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Emilio Salgari
IL CORSARO NERO
CAPITOLO IX. UN GIURAMENTO TERRIBILE

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Il piccolo drappello, guidato dall’africano che conosceva a menadito tutti i passaggi della foresta, camminava rapidamente per giungere presto sulla riva del golfo e prendere il largo prima che l’alba spuntasse.

Erano tutti inquieti per la nave che doveva incrociare all’entrata del lago, avendo appreso dal prigioniero che il Governatore di Maracaybo aveva mandato dei messi a Gibraltar, per chiedere aiuto all’ammiraglio Toledo.

Temeva che le navi di questi, formanti una vera squadra, formidabilmente armata e montata da parecchie centinaia di valorosi marinai, per la maggior parte biscaglini, avessero già attraversato il lago per piombare sulla Folgore e distruggerla.

Il Corsaro non parlava, ma tradiva la sua inquietudine. Di tratto in tratto faceva cenno ai compagni di arrestarsi e tendeva gli orecchi, temendo di udire qualche lontana detonazione, poi affrettava ancora piú la marcia già rapidissima, mettendosi quasi in corsa.

Qualche altra volta invece faceva come dei gesti d’impazienza, specialmente quando si trovava improvvisamente o dinanzi a qualche gigante della foresta, caduto per decrepitezza o atterrato dal fulmine, o dinanzi a qualche bacino d’acqua stagnante, ostacoli che costringevano i filibustieri a fare dei giri, perdendo del tempo che per loro era diventato troppo prezioso.

Fortunatamente l’africano conosceva la boscaglia e faceva prendere loro delle scorciatoie e dei sentieruzzi, che permettevano di procedere piú speditamente e di guadagnare via.

Alle due del mattino, Carmaux, che camminava innanzi al negro, udí un lontano fragore che indicava la vicinanza del mare. Il suo udito acuto aveva raccolto il rumore del rompersi delle onde contro i paletuvieri della spiaggia.

– Se tutto va bene, fra un’ora noi saremo a bordo della nostra nave, signore, – disse al Corsaro Nero che lo aveva raggiunto.

Il Corsaro Nero

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