adesso.”