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NOVELLA III.[22]

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I TORDI-MERLI.

Antonio Guidi era un assai valente calzolaio di Pistoja, che, facendo buoni guadagni, volle accasarsi, e sposò una onesta fanciulla di Prato, buona, timorata di Dio, e martire del lavoro, se non quanto era un poco ciarliera e caparbia; con la quale visse in concordia due o tre anni, andando sempre le loro cose di bene in meglio, e facendo vita molto agiata e lietissima, raramente turbata da' piccoli diverbj che ci sono sempre tra moglie e marito: tanto che erano l'invidia de' loro pari. Accadde una volta che ad Antonio furon mandati a regalare da un suo ricco avventore[23] due bei mazzi di tordi, e un par di fiaschi di vino eccellente. Ricevuta questa grazia di Dio, egli la mandò súbito alla moglie per un ragazzo di bottega; e dille che i tordi gli faccia arrosto, e alle due sarò a casa[24]. Scoccate le due, Antonio va a casa, e appena salite le scale, dato un bacio alla moglie, la prima cosa domandò:

—È all'órdine?

—E la Lena:

—Scodello súbito.—Lavatosi Tonio le mani e il viso, si mettono a tavola, e cominciano a mangiare, ragionando, come solevano, del più e del meno in pace e in grazia di Dio, innaffiando spesso il cibo con un bicchieretto d'un certo vino, che era proprio di quello[25]. Finito di mangiare il lesso:

—Oh, disse Tonio, sentiamo un po' questi tordi! Lena, vágli a sfilare[26].

—Tordi? rispose la Lena: merli tu vorra' dire.

—Dico tordi, io: e che arnioni che avevano.

Intanto la Lena era ita in cucina, e torna co' tordi così croccanti e fumanti che dicevano mángiami mángiami: nè gli sposi se lo lasciarono dir due volte, e cominciarono a darci dentro con nobile gara.

—Io, disse Tonio, ho mangiato poche volte tordi così saporiti.

—E batti co' tordi! rispose la Lena; ti dico che son merli.

—Tu se' una merla! ma che mi vuoi dare ad intendere? Sono tordi, e anche buoni.

—Come c'entra la merla? non importa canzonare. Del resto io son figliuola d'un famoso cacciatore, e ho visto più tordi e più uccelli che tu non hai capelli in capo: me ne avrei a intendere, eh? Sta certo che son merli.

—Scusa, va' a pigliar le penne.

E la Lena va, e torna con le penne.

—Lo vedi, ripiglia Tonio, non sono brizzolate? I merli le hanno nere.

—O brizzolate o non brizzolate, son merli.

—Guarda, ecco qui la lettera di chi me gli manda; guarda: due fiaschi di vino e dodici tordi.

—È uno sproposito; doveva dirci merli.

—E tu dici che se' figliuola d'un cacciatore? Si vede che da tuo padre ci hai imparato poco, perchè questi son tordi tordissimi.

—E séguita a trattar male e a canzonare! È questo il modo di trattare una moglie? Già me L'avevan detto prima di sposarti che tu eri un omaccio! Ora non gli basta impugnare la verità conosciuta, negando che questi son merli; vuole anche maltrattare!

—Ma chi ti maltratta, poco giudizio? Tu maltratti, chè m'hai detto che sono un omaccio. Se avessi dovuto dar retta io alle ciarle, non t'avrei sposato di certo. Ma ora questi discorsi non c'entrano: la questione è su' tordi, e questi son tordi.

—Che ciarle? disse allora la Lena tutta inviperita, e rizzandosi con le mani sui fianchi. Che puoi tu dire, o tu o altri, del fatto mio? Guardate, per una picca, in che ginepraj entra, questo briacone! Se la sbòrnia non ti fa distinguere i merli da' tordi, ci ho colpa io?

Insomma di parola in parola si riscaldò tanto la disputa, che Tonio, il quale aveva un po' bevuto, mise le mani addosso alla Lena, la quale però, benchè tutta lívidi, badava sempre a dire che erano merli. Questa lezione per allora fece buono: si rimpaciarono presto, e de' merli non si fiatò più: ma venuti l'anno dopo al giorno stesso che seguì il litígio, ed essendo Tonio e la Lena a tavola tutti d'amore e d'accordo; la Lena a un tratto:

—Ti rammenti, Tonio?... finisce l'anno.

—L'anno di che?

—Gua', de' merli.

—Ah, già: ma guarda che dirizzone tu pigliasti! E' dovevan esser merli per te!

—Dovevan essere? erano, tu ha' a dire.

E d'una parola in un'altra si rinnovò la tragedia dell'anno passato; e così avvenne per più anniversarj. La buona Lena era di complessione delicata, e non troppo ben disposta di vísceri; per la qual cosa spesso era costretta di ricorrere a medici ed a medicine: e Tonio ne stava dolente, perchè, da piccosa in fuori, e un po' capricciosa, era una buona moglie, e le voleva bene davvero, nè quelle sfuriate periòdiche erano sufficienti a scemarglielo. Una volta, nel principio dell'autunno, la malattìa si affacciò più minacciosa, ed il medico storceva fieramente la bocca ogni volta che le andava a far visita, nè celava i suoi timori al povero Tonio, il quale non sapeva darsene pace. Ogni giorno la malattía si faceva più grave e più paurosa, e ben presto ogni speranza si fu dileguata: e la povera Lena, sempre in perfetta conoscenza, come sono generalmente sino all'ultim'ora i malati di consunzione, si era già rassegnata a morire. Un giorno, verso la fine di ottobre, avuti che ebbe i sacramenti, chiama lì al capezzale il marito, e prendendolo amorosamente per mano:

—Tonino mio, gli dice con quel filo di voce che le rimaneva, io ti lascio; ci rivedremo in paradiso. Ti ho voluto sempre bene; e ti chiedo perdono, se qualche volta ti ho dato de' dispiaceri.

Il povero Tonio piangeva come una vite tagliata, e tra' singhiozzi diceva:

—Lena mia, che dici di dispiaceri? tu se' stata sempre buona, e sempre ti ho voluto bene. E se qualche volta... ti chiedo perdono io.

—Ah, di quei merli eh? Si avvicina il tempo, ed io sarò morta. Sì, ti perdono ogni cosa. Ma ora ne sei persuaso che erano merli?

—Sì, via, povera Lena, eran merli.

La Lena fece un sorriso, porse la bocca da baciare al marito, e in quel bacio spirò.

Questa Lena è símbolo dei Dinisti; e anch'io, per non vederne morir qualcheduno, bisognerà che all'ultimo dia al capo Dinista un bel bacio, esclamando:

—Sì, povera Lena, eran merli.


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