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I TURISTI MISTERIOSI I.

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La troppo intensa partecipazione alla vita febbrile della nostra epoca guerresca e rivoluzionaria, ci costrinse, ai primi di agosto, a prenderci quindici giorni di assoluta vacanza. Il primo treno in partenza dalla stazione di Milano verso un porto di mare, alla ricerca di un'isola piacevole e fresca.

Napoli. Banchina dell'Immacolatella. Le quattro del pomeriggio. Mancano pochi minuti alla partenza del piroscafo per Capri. Odori ruvidi e selvaggi di carbone, catrame, sterco, carrube e aranci collaborano colla fermentazione bollente del mare. Atmosfera di lana scottante. Sul ponte troviamo a stento due posti che ci permettono di sudare comodamente fra un deretano di popolana e un napoletano sbarbatissimo, vestito all'inglese, che ostenta un accento perfetto nel parlare francese.

Il mare gonfio d'oro accecante. Afa. Abbiamo la sensazione di trovarci nel letto dorato di Desdemona sotto i cuscini e i pugni del negro Otello.

Ansia crescente. Desiderio di tuffarsi nel fresco della velocità, verso l'indaco del golfo liscio, ricamato di scie e triangoli stanchi di vele. Se non si parte subito avremo fatalmente un colpo di sole. Sopraggiungono invece dei nuovi viaggiatori sbuffanti, agitati, rumorosi, elegantissimi, strani, affannosamente accorati di non trovare più un posto da sedere.

Sono dieci o dodici uomini d'età diversa, evidentemente ricchi, ma dai modi insoliti e tutti legati da un incomprensibile interesse comune.

Fra di loro una giovane signora elegante, alta, fine, snodata nella lieve e morbida toilette nera, sotto l'ala fuggente di un magnifico cappello nero: viso pallido delicato, bocca sensuale un po' grande, occhi scuri ma brillanti, pieni di un'intelligenza allegra. Indoviniamo subito suo marito, Paul De Ritten, bellissimo giovane, snello, occhi azzurri sotto i capelli biondi ondulati, ch'egli ricompone di tanto in tanto con le mani fine, aristocratiche, cariche di anelli antichi. Ritto davanti a noi indica e spiega ai suoi amici le grosse mine galleggianti fra le quali il piroscafo naviga ora cautamente.

A cento metri sulla nostra destra ci segue un cacciatorpediniere, lucido, metallico, geometrico, grondante di luce.

La velocità non ci dava frescura. Sonnecchiavamo dalla noia quando ci si avvicinò uno degli ultimi viaggiatori sopravvenuti, il conte Ricard, giovane, grasso, bruno, mellifluo, pettinatissimo, modi untuosi. L'avevamo conosciuto e ritrovato spesso nei centri artistici europei, senza domandarci mai chi era e se realmente ci piaceva. Utilissimo però: volle presentarci ai suoi amici e alla bellissima Contessa De Ritten. Questa sembrava spostata fra quegli uomini, trascurata. Suo marito non le rivolgeva quasi mai la parola.

Una frase colta a volo aumentò per noi il mistero che avvolgeva tutta la comitiva: “Ma le donne proprio non ci volevano: il conte de Ritten è stato poco serio, poteva lasciare la sua signora a casa„. Parlava così, concitatamente, il barone Truffard, tricheco vestito di bianco, grosso viso ultra violetto, corpo straripante viscido. Si alzò faticosamente. Raggiungemmo insieme il gruppo dei suoi amici che discutevano animatamente pro e contro un articolo della Tribuna sulla questione Dalmata.

— Andate a Capri per riposarvi? domandammo a Ricard.

— No, si tratta di una riunione politica.

— Un congresso?

— No qualche cosa di molto più importante. Vi spiegherò tutto domani. Quel magro, miope, è un valentissimo musicista ebreo inglese, figlio di un ricco banchiere della Rue Saint-Honorè, Jean Cohn. Dietro di lui quel tipo d'abatino tutto curve e moine, dalla grossa bocca viziosa, e dagli occhi sfuggenti è il giovane poeta Guido Pietrachiara, umbro, ricco, un certo ingegno.

Il piroscafo rallentava sotto le alte rocce a terrazze di Sorrento, giallastre, vecchie sulla morbidezza giovanile, sana e carnale del mare troppo azzurro. Lassù le balaustre straripanti di vegetazioni invitavano agli amori facili. Tutti si sporgevano al parapetto del piroscafo sul vociare dei barcaioli napoletani.

Con voce languida e un po' rauca la Contessa De Ritten diceva:

— Che paese meraviglioso! Bisognerebbe non aver fatto ancora il proprio viaggio di nozze, per venirlo a far qui.

— Puoi farne un secondo, con un altro, se lo desideri — rispose De Ritten con una punta d'ostilità.

— Oh no! È troppo tardi! Ora non posso più pensare che al caro marmocchietto nostro.

Il piroscafo si voltò per fendere di nuovo l'alito soave del golfo opprimente di delizia. La prua copriva e scopriva sospirando il profilo nudo dell'Isola di Capri, perlacea, coricata, inutile e assurda all'orizzonte.

Tutti tacquero, seduti, ripresi a poco a poco dal torpore solare.

Si sentiva soltanto borbottare il grosso deputato russo Markoff, apopleticamente seduto, viso gonfio, pizzo e baffi biondi, stiffelius nero fuori moda, pancia scoppiante tra le coscie enormi divaricate, piccoli occhi celesti, irritati dalle lentezze del cameriere che gli portava ora la quarta ghiacciata di caffè. La prese e la tenne con le due mani sotto il mento religiosamente.

— Ho detto portare presto presto da bere... Voi me non venire mai!... Voi servire sempre altra gente prima di me!

Poi disse al suo servitore:

— Ora che scenderemo, prima d'andare all'Albergo, bisogna mandare dispaccio al nostro ambasciatore a Roma.

L'isola dei baci: Romanzo erotico-sociale

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