Читать книгу Il Re prega - Ferdinando Petruccelli della Gattina - Страница 5

III.

Оглавление

Indice

L'esodo dei pellegrini.

Il nome vero di Bambina era qualche cosa come Teresa, Luisa o Cristina, un nome senza colore, che non risvegliava in chi l'udiva alcuna idea, che poteva designare una duchessa come una cuciniera, una santa come una puledra, una cagnola o una damigella. Il nome di Bambina le era restato in seguito dell'abitudine di sua madre e di suo fratello che l'addimandavano così dall'età più tenera, abitudine che Don Diego non aveva dismessa ed a cui gli altri si erano conformati. Il nome, in realtà, esprimeva la cosa.

Quantunque dell'età di diciassette anni, quantunque di una taglia svelta, Bambina aveva l'aria d'una fanciulla. Ella era sì piccina, sì carezzevole sì tenera, sì svegliata! Le fanciulline che han perduta la madre e che sono allevate da uomini che l'amano, se non acquistano assolutamente una tempra forte ed uno stampo virile, diventano doppiamente femmine. Se l'affezione rude e profonda dell'uomo non le sminuisce, essa dà loro forbitezza e calore, come i raggi dei Tropici che, non avendo disseccato un fiore, gli han dato il colorito, il profumo, lo splendore ad un grado supremo. Don Diego, orbo delle delizie e delle leziosaggini del mondo, aveva riportata tutta la sua tenerezza cumulata sulla testa di questa piccola sorella. Aveva avuto per lei l'inesauribile attenzione di una madre, la camerateria di un fratello, l'amore ponderato e previdente di un padre. Questa triade d'amore—o per meglio dire questa triplice faccia dell'amore—sviluppando più precocemente la giovinetta al morale, aveva prolungato la durata dell'impronta infantile delle forme.

Naturalmente pallida—pallida altresì per la crescenza subita e di un sol getto—Bambina mostrava in apparenza la mollezza di una convalescente, piuttosto la neghianza di una giovine religiosa sprofondata nell'ozio. Le sue labbra rosse, pertanto, un po' rilevate agli angoli, un po' carnute davanti e ripiegate di fuori, annunziavano che la non era malaticcia e che non aveva la constituzione ascetica. Le sue grandi palpebre velavano sovente il bagliore delle sue pupille e le davano l'aria di una Vergine. Ma allorquando ella le rialzava, quelle trasparenti e bianche palpebre, i suoi occhi prendevano la petulanza di una baccante.

I suoi grandi occhi grigi, a filetti azzurri, potevano assumere a volontà, secondo l'animazione o la calma interna, il vellutato dell'amore, l'ardore del desiderio, la dolcezza dell'innocenza, il provocamento della cortigiana. Bambina poteva essere, con uno sguardo, un cherubino o una Driade, un giovine collegiale o un paggio corrotto, avere l'impertinenza delle marchese di Boucher o la purità serafica delle madonne di Filippo Lippi. Ella aveva l'ovale allungato delle fisonomie delle madonne di Murillo,—il pittore che abbia meglio compreso ed espresso la donna ideale. Il suo bel mento, bianco come il latte, era diviso da una bella piccola pozzetta, o piuttosto un piccolo solco. Bambina aveva, oltre a ciò, una ricca capigliatura castagno che rilevava il tuono della sua pallidezza ed inquadrava una fronte tagliata fieramente.

L'espressione generale ed ordinaria del viso di Bambina era il dolore, la tenerezza. Si sarebbe detto che questa giovinetta fosse un'edera la quale cercava perpetuamente il suo posto di appoggio, l'albero intorno a cui allacciarsi mollemente. Un certo languore nei suoi movimenti, un certo abbandono nelle sue pose, la nota della sua voce dolce ed allungata, il suo andare in cadenza, la sua testa inclinata, avrebbero dato a credere che in questa fanciulla la volontà fosse assente, agghiadata forse, e ch'ella si lasciasse trascinare dalla corrente della vita, faticandosi di volere, ed anche di pensare. Ma il suo naso un po' all'insù, le sue narici piccole, rosee, eccessivamente mobili, le sue fiere sopracciglia arditamente arcate, quel filo impercettibile di bianca madreperla che separava le due labbra e denunziava dei denti magnifici, quella riga appena visibile che partendo dalla radice del naso si perdeva sull'Olimpo della sua fronte pura, il movimento brusco col quale si raddrizzava in un istante come i fanciulli viziati, manifestavano altresì che sotto quella peluggine di eider si celava una scintilla che all'occorrenza poteva divampare, rischiarare, incendiare, che l'angelo poteva trasformarsi in demonio, la femmina in tigre.

La nullità si distingue di primo sguardo, ad un tratto caratteristico e rilevato; ma sotto quella superficie calma, sotto quell'abito indolente, proprio delle genti nulle, si annicchiano talvolta di quelle individualità strane che si chiamano Santa Caterina da Siena, Charlotte Corday, Imperia. Parvusque videri, sentirique ingens, come dice Marziale.

Bambina sapeva molto, senza dubitarsene. Ciò teneva all'abitudine di suo fratello che pensava e leggeva ad alta voce, non importa che, da una ballata di Hugo, un poema di Byron, un dramma di Shakespeare, un romanzo di Balzac fino alle severe lezioni della storia, della filosofia, della teologia, dell'economia politica, della scienza della natura. Di tutta questa scienza, di tutta questa poesia restava molto nello spirito di Bambina, la quale, non essendo distratta altrove, essendo tenuta a parte dal contatto della gente grossolana del borgo, occupava l'attività della sua intelligenza a queste curiosità. Ed era singolare vedere questa giovinetta, mondando i legumi, filando il lino o ferruzzando una calza in faccia a quella testa austera di Don Diego lavorando a voce alta, interrogarlo, per esempio, cosa era quell'amore misterioso di Manfredi; che avrebbe fatto la duchessa di Maufrigneuse quando avrebbe divorato il suo ultimo amore per D'Artez; come la concezione del me poteva creare Iddio; quale era la teoria vera del valore; e lo chiamava a discutere seco lei la politica di Caterina dei Medici o di Castruccio Castracani; a giustificare Alessandro VI come essendo stato lo più grande dei papi politici; a piangere sulla sorte di Esmeralda; e ridere fino alle lagrime delle fantasticherie di Falstaff. Tutto ciò era reale per la giovinetta; tutto ciò viveva, formava la sua società quotidiana, non aveva nulla di pedante per ciò appunto che le era ingenuo e poco o nulla in ordine. Queste grandi cose servivano di pupattola a questa figlia del povero! Bambina aveva per conseguenza quel marchio serio delle figure di donna in marmo, cui gli architetti dei mezzi tempi schieravano sul frontone delle cattedrali, ed ella covava all'interno una scintilla potente.

Quando Don Diego le ebbe raccontato la sua conversazione col vescovo, la prima impressione di Bambina fu di prorompere in pianto. Ella si sentì tutto ad un tratto presa alla gola dalla più spaventevole miseria. Don Diego la calmò. Poi egli cominciò a riflettere parlando alto secondo il suo costume, a discutere con sè stesso cosa gli restasse a fare. Egli vide, del primo colpo d'occhio, che bisognava uscire di quella vita materiale, indirizzita, nella quale aveva vegetato fino allora, e che bisognava trasportare nella realtà la lotta cui aveva sostenuta nel suo spirito. Non era più con le idee, con le passioni, con l'ambizione che doveva battersi d'oggi innanzi, ma altresì con gli uomini, e disputar loro il boccone di pane della sua tavola.

Ora, in provincia non si lotta.

Su questo piccolo scacchiere, tutti i posti son presi, ciascuno occupa il suo vano e vi si tiene, vi si bastiona, vi si radica, vi si fossilizza: my house is my castle! La morte sola vi fa la breccia.

Don Diego adottò quindi immediatamente la risoluzione energica di trasferirsi a Napoli. In quel vasto teatro egli poteva intraprender tutto. Egli era risoluto a non rinculare innanzi a checchessia. Da due ore in qua, il genere umano si rizzava davanti a lui come un nemico, cui egli odiava e che lo disprezzava.

Quando Don Diego espresse questa idea, Bambina, che lo ascoltava attentamente, fece sembiante di andare in busca di qualche cosa: temeva di mostrare la sua viva commozione.

Don Diego maturò questa risoluzione per parecchi giorni; dimandò consiglio al conte di Craco, il solo individuo ch'egli stimasse, la famiglia del quale Bambina e lui visitassero unicamente. Il conte approvò il progetto di Don Diego. Fu fermo. Ma lo si tenne nascosto.

Per render servigio a questa famiglia fulminata, il conte di Craco le comperò la casa ed il giardino,—a condizione di riscatto fra dieci anni,—e si lasciò fissarne il prezzo dal notaio. Il conte non volle spigolare dietro la sventura. Il notaio stimò largamente l'immobile cinquecento ducati: 2200 franchi. L'era tutta la fortuna degli eredi del sarto, il salario cumulato di trent'anni di lavoro e di parecchi giorni passati senza pane.

Don Diego non si credeva così ricco.

I testimoni che firmarono l'atto di vendita, il ricevitore del registro, propagarono la novella. Tutto il borgo fu istrutto della partenza di Don Diego. Si conobbe allora la sentenza d'interdetto pronunziata dal vescovo.

—Gli sta benissimo! dicevano gli uni,—i preti sopratutto, l'arciprete il primo, e dietro a lui i piccoli borghesi che Don Diego non aveva degnato vedere.

—Benissimo, benissimo, mormoravano gli altri noccolando la testa; gli è indegno, al contrario. Cosa ha egli fatto al postutto codest'uomo? Se i gesuiti vengono a ficcare così il naso nelle nostre case e gli occhi nelle nostre coscienze, malgrado nostro, alcuno non è più sicuro del suo domani. In conclusione chi ha a lamentarsi di quel povero diavolo?

—Gli è vero! rispondevano alcuni,—i liberali.

—Via dunque! un uomo orgoglioso che ci rendeva i suoi saluti e le sue parole come se fossero pan benedetto! che aveva sempre sulle labbra un ghigno di disprezzo per tutti! Lo si sarebbe detto un intendente, un marchese, codesto figlio di mastro Tommaso.

—E' non si tratta di codesto. Trattasi di sapere con qual diritto un vescovo gitta un povero prete sul lastrico a crepare di fame, senza cause reali, senza neppur l'apparenza di un delitto. Perchè, di che lo si accusa insomma?

—Ma! rispondeva l'arciprete, io l'ho detto a monsignore che mi ha fatto l'onore d'interrogarmi sulla condotta di questo ecclesiastico. Sua Eccellenza però ha risposto: Non mi parlate giammai di un uomo empio verso Dio, ribelle verso il re.

—Non vedete voi dunque che v'è della politica lì sotto?

—E monsignore mi ha dato ad intendere, continuava l'arciprete, che v'era altro di ben più grave e più immorale ancora. Egli sembra che in casa Don Diego Spani si passino delle cose…. Capperi! che non si dice di noi altri, i quali nonpertanto non ci nascondiamo di esser uomini e che abbiamo delle amiche a vista e saputa di ognuno?

—Oh! per esempio! sclamò un giovinetto gittando il mozzicone del suo sigaro. Con quella figliuola bella come una madonna?

—Voi non avete giammai visto, don Saverio, i gatti affamati mangiare i loro piccoli? replicò l'arciprete.

Questo fu il colpo di grazia. La reazione che cominciava ad operarsi in favore del condannato, quando la sua condanna aveva un causa politica o teologale, si cangiò in indignazione. La giovinezza, la bellezza di Bambina aumentavano il delitto. Era il sentimento della morale oltraggiata che provocava l'indignazione di quegli uomini? Oibò! Era la gelosia, era l'invidia: che fortunato ribaldo l'amante di quella giovine beltà! Ognuno nondimanco si credette in obbligo di andargli a fare una visita di condoglianza. Quel bellimbusto andava a Napoli. Non si sa che potesse avvenire. Le grandi città sono piene d'imprevisti: vi sono delle opportunità incredibili di fortuna e di favore. Don Diego poteva imbattersi in una di quelle opportunità, e ricordarsi più tardi del malvolere de' suoi compatriotti, vendicarsi, rifiutar loro un servizio.

D'altronde non era desso un dramma curioso a contemplare in che modo quest'uomo sosteneva il colpo che lo schiacciava? Non vi eran mille cose a leggere nello sguardo di Bambina, mille commenti a tirare dal suo viso, dal suo portamento, dalla sua persona, e giudicare di là della verità dell'accusa? Una processione di visite si aperse allora verso la casa dell'ex-prete. La freddezza, il disdegno col quale Don Diego accolse quegli atti vigliacchi ed ipocriti non scoraggiarono. Alcuna delle notabilità del borgo non se ne astenne.

Don Diego non restituì alcuna visita.

Bambina si tenne costantemente nella sua camera e non volle ricevere chicchessia,—ciò che accrebbe i sospetti. Ma il fratello e la sorella disprezzavano troppo quella gente per curarsi della loro opinione.

Infrattanto Bambina preparava i bauli pel viaggio.

Il conte di Craco aveva scritto a Napoli a suo figlio Tiberio, barone di Sanza,—e gli aveva dato incarico di trovare un modesto appartamento per gli emigranti. Questo alloggio fu presto trovato. La contessa aveva regalato a Bambina una veste. Perocchè la povera creatura non si era vestita fin lì che del panno turchino fabbricato da lei, come tutte le altre figlie del popolo. La cameriera della contessa cuciva quella bella gonna di merinos azzurro, la quale per Bambina valeva quasi il velluto. La contessa completò il dono con uno sciallo scozzese, molticolore ma caldo, di cui il popolo minuto del napolitano si copre la testa ed avviluppa il busto, risparmiando così cuffie e cappellini.

Nei bauli,—due triste casse di legno,—il fratello e la sorella rinsaccavano alla rinfusa biancheria, libri, stoviglia di casa non troppo maltrattata dal tempo, gli abiti ancora buoni ad usare in camera, del lardo, del cacio, la coltre, le lenzuola. Essi avvolsero pure i loro due materassi tra due tavole di abete, che appoggiate su due Cavalletti formavano lettiera; i cuscini, la tela dei pagliericci. Quella povera gente cacciava dentro nelle casse tutto ciò che poteva servir loro a ristabilire altrove i penati,—quell'home sì sacro e sì caro agl'inglesi,—e ad economizzar loro qualche scudo.

Quegli apparecchi eran lugubri; si facevano in silenzio. Imperocchè ognuno di quelli oggetti aveva la sua storia dolorosa: essi ricordavano una memoria cara, un cordoglio, una miseria, una gioia, una sofferenza. Essi avevano risparmiato tal boccone di pane, tal bicchiere di vino, tal pezzetto di carne per comperare quella giarra di cristallo, quello specchietto, quella pezzuola di seta, quelle fibbie di acciaro per le scarpe del prete, per la cintura della ragazza. Ecco il ferro a spianare del babbo,—le armi di famiglia! Ah! ecco il filatoio della madre…. ed i suoi orecchini d'argento, ricevuti il dì degli sponsali…. ed il telaio ove ella aveva tessuto per i clienti del villaggio: il Cristo del suo capezzale. Ecco il seggiolone dove il prete sedeva…. il suo calamaio screpolato, i suoi libri del seminario cacciati in un canto, il mazzetto di fiori di carta dipinta che sua madre avevagli regalato il giorno della sua prima messa! Bisognava affagottare, gittare, abbandonare tutto ciò!

Come questa casa sembrava miserabile adesso! Come tutto ciò aveva l'aria di vecchio e povero ora che lo si rimuoveva, che lo si traslocava! Questo disordine, queste ruine li ambasciavano. Tutto era polvere. Si perdeva il ritmo della vita. Confondendo tutti quegli oggetti, si disordinavano tutte le memorie; tutta la loro storia si affondava. Il fratello e la sorella si trovavano nel vacuo, fuori del tempo, nudi di tutto.

La miseria si affeziona ad ogni nonnulla e vi soffia dentro una fibra dell'anima. Tutto è una data per esso, pel povero, perchè tutto gli è costato un lembo della vita. E' si perdevano in questa Pompeia di cenci! Non sapevano a che toccare pel primo. Si confondevano nella scelta. Tutto pareva loro utile e buono, perchè tutto aveva loro servito. Essi avrebbero voluto impacchettare la casa e darle le ali, come la santa casa di Loreto.

—Bambina, figlia mia, non obbliare le mie pantofole. Potrei aver la gotta. Avrò forse a camminar tanto in quella Napoli e rientrerò co' piedi ammalati.

—Fratello, bisogna portar con noi la piletta ad acqua santa, che era al capezzale di nostra madre! è rotta e ricollata.

—Ove hai tu messo quell'involto di carte che io celava sotto il mio materasso?

—Sta tranquillo! susurrò Bambina con un segno d'intelligenza: dorme nel fondo della cassa.

—Gitta questi occhiali lì dentro: un giorno, chi sa! sarò miope.

—Brava! stavo per dimenticare il pacchetto di ferruzzi a calze!

Il cane ed il gatto che vedevano tutto quel garbuglio, sembravano inquieti. Si sarebbe detto che presentissero qualche cosa. Il gatto, per l'innanzi così sonnolente, non si stancava più di fare ru-ru attorno alla gonna di Bambina, di stropicciarsi a lei carezzevolmente, di saltar sulle ginocchia di Don Diego. Il cane seguiva tutti i passi dei padroni, testa giù, dovunque andassero. Il suo occhio, un dì sì dolcemente malinconico, ora era estinto. Non commetteva più guasti, ed assiso sulle lacche, allungava la testa con tristezza sulle ginocchia del fratello e della sorella. Il solo essere ingrato o noncurante della casa, era il maiale. E nonpertanto era desso che era stato il più colmo di attenzioni…. interessate. Se la Bambina negligeva un tantino la dose o la qualità delle sue pietanze, Marco grugniva, brontolava, s'impazientava pure, ed andava a rovesciar la pentola, tirava per la gonna la padroncina e sporcava le calze di lei. Infine, un mattino, un contadino venne, gli legò una corda al piede destro e lo condusse via fra le grida le più strepitose. Bambina si sentì commossa fino alle lagrime. L'aveva preso piccino piccino, ed a forza di cure ne aveva considerevolmente sviluppata la quadratura. Questi dettagli, ridicoli e volgari, formavano tutta un'iliade per i due emigranti: gli era l'addio per sempre al passato ed il baratro tenebroso dell'avvenire.

Infine, quindici giorni dopo la condanna del vescovo, tutto era pronto per la partenza. La vigilia, Don Diego andò all'albergo e fermò due posti d'interiore nella carrozzaccia squinternata che faceva il servizio da Lauria a Salerno. Il cocchiere s'impegnò a somministrargli un veicolo da Salerno a Napoli. Si doveva partire all'indomani, tredici ore.

La sera, il conte Craco mandò una lettera ed un pacchetto per il barone di Sanza, suo figlio, ed un paniere di commestibili per la via ai viaggiatori. Il conte li aveva fatti pregar pure di attendere a dormire in casa sua, lì, nel borgo superiore, vicino all'albergo. Don Diego lo ringraziò. Il fratello e la sorella, vestiti, coricarono sulle foglie di gran turco tolte dai pagliaricci. Che notte di freddo, d'insonnia, di angoscia, per il fratello! che notte di sogni d'iride per la sorella!

Infine, l'alba biancheggiò a traverso i vetri delle finestre senza bandinelle.

Don Diego respirò. Bambina si addormentò. Quando Don Diego entrò nella camera di sua sorella e vide la giovinetta accosciata sur un mucchio di foglie, avviluppata nel mantello, ma la bocca infraperta, le labbra rosse, il respiro leggero, la figura calma in un sorriso abbozzato, la fronte un po' madida, le braccia bellamente curvate sotto la testa, le sue grandi palpebre abbassate…. e' si sentì rimescolare il cuore. Una lagrima cadde sulla sua mano. E' s'inginocchiò e cercò nella sua memoria una preghiera per benedirla. Poi uscì. Accese il fuoco,—l'ultimo che doveva riscaldare quel focolaio che li aveva visti piangere, soffrire, balbettare le loro prime parole, che aveva riunito la povera famiglia per tante lunghe notti d'inverno, cui i due operai avevan passate lavorando. Il camino bruciava male. Don Diego terminò gli apparecchi di viaggio ed i pacchetti.

Il conte di Craco venne a dare loro un addio. I suoi domestici portarono ai pellegrini il cioccolatte dell'asciolvere. Don Diego andò a risvegliare la Bambina. L'ora della partenza avvicinava.

Il Re prega

Подняться наверх