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VI.

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Ove si vede le anime del Purgatorio divenir spie.

Seguiamo dapprima Don Diego.

Verso il principio della strada dei Tribunali si trova una chiesa dedicata alle anime del Purgatorio. La chiesa è bruttissima, piccola, imbianchita alle calce. Degli orridi sgorbi tengon luogo di quadri; uno strato di fango tien luogo di solaio. Nondimeno questa chiesa è la più frequentata dalla plebe napolitana.

Dalle sei del mattino all'una del pomeriggio, i suoi numerosi altari sono occupati, senza un minuto d'intervallo, da preti che dicono messe. Avete fretta? volete udire una messa corta, lesta, vispa, alla buon diavolo? Entrate e troverete il vostro affare bello e pronto. Avete udito o visto altrove una metà, un quarto, un quinto di messa? salite le sporche gradinate di questa chiesa, penetratevi, guardate in faccia, a destra, a sinistra, di dietro, e troverete ad un altare od all'altro il complemento della vostra bisogna. Nulla non langue nell'operazione. Il collega attende sotto i guarnimenti per andare a prendere il posto: non bisogna farlo aspettare. Il pubblico è impaziente di far le sue divozioni; non bisogna rattenerlo: le sue occupazioni lo chiamano altrove.

La chiesa del Purgatorio è la provvidenza del prete ridotto all'estremità. Chiunque voi vi siate, indossate un arnese scuro, tendete un po' i vostri capelli alla sommità del cranio, siate sporco a dovere, radete i vostri baffi ed andate. La prima volta vi occorrerà forse un pastor bonus, di cui non si riguarda sì d'appresso la marca di fabbrica, ovvero qualcuno che garentisca, per dieci soldi, che voi siete prete; poi, non più formalità. Entrate. Nella sacrestia si tien pronto un luccaccio nero, che passa di spalla a spalla, e che nasconde i vostri cenci, i vostri abiti un po' laici, i vostri stivali alla scudiera,—per dir la messa bisogna essere in sottana,—vi tuffate dentro, covrite la saiaccia con altri paramenti sacerdotali, prendete il vostro turno, e via! Appena la messa terminata, vi danno due carlini,—18 soldi,—e che Dio vi accompagni. Se ciò non basta al vostro sostentamento, andate in un altro rione lontano della città e ricominciate la rappresentazione.

—Ma gli è un sacrilegio! dissi io un giorno ad un prete.

—Niente affatto, e' mi rispose. Io non consacro che una volta sola; ed il buon Dio non me ne vorrà se mi aiuto in questa guisa. Posso vivere con 18 soldi al giorno?

Ora, qual'è la sorgente di questi numerosi diciotto soldi? Perocchè si spippolano in questa chiesa qualche cosa come duegento messe al dì.

Eccola.

Il Purgatorio è la più felice invenzione finanziaria della chiesa cattolica. Questa specie di dock delle anime, sospeso tra l'Inferno ed il Paradiso, occupa l'entre-sol incomodissimo della salvazione, un lazzaretto malsano, molto angusto, avente nel medesimo tempo le angoscie dell'inferno e l'ansietà del Paradiso cui s'intravede come Tantalo vedeva l'acqua. Per uscirne bisogna pagare i diritti di magazzinaggio, farsi lindo, soffocare ogni minimo germe di contagio: l'anima s'imbucata essa stessa nel fuoco cortese del luogo.

I sopravviventi nel mondo possono pagare il dritto di passaggio nelle mani di un prete che ne trasmette la ricevuta nel cielo. Questa ricevuta sono la messa o le indulgenze.

Le anime liberate così rendono poi ogni specie di piccolo servigio nel cielo a coloro che hanno cooperato al loro affrancamento, e la partita si salda onestamente. Ora qual'è il figlio così crudele che rifiuterebbe a suo padre, a sua madre un aiuto sì utile per cavarle di smania? Qual'è la madre senza cuore, la sposa senza viscere che vorrebbe lasciare il figlio amato, il marito affettuoso cui potrebbe riconfortare? Da tutto ciò, quelle cotali elemosine per le anime del Purgatorio, inventate nel VI secolo, cui i protestanti attaccano così vivamente.

La plebe e la borghesia napoletana, che non sono eretiche, se ne vanno in solluchero per le anime del purgatorio. Si scrocca, si ruba, prostituisce ognuno ciò che può, si fa tutto il male possibile, tutte le ribalderie…. peccato veniale! Si dà il suo piccolo quattrino alle anime del purgatorio; egli è l'affare di codeste anime di dissozzare questi atti e presentarli al buon Dio come delle azioni meritorie. Ed il buon Dio crede ed assolve, sulla parola di quelle animucce. Nè abbiate a temere negligenza ed oblio. Vi pare e' possibile! quelle care anime non si discreditano per così poco, a rischio di restare più milioni di anni nei tini del raffinamento.

Si tratta adesso di rendere il pagamento di questo tributo facile ai fedeli che amano i loro comodi che non hanno il tempo di andare a gittare il loro obolo anonimo nel cassetto delle limosine delle chiese. Il rimedio è bello e pronto. Il parroco della chiesa delle anime del purgatorio mette l'elemosina in regìa, ed uno speculatore ne prende l'impresa a cottimo, per aggiudicazione.

Il concessionario, questa volta, si chiamava Don Lelio Franco, a cui

Don Diego andava ad essere presentato.

Don Lelio aveva divisa la sua commissione fra ventiquattro commissionari, due per ogni quartiere di Napoli, e costoro venivano ogni giorno, tra le tre e le cinque pomeridiane, a pagare la quota quotidiana del loro debito al cassiere dell'intraprenditore generale.

Il cassiere in esercizio era morto. Don Lelio aveva accettato Don

Diego Spani per surrogarlo.

—Le vostre funzioni sono semplicissime, disse Don Lelio al suo nuovo impiegato. Non avrete che a riempire il bianco, alla data del giorno, nel libretto del collettore, e riportare sui nostri registri le partite pagate. Ma ciò non è tutto.

—Debbo tenere inoltre un registro di cassa? interruppe Don Diego.

—Sarebbe un lavoro inutile, rispose Don Lelio. Io piglio la consegna della cassa ogni sera, prima che voi partiate, e voi la trovate vuota l'indomani. Il vostro impiego è soppannato di una funzione morale delicatissima e difficilissima. Voi siete un portavoce maggiore, che avete sotto i vostri ordini altri ventiquattro portavoce.

Don Diego spalancò gli occhi ed ascoltò attentamente. Don Lelio continuò:

—Non è collettore delle anime del purgatorio chi vuole. Codest'uomo, dall'aspetto bonario o sorridente, pulitamente vestito ma senza affettazione, una scodellina gialla alla mano a guisa di coppa, dondolandosi gravemente, parlando a voce dolce, è un compare pieno di astuzie, di unzione, di elasticità, eloquente come dieci avvocati, dicendo mille cose con una parola, indovinando il pensiero del pensiero, sceneggiando l'indifferenza, e spandendo nelle città il soffio che fa battere i cuori, i cervelli, le lingue per ventiquattr'ore. Egli sa a chi deve dare a baciare le anime del purgatorio dipinte sul suo scodellino, a chi bisogna dare una presa di tabacco o un numero alla lotteria, a chi conviene raccontare una storia, a chi bisogna soffiare un consiglio. Egli sa come fare espettorare due soldi a chi non ne dà che uno con stento, chi bisogna far ridere di un motto arguto, chi incoraggiare con un sursum corda divoto, come far sorridere una bella figliuola, come piaggiare una buona madre, come celare una gherminella ora della moglie ora del marito che si lamenta, e come si scongiura un sospetto con una piccola menzogna.

—Infatti! osservò Don Diego, gli è molto più facile fare il ministro.

—Aggiungete, disse Don Lelio, il lato politico del personaggio.

—Il lato politico?

—Sissignore! Noi siamo come la linea di congiunzione tra il popolo e la polizia,—la polizia che ci sorveglia e ci fa sorvegliare, il popolo che abborre la polizia, e che talvolta si lascia scappare una parola, talvolta rivela un mondo di dolori e di speranze con un sospiro o con uno sguardo. Leggere il silenzio, gli è forse il lato meno difficile del mestiere. Ebbene, bisogna che quest'uomo gioviale, buono, tutto occupato di Dio comprenda, indovini, formuli tutto ciò scherzando, motteggiando parlando della vita eterna, e che ve ne renda conto di una parola, mentre voi segnate sul suo taccuino, senza far sembianze di nulla udire e di nulla dire, tirando giù un'addizione di grani e di carlini, in presenza dei suoi colleghi che non debbono comprendere nulla. Voi dovete ascoltare ciò, ritenere il motto, spiegarne il senso e farmi ogni sera, prima che ve ne andiate, contando il danaro incassato, il rapporto dello stato delle anime della città. Voi toccate ogni giorno quei ventiquattro polsi di Napoli e ne tirate la diagnosi di cui mi presentate il bullettino.

—Lo farò, disse Don Diego.

—Questo è il lato direi quasi passivo del vostro impiego. Sappiate ora quale è il lato attivo. Voi dovete trasmettere la parola d'ordine dell'indomani a quella gente, nella medesima maniera, col medesimo accorgimento, facendo mostra della stessa indifferenza.

—E chi mi darà codesta parola d'ordine? domandò Don Diego.

—Io, disse Don Lelio.

—E voi, signore, da chi la tenete, voi?

Il Re prega

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