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II.
ОглавлениеIn casa degli sposi.
Poco più d'un anno dopo, in una sera fredda di marzo, l'ingegnere Gustavo Aldini scendeva da una vettura di prima classe alla stazione centrale di Torino.
I Varedo erano sotto la tettoia ad aspettarlo.
—Oh zio—disse Diana buttandogli le braccia al collo mentre il professore lo liberava dalla valigia.—Bene arrivato. Perchè non hai portato con te la mamma?
—Capirai, di questa stagione una donna d'una certa età si sposta mal volentieri.
Diana protestò:—Una certa età?… È giovine ancora la mamma.
—Sicuro che non è vecchia… A ogni modo…
—Ma sta bene, non è vero?
—Sì, grazie al cielo, sì… E puoi immaginarti quante cose m'ha detto per te, per tutti e due… A voi altri non domando come stiate; si vede.
—Ci vedrai meglio a casa.
Aldini, venuto a Torino, oltre che per salutare la nipote, anche per certi affari d'una Compagnia assicuratrice a cui egli apparteneva, avrebbe preferito alloggiare all'albergo, ma i Varedo non glielo permisero.
—Se ci fai un tiro simile—dichiarò Diana—non ti guardo più in viso.
Fuori della stazione, il professore aperse lo sportello di un fiacre e vi fece entrare sua moglie e lo zio.—Io vado a piedi—egli disse.—Passo un momento al Circolo filologico… Di qui a mezz'ora sono a casa… Arrivederci… E bada Diana, se viene Bardelli, che aspetti.
Gustavo Aldini fu riconoscente a Varedo d'averlo lasciato solo con sua nipote, e forse anche Diana aveva piacere di trovarsi a tu per tu con lo zio.
Onde, appena la vettura si fu mossa, vi fu un fuoco incrociato di domande e risposte.
—Raccontami della mamma, della nostra casa, degli amici.
—Tutti benone, tutti ti ricordano. Ma parlami di te…
—Io sono contentissima… Ma ci vai ogni giorno dalla mamma?
—Quando sono a Venezia anche due volte al giorno… Dunque sei contenta?… Proprio?
—Proprio… Se non avessi il cruccio della mamma ch'è così sola.
—Non tanto. Riceve sempre qualcheduno, la sera specialmente: le Duranti, Rinardi, Frandini, il dottore Del Marmo, i Nocera… Ma tu non ci annunzi ancora nessuna novità?
—Che novità?
—Via, non far l'ingenua… Le novità che si possono aspettare dalle spose.
Forse Diana arrossì, ma in carrozza era buio, e lo zio non se ne accorse.
—C'è tempo—ella disse.
—Lo so che c'è tempo… Ma spero bene che non ci farete sospirare troppo.
—Non c'è fretta—ripetè Diana. E tornò sul discorso della mamma.—Poteva venire a passar l'inverno con noi, che se pur qui fa più freddo si è meglio riparati che a Venezia…
—Verrai tu a casa nella stagione dei bagni.
—Sì, ci verrò… Ma se la mamma avesse passato l'inverno a Torino non si sarebbe rimaste divise che per pochi mesi… almeno in questo primo anno.
—In agosto si compirà appunto un anno dal tuo matrimonio.
—Vi ho rifatto una visitina ai primi d'ottobre… dopo il viaggio di nozze.
—Meno d'una settimana.
—Non si poteva di più. Alberto doveva esser qui per gli esami.
La vettura si fermò, qualcheduno uscì dalla portineria ad aprir lo sportello e a prender la roba.
Era un quartierino modesto e tranquillo, in Via della Zecca, ceduto a Varedo insieme a gran parte della mobilia da un collega dell'Università che per ragioni domestiche aveva abbandonato l'insegnamento e s'era ritirato in campagna. Solo una camera Diana aveva voluto arredar tutta di nuovo secondo il gusto suo, ed era la camera destinata ai forestieri, i quali però, nel pensiero di lei, non dovevano esser che la sua mamma e lo zio Gustavo.
—Per mia sorella va egregiamente—disse l'ingegnere quando la nipote ve lo accompagnò,—per, me è troppo; Non avevi un bugigattolo dove mettermi? Sai ch'io ho abitudini quasi spartane.
—Se tu fossi venuto con la mamma—rispose Diana—certo che non mi sarebbe stato possibile d'accomodarti bene, e forse avrei dovuto lasciarti andare all'albergo… Ma poichè sei qui solo e sei il primo che venga a farmi una visita (ella sottolineò la parola primo) voglio offrirti il meglio che ho.
Ella accennò ad andarsene.—T'aspetto nella stanza vicina, ch'è il nostro salotto da pranzo.
—Vengo con te. Mi fai vedere tutto l'appartamento.
Diana si mise a ridere.—È presto fatto. Ma non prendi prima qualche cosa?
—Senti, ho pranzato benissimo alla stazione di Milano, e non ho bisogno di nulla.
—Una tazza di brodo?
—No, grazie… Prendete il the voi altri la sera?
—Sì.
—Ebbene, lo prenderò con voi quando sarà tornato a casa tuo marito.
—Come credi.
Diana condusse lo zio nella camera nuziale, nello studio di Varedo, e in quello che doveva essere il salotto da ricevere, ma che in realtà non era che un'appendice dello studio, ingombro di libri e di carte. E dei libri ce n'erano da per tutto, perfino nel gabinetto da toilette degli sposi. Fu anzi lì, presso lo specchio davanti al quale Diana si pettinava, che l'ingegnere gettò l'occhio sopra un opuscolo legato in pergamena con fregi d'oro.
—Che roba è questa?—egli chiese.
—Tò, non lo conosci?—esclamò ella alquanto maravigliata.—Ce n'è una copia anche dalla mamma… senza la dedica però, che fu fatta stampare apposta per me.
Ed ella porse allo zio il libricciuolo.
—Adesso vedo—disse l'ingegnere Aldini.—È la conferenza di Varedo sul dovere.
—Sì… Guarda alla prima pagina.
—Alla mia Diana il giorno delle nostre nozze—lesse lo zio Gustavo.
Diana spiegò:—È stata una sorpresa. Ho trovato il libro nella mia borsa da viaggio… Non ne sapevi nulla?
—No davvero.
—Fu un pensiero gentile.
All'ingegnere pareva invece una pedanteria insigne, ma non volle mortificar la nipote, e si contentò di domandar sorridendo:—E rileggi la conferenza anche quando ti pettini?
—Cattivo zio!… Sempre un po' canzonatore.
—Via, via—replicò Aldini in tono scherzevole—chiamatemi presto a far da padrino a un bel maschiotto… Anche quella è una parte del vostro dovere.
Poi, nel salotto da pranzo, mentre Diana rifondeva lo spirito di vino sotto la teiera, lo zio ripigliò le sue interrogazioni.—E come passi le tue giornate? Come passi le sere? Hai molte conoscenze?
—No, non molte… Ma non m'annoio. Son sempre occupata.
—Ti alzi presto?
—Alle otto, otto e mezzo… Attendo alla casa; do gli ordini per le spese… Sono diventata una buona massaja… non lo credi?
—Anzi me ne rallegro.
—Così arrivan le undici ch'è l'ora in cui Alberto torna dall'Università… Prima di mezzogiorno si va a colazione… Dopo si lavora insieme…
—Come sarebbe a dire?
—Alberto studia; io ricopio i suoi manoscritti, gli correggo le bozze di stampa, faccio dei sunti per lui…
—Sunti di libri scientifici?
—Già. Non capisco mica tutto, ma a forza di volontà riesco a raccapezzarmi.
—Dunque, copiando manoscritti, correggendo stampe, facendo sunti, tu fai venir l'ora di pranzo?
—No, verso le sei usciamo spesso con Alberto per una passeggiata sotto i Portici o al Valentino, secondo il tempo… Alle otto si pranza.
—E dopo?
—Dopo si esce di nuovo per un'oretta… Qualche volta si fa una tappa al Caffè Romano.
—Non andate mai a teatro?
—Ci si va, ma di rado, perchè Alberto non ama perder tutta la sera.
—Anche la sera lavora… o piuttosto lavorate insieme?
—Si lavora, si chiacchiera, si prende il the.
—Sempre soli?
—Di tratto in tratto capita questo o quel collega di mio marito… o una vicina… E poi, c'è Bardelli… Quello non manca.
—Chi è Bardelli?
—È il braccio destro di Alberto. È uno studente laureato da poco in giurisprudenza e che aspira a entrare nell'insegnamento…. Bravo e buono… Si getterebbe nel fuoco per mio marito… Lo vedrai… un tipo unico… Pare un bimbo.
—E—seguitò lo zio—il pianoforte non lo apri mai? Dov'è?
—È di là, nel salotto da ricevere, seppellito sotto i libri… Lo apro solo a lunghi intervalli… Alberto non è appassionato per la musica.
—Così m'immagino che non si parlerà neanche più di quelle tue esercitazioni letterarie, di quelle novelline, di quei bozzetti…
—Figurati!—interruppe Diana—Non oso rilegger neppur io i vecchi manoscritti.
—Li hai portati con te?
—Mi son trovato un quaderno in fondo alla valigia. Ma Alberto non ne sa nulla… Egli odia la cosidetta letteratura amena.
—E tu?
—Io faccio il mio dovere di moglie savia cercando d'uniformarmi ai gusti di mio marito.
Ella si chinò sulla teiera; Aldini non insistette. S'era contenta lei, o che gli era lecito di tormentarla con osservazioni inopportune? Certo che molte cose gli parevano strane: e ch'ella si acconciasse con animo sereno alla soppressione della propria personalità, e che la vita impostale da Varedo potesse appagarla, e che questo freddo pedante ne avesse veramente conquistato il cuore, ma, in fine, s'era contenta, s'era felice?
Con gli occhi intenti nella sua teiera, Diana sussurrò:—L'acqua bolle.
E diede un'occhiata all'orologio.—Alberto dovrebb'esser qui.
—Ha l'abitudine di farsi attendere?
—No, è puntualissimo… Tanto puntuale che verso il the anche per lui.
In fatti Varedo entrava di lì a un minuto, tirandosi dietro un giovinetto piccolo di statura, senza un pelo di barba, dai movimenti impacciati, dal vestire dimesso.
—Avanti, Bardelli, avanti—disse Diana tendendo cordialmente la mano al factotum di suo marito. E si affrettò a presentarlo allo zio.—Il dottor Eugenio Bardelli, un professore in erba.
—Oh—fece il presentato divenendo rosso come un papavero.
Il professore mostrò a Bardelli una sedia.—Si accomodi… Le dò queste bozze corrette… Scusate, veh… Ma si tratta d'un articolo che deve comparir domani nella Rassegna giuridica.
—Ah, quello sul Diritto ateniese?—osservò Diana.
Gustavo Aldini guardò sua nipote con uno stupore doloroso. Come gliela riducevano, quella figliuola!
Ella intanto chiedeva a Bardelli:—Vuole una tazza di the?
—No, grazie… Non dormirei più.
—Un bicchierino di Marsala?
—Se mi dispensa mi fa un piacere.
—Un biscottino?
—Nemmeno… Ho pranzato tardi.
—Dio, che uomo incorruttibile sarà!
—Scusate—ripetè Alberto, mentre, sorseggiando il the, correggeva le stampe con la matita.
Terminata la revisione, passò ogni cosa a Bardelli.
—Mi fido di lei. Le porta in tipografia subito.
—Immediatamente—rispose il giovine alzandosi dalla sedia. Chiese a
Diana se aveva comandi, e con molti inchini si accomiatò.
—Povero Bardelli!—disse la signora.—Si abusa di lui.
—No, no. È contentissimo di servirci…. E se l'anno venturo, come spero, lo nominerò mio assistente, non potrà lagnarsi d'aver perduto il suo tempo.
—Quanti anni ha?—domandò l'ingegnere.—Ne mostra meno di venti.
—Ne avrà ventitre sonati—rispose Varedo.
—Ed è già un'arca di scienza—affermò Diana.
Il professore sorrise.—Un'arca di scienza è troppo…. Ma è studiosissimo.
Diana si rivolse allo zio.—Ti farò conoscere anche i fratelli, anche la madre… È una famiglia esemplare.
—Nei pochi giorni che son qui me la lascerai per qualche ora tua moglie?—disse l'ingegnere ad Alberto.
Questi assentì con bastante disinvoltura.
—Quando crede.
Rimasero intesi che Aldini sarebbe venuto a prendere la nipote ogni giorno dopo colazione (perchè la colazione egli non s'impegnava a farla con loro) e che più tardi, fra le cinque e le sei, si sarebbero incontrati con Alberto o sotto i portici o altrove.