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Оглавление1. La nuova capitale socialista
In nessun luogo al mondo la Guerra Fredda ha lasciato tracce nell’urbanistica e nell’architettura come a Berlino. Negli ultimi trent’anni sono state in gran parte cancellate dal centro della città, mentre lontano dall’ex percorso del Muro molto è sopravvissuto agli stravolgimenti post riunificazione.
In particolare sono ancora visibili due quartieri che rappresentano fisicamente l’antitesi fra le posizioni politiche ed estetiche che caratterizzarono la Guerra Fredda: a Est l’ex Stalinallee, oggi Karl-Marx-Allee; a Ovest Interbau 1957, una serie di complessi ed edifici costruiti per l’omonima mostra internazionale dell’edilizia, che si trovano in gran parte nella zona Hansaviertel del quartiere di Charlottenburg. Entrambi sono simboli di come la politica, sia a Est che a Ovest, abbia utilizzato l’edilizia come strumento di autorappresentazione e concorrenza, facendo sorgere nella Berlino del dopoguerra due modelli antitetici di città.
Nel caso di Berlino Est, ancor più che in quello di Berlino Ovest, si trattava peraltro non solo di un modello di città, ma del modello di un intero nuovo Paese, che doveva diventare vetrina dell’intero blocco sovietico.
Fra Alexanderplatz e la sede centrale della Stasi, nel quartiere di Lichtenberg, si percorrono più di 5 km di strada dritta lungo Karl-Marx-Allee e Frankfurter Allee: uno dei due assi centrali della nuova Berlino socialista, insieme a quello che collega la piazza alla Porta di Brandeburgo. Alexanderplatz era il centro della vita sociale e la vetrina di Berlino Est. Era ed è anche il centro geografico dell’intera Berlino, da cui partono tutti gli assi radiali che portano fuori dalla città nelle varie direzioni.
Potremmo perciò pensare che sia stata la prima area di grande intervento urbanistico della DDR, ma non fu così: la piazza fu ricostruita solo a partire dalla metà degli anni Sessanta. Nel 1969, per il ventennale della nascita del Paese, fu inaugurata la torre della televisione. L’impianto e gli edifici principali furono completati nel 1973, ma i lavori continuarono fino ai primi anni Ottanta.
1. Vista su Karl-Marx-Allee e Frankfurter Allee voltando le spalle ad Alexanderplatz: in primo piano i grattacieli di Strausberger Platz, in secondo piano le torri sormontate da cupole di Frankfurter Tor.
2. Il secondo asse centrale della Berlino socialista, fra Alexanderplatz e la Porta di Brandeburgo, nel 1984: a sinistra, dall’alto, il Ministero degli Esteri della DDR e il Palazzo della Repubblica. Al centro, dall’alto, il Duomo di Berlino e il Palasthotel. Tutti questi edifici sono stati abbattuti dopo la riunificazione, a parte il duomo.
Prima che su Alexanderplatz, l’attenzione del regime si concentrò sul grande viale che dalla piazza porta verso est, dedicato a Stalin nel 1949. Il progetto edilizio di Stalinallee, primo grande progetto di prestigio della neonata DDR, iniziò dalla periferia andando verso il centro, nella stessa direzione in cui il viale era stato percorso nell’aprile 1945 dalle truppe sovietiche che entravano in città. L’intero impianto urbanistico fu concepito come un percorso che accompagnasse il visitatore proveniente da Est lungo “la prima strada socialista” della Germania, impressionandolo sempre più con un susseguirsi di piazze sempre più monumentali, che iniziavano con Frankfurter Tor e si concludevano con la piazza Marx-Engels (l’odierna Schloβplatz, piazza del Castello), centro del potere politico su cui si affacciavano gli edifici più rappresentativi (v. Palazzo della Repubblica, Palazzo del Consiglio di Stato, Ministero degli Esteri della DDR, Edificio del Comitato centrale).
Perciò la nostra visita inizia dalla ex Centrale della Stasi, il punto più a est del nostro itinerario, per poi raggiungere Frankfurter Tor e da lì proseguire verso il centro fino ad Alexanderplatz, seguendo così la cronologia di costruzione di questo grande progetto.
La Stasi, abbreviazione che sta per Ministero della Sicurezza nazionale, fu creata nel 1950 ispirandosi alla Ceka, la polizia politica segreta del governo bolscevico che fece da precursore al KGB sovietico, realizzando fra l’inizio della Rivoluzione russa e il 1922 una strategia di terrorismo di Stato per eliminare gli oppositori politici. I dipendenti della Stasi si chiamavano fra loro “cekisti”.
L’istituzione era definita “scudo e spada del partito” unico della DDR, poiché aveva l’obiettivo di difendere il suo monopolio del potere nel Paese. Questo era realizzato attraverso un sistema di controllo, minacce, ricompense e privilegi, che doveva garantire che il singolo cittadino fosse indotto all’adattamento, alla sottomissione e possibilmente alla collaborazione con il regime. La Stasi non aveva un ruolo formalmente definito nella costituzione, ma riassumeva in sé le funzioni di polizia segreta, servizi segreti e organo di investigazione criminale; aveva le proprie forze armate e le proprie carceri.
Tutto ciò era realizzato da tantissime persone, che ne facevano uno dei più grandi apparati di sicurezza segreti al mondo: nel 1989 contava circa 91.000 dipendenti e 189.000 collaboratori non ufficiali (circa 1 per ogni 90 abitanti della DDR). I collaboratori esterni erano lo strumento più importante della Stasi, poiché raccoglievano e trasmettevano informazioni su tutti coloro che li circondavano: famigliari, amici, vicini di casa, colleghi di lavoro.
L’Edificio n. 1 dell’enorme complesso che costituiva la sede centrale, costruito nel 1960-61, ospita oggi il Museo della Stasi (Stasimuseum), in cui è visitabile nello stato originale l’ufficio di Erich Mielke, che diresse il Ministero della Sicurezza nazionale dal 1957 alla caduta della DDR.
3. L’edificio n. 1 dell’enorme ex complesso della Stasi, che ospita l’omonimo museo.
Il museo esiste come centro di ricerca e memoriale dal novembre 1990. In gennaio la centrale della Stasi era stata occupata da rappresentanti dei comitati civici, protagonisti della rivoluzione pacifica che portò al crollo della DDR. In settembre un “gruppo operativo” ne aveva occupato l’archivio, preoccupato per il destino che era stato deciso per i documenti della Stasi dopo la riunificazione: trasferimento nell’archivio federale centrale, imposizione di un periodo di divieto di consultazione (di solito sono almeno 30 anni), nessun progetto di revisione storica (con annesso rischio che gli ex dipendenti della Stasi potessero continuare ad inquinare o far sparire le prove). A seguito di quest’azione furono inserite nel Trattato di Unificazione fra le due Germanie (v. Altes Stadthaus) delle previsioni sulla documentazione della Stasi che offrirono maggiori garanzie.
Prima di queste occupazioni vi erano state quelle di tutte le sedi periferiche della Stasi, che insieme alle proteste popolari e soprattutto all’allontanamento dal potere del Presidente Honecker, nell’ottobre del 1989, avevano reso evidente il pericolo per il regime. Perciò, quando i cittadini arrivarono a occupare l’archivio, il Ministro Mielke aveva ordinato già da mesi ai suoi dipendenti di raccogliere e distruggere i documenti più importanti e compromettenti.
Quelli che non sono stati distrutti, della sede centrale e delle sedi locali di Berlino e Potsdam, sono ora conservati e consultabili accanto al museo, nell’Archivio centrale della Stasi. È facile capire perché esso è stato definito “un monumento alla sorveglianza”: includendo anche i materiali di tutte le sedi staccate, l’archivio contiene circa 111 km di documenti, di cui 51 già archiviati dalla Stasi, consultabili in base al nome delle persone coinvolte, e 60 di materiali trovati sparsi negli uffici (fra cui circa 41 milioni di singole schede), che in questi trent’anni sono stati riordinati per più del 90%.
4. Le schede e gli schedari con cui la Stasi ordinava gran parte delle informazioni raccolte. Oltre a questi c’erano anche filmati, registrazioni audio e altri materiali, ad esempio una sorta di “biblioteca degli odori” costituita da vasetti di vetro sigillati contenenti delle pezzuole, che erano state poste sotto la sedia delle persone sospettate o incriminate.
In tutti questi anni l’archivio ha ricevuto più di 7 milioni di richieste di informazioni o di consultazioni. Fra queste più di 3 milioni da parte di cittadini che hanno voluto vedere quali notizie su di loro o i loro parenti erano state rivelate, spesso da persone molto vicine, e memorizzate. In molti casi le informazioni raccolte erano state utilizzate in vario modo (dall’impedire di iscriversi all’università o di fare un viaggio all’estero, alla confisca illegittima di proprietà private, all’arresto e alla tortura) contro le persone coinvolte, che almeno in piccola parte hanno potuto utilizzare la documentazione d’archivio come prova per essere indennizzate o riabilitate o per intraprendere azioni penali contro gli autori dei reati che avevano subito.
Nell’archivio è inoltre possibile visitare la mostra “Einblick ins Geheime” (Accesso alla segretezza), che illustra sia i metodi e gli strumenti con cui la Stasi conservava la grandissima quantità di informazioni che raccoglieva, sia i metodi e gli strumenti con cui si sta ricostruendo la documentazione che i funzionari della Stasi non riuscirono a eliminare completamente prima dell’occupazione degli edifici da parte dei cittadini. Ad esempio, esistono circa 15.500 contenitori di carta strappata a mano, che si sta cercando di ricomporre sia manualmente che con l’aiuto di software. Dai soli primi 500 sacchi sono stati ricostruiti più di 1,6 milioni di fogli e schede: ciò dà l’idea di quanto lavoro ci sia ancora da fare in questo archivio.
La Centrale della Stasi si trova nelle vicinanze della stazione della metropolitana Samariterstraße. Fra questa e la stazione di Frankfurter Allee, in direzione est, fu eretto il terzo e ultimo lotto del lunghissimo viale che porta ad Alexanderplatz: costruito fra il 1985 e il 1990, è caratterizzato da una larghezza della strada molto inferiore e da un uso più ridotto di elementi prefabbricati rispetto agli altri lotti.
Proseguendo invece verso ovest si raggiunge Frankfurter Tor: il punto d’inizio dell’ex Stalinallee.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Berlino si trovò coperta da 75 milioni di metri cubi di macerie. Nel quartiere di Friedrichshain, attraversato appunto da Stalinallee, fu distrutto il 68% degli edifici. Perciò la rimozione delle macerie – a opera soprattutto delle donne, che dopo la guerra rappresentavano circa i ⅔ della popolazione berlinese – fu la prima impresa necessaria.
Già nel 1946 fu elaborato un progetto per la ricostruzione del quartiere, nell’ambito del “Piano generale per la ricostruzione di Berlino”, a opera di un collettivo di architetti diretto da Hans Sharoun, che comprendeva tutta la città. Di quel progetto rimangono solo poche tracce, poiché durante la costruzione dei primi edifici, nel 1950, il regime della neonata DDR li bollò come “scatole per uova americane” e decise di avviare nel 1951 un nuovo concorso per la progettazione edilizia e urbanistica, che rappresentò l’inizio della seconda fase della storia architettonica della DDR, dopo quella della ricostruzione nell’immediato dopoguerra che aveva seguito i canoni del modernismo internazionale. I partecipanti al concorso avrebbero dovuto rispettare i “16 principi per la costruzione socialista delle città”, stabiliti all’ultimo congresso del Partito unico della DDR, che assegnavano all’arte e all’architettura la funzione di trasmettere al popolo i valori del socialismo. Sharoun, il cui lavoro era stato bocciato a Berlino Est, continuò a lavorare all’Ovest, dove fu invece molto apprezzato per una serie di celebri edifici, fra cui quello della Filarmonica di Berlino (Ovest al tempo).
Il nuovo piano stabilì anzitutto la larghezza di 90 metri del viale, sul quale si sarebbero svolte le più importanti parate civili e militari, e poi gli aspetti edilizi e architettonici del grande progetto, che sarebbe stato realizzato in tempi diversi da diversi collettivi di architetti, ma con una coerenza globale.
La parte piú a est di Stalinallee, fra Frankfurter Tor e Strausberger Platz, è il primo lotto, costruito tra il 1952 e il 1958 nello stile tipico della seconda fase architettonica della DDR: il cosiddetto classicismo socialista, che ricorda le costruzioni monumentali di Mosca della stessa epoca, a partire dalle cosiddette Sette Sorelle. In uno stretto rapporto fra ideologia e architettura, questo stile era pensato da un lato per celebrare il socialismo internazionale, infatti lo si ritrova in molte città dell’ex blocco sovietico, e dall’altro per legittimare il socialismo come erede delle tradizioni nazionali, aggiungendo agli edifici tocchi di stili locali dell’Ottocento e Novecento.
Quest’ultimo aspetto aveva una particolare importanza nella DDR, dove fino a metà degli anni Cinquanta si pensò a un’ipotesi di riunificazione tedesca sotto la bandiera del socialismo. Evidenziando nei nuovi edifici elementi dell’architettura tradizionale tedesca – in questo caso il neoclassicismo di Karl Friedrich Schinkel, il regio architetto prussiano che aveva dato a Berlino l’impronta di capitale imperiale (v. Gendarmenmarkt) – il regime della DDR sperava di impressionare l’intera popolazione tedesca, suscitando un senso patriottico e un legame con la storica capitale. Gli edifici di Stalinallee dovevano quindi essere il simbolo di una “Germania migliore”, che si offriva come opzione a tutti i tedeschi.
Questo messaggio fu esplicitato il 3 febbraio 1952, al momento della posa della prima pietra, nel discorso del Primo Ministro della DDR Otto Grotewohl: “Berlino deve diventare il simbolo dell’unità anche nella sua opera di ricostruzione. Berlino è e sarà la capitale della Germania unita”. La costruzione del viale era così legata alla prospettiva di unità della Germania, che in uno dei suoi palazzi fu progettato addirittura un “Caffè Unità tedesca”, con immagini dei principali fiumi del Paese.
Il concetto di legittimazione del socialismo attraverso rimandi all’architettura nazionale del passato fu applicato in tutta la DDR. Stalinallee fu il punto di riferimento per la costruzione dei grandi viali simbolici, le cosiddette magistrali, e delle piazze principali di varie città della DDR, ma in ognuna il classicismo socialista fu adattato alle tradizioni architettoniche della zona: mentre a Berlino si ispirò al neoclassicismo, a Rostock seguì lo stile gotico fatto di mattoni rossi, a Dresda e Lipsia il barocco (v. Nikolaiviertel).
5. Wokrenter Straße a Rostock (qui nel 1984) è un esempio molto significativo delle case a capanna tipiche dello stile locale: alcune sono nuove, altre restaurate, altre ricostruite, ma tutte si ispirano alla stessa tradizione architettonica.
L’ispirazione neoclassica di Stalinallee si nota subito nei due grattacieli a forma di torre coperta da cupola di Frankfurter Tor, che ricordano i due duomi della celebre piazza Gendarmenmarkt (v.).
6. Le due torri sormontate da cupole di Frankfurter Tor, nel 1960. A lato, alcuni palazzi dei lavoratori.
7. Il cosiddetto Duomo francese (Französischer Dom) che si affaccia su Gendarmenmarkt, a cui sono chiaramente ispirate le torri di Frankfurter Tor. Nella foto del 1985 è in ricostruzione.
Proseguendo oltre le torri, si vedono grandissimi edifici coperti di piastrelle: i cosiddetti “Palazzi dei lavoratori”. Poiché il grande progetto edilizio di Stalinallee non aveva solo l’obiettivo di fornire abitazioni, di cui c’era grandissimo bisogno dopo la guerra, ma anche quello di dimostrare la grandezza e la superiorità del socialismo, questi edifici dovevano trasmettere il messaggio che la DDR aveva molto più da offrire ai lavoratori che qualsiasi Paese capitalista: costruiva addirittura dei palazzi per loro!
8. Il palazzo dei lavoratori dietro ad una delle torri di Frankfurter Tor, così come appare oggi (blocco F sud di Stalinallee).
Molti operai impegnati nell’enorme sforzo richiesto per realizzare in poco tempo un progetto così ambizioso, che speravano inizialmente di poter ottenere uno di questi appartamenti, furono poi protagonisti dell’insurrezione popolare del 17 giugno 1953 (v. Ministero delle Finanze), il cui soffocamento nel sangue diede un chiaro messaggio sul trattamento dei lavoratori nella DDR.
Per l’epoca il lusso non mancava certo in questi palazzi: riscaldamento centralizzato, ascensori, citofoni, pavimenti di parquet, stucchi sui soffitti, oltre a facciate decorate, colonnati e terrazze, che a Ovest furono ridicolizzati come “stile torta nuziale” per i loro ornamenti considerati eccessivi. Anche a causa di questo sfoggio il progetto di Stalinallee rimase incompleto per ragioni economiche, perciò all’edilizia abitativa non furono aggiunti gli edifici culturali e amministrativi previsti. Già pochi anni dopo l’edificazione i palazzi, costruiti troppo velocemente, iniziarono a deteriorarsi. Nel 1989 buona parte delle piastrelle che ricoprivano le pareti esterne erano cadute ed erano state realizzate delle coperture per proteggere i passanti.
9. Uno dei palazzi dei lavoratori più imponenti verso la fine della sua costruzione, nel 1955 (blocco G sud di Stalinallee, all’incrocio con Warschauer Straβe).
Proseguendo lungo il viale sulla destra si vede il Cinema Kosmos, il più grande della DDR. Costruito nel 1961, quindi quando questo lotto di viale era già stato completato, era dedicato alle esplorazioni spaziali: uno dei massimi orgogli nazionali della DDR e dell’URSS, particolarmente in quell’anno in cui Juri Gagarin era stato il primo uomo a viaggiare nello spazio. Dopo la riunificazione divenne il primo cinema multisala della ex Germania orientale, mentre ora è una location per eventi.
10. La facciata del Cinema Kosmos nel 1963.
Sulla sinistra, proprio di fronte al cinema, una doppia fila di alberi divide due palazzi dei lavoratori. Gli alberi più alti furono piantati per nascondere alla vista di chi percorreva il viale monumentale i primi e unici edifici del progetto di ricostruzione del 1946, ispirati all’architettura moderna degli anni Venti: poiché non erano certo imponenti e decorati come gli altri, avrebbero rovinato lo sguardo d’insieme, ma non furono abbattuti dato che erano appena stati costruiti e c’era un estremo bisogno di abitazioni. Camminando verso la stazione della metropolitana di Weberwiese si incontrano due di queste costruzioni (Laubenganghäuser, ai numeri 126-128 e 102-104 di Karl-Marx Allee).
11. Una delle case di ringhiera che costituiscono i prototipi della ricostruzione di Berlino secondo il progetto del 1946.
Andando sul retro, lungo Hildegard-Jadamowitz-Straße, ci si ritrova in un angolo particolarmente significativo per la ricostruzione, architettonica e ideologica, della Berlino del dopoguerra. Proprio in mezzo ai primi due edifici del progetto modernista bocciato dai governanti della DDR nel 1950 si scopre il primo palazzo del nuovo progetto socialista, eretto nel 1952. A pochi passi da lì si vede l’esperimento pilota per la realizzazione di quest’ultimo: il grattacielo a Weberwiese, primo grattacielo nella storia della DDR, definito dal suo progettista “il cigno bianco che si innalza dalle macerie di Berlino”. Il grattacielo, con l’edificio a fianco e il piccolo parco con fontane – ispirato al classicismo russo, in particolare all’edificio dell’Università Lomosonov di Mosca, e al neoclassicismo di Schinkel per compiacere i committenti – è uno dei primi esempi in assoluto dell’architettura socialista orientata alle tradizioni nazionali della neonata DDR e diede così il tono a ciò che sarebbe poi stato costruito nel primo lotto di Stalinallee.
I lavori iniziarono nell’ottobre del 1951 e continuarono 24 ore su 24 per tutto l’inverno, affinché l’edificio potesse essere inaugurato in pompa magna, con tanto di francobollo commemorativo e canzone dedicata, il 1° maggio 1952, festa dei lavoratori. Per il regime un’impresa così eccezionale avrebbe dovuto mostrare alla popolazione di Berlino e della Germania Ovest i risultati che i lavoratori avrebbero potuto ottenere se liberati dal capitalismo e dall’imperialismo.
Non solo la data di inaugurazione, ma ogni dettaglio dell’edificio era simbolico: una rappresentazione materiale della Germania socialista del futuro. Gli abitanti degli appartamenti furono attentamente scelti in base alla loro professione (degli operai, un insegnante, un architetto, un poliziotto…) in modo che il condominio riproducesse l’intera società della DDR come una società che offriva a tutti le stesse opportunità e in cui tutti convivevano armoniosamente. Nel concorso architettonico per la costruzione di Stalinallee si era infatti richiesto espressamente uno stile che rispecchiasse “la ricchezza della nuova società”.
12. Il grattacielo a Weberwiese a costruzione quasi ultimata, nel 1952.
A segnalare che la DDR si identificava con chi aveva sconfitto il nazismo, la provenienza del marmo nero dell’ingresso fu fatta risalire a Carinhall, la residenza di campagna di Hermann Göring, che ospitava la sua enorme collezione d’arte (v. Schloβ Schönhausen) e che egli fece distruggere prima che fosse raggiunta dall’armata rossa. Le piastrelle con cui furono ricoperte le pareti esterne venivano dalla città di Meiβen, grande orgoglio per la DDR non solo perché l’omonima manifattura di porcellane era una delle più antiche e importanti d’Europa, ma anche e soprattutto perché essa costituiva una preziosa risorsa: con l’esportazione delle celebri porcellane si ricavava preziosa valuta estera per il bilancio statale (il regime provò a introdurre soggetti di ispirazione marxista, ma dato che non vendevano, tornò ai prodotti tradizionali che garantivano maggiori entrate). Nell’edificio più basso accanto al grattacielo, i bassorilievi nello stile del realismo socialista rappresentavano la ricostruzione di Berlino e la DDR come paradiso dei lavoratori.
Nonostante la costruzione di ogni appartamento del grattacielo fosse costata 9 volte il previsto, gli affitti rimasero minimi: un modello evidentemente non sostenibile su larga scala, ma molto utile a livello propagandistico.
Tornando su Stalinallee, l’attuale Karl-Marx-Allee, e proseguendo in direzione di Strausberger Platz si trova, poco più avanti sulla sinistra, uno dei palazzi più riusciti del viale per l’armonia e la simmetria che lo caratterizza. Al pianterreno ospitava la Karl-Marx-Buchhandlung, celebre centro culturale e sociale di Berlino Est, ritratto anche in famosi film come Le vite degli Altri e Good Bye, Lenin!. Alla sua apertura nel 1953 era la libreria più grande di Berlino: 1200 metri quadrati su 2 piani. Dopo la riunificazione sopravvisse in versione molto ridotta, con gran parte degli spazi utilizzati dall’ordine degli architetti, ma dovette chiudere nel 2008. Divenne poi la sede di una casa di produzione cinematografica, che nel 2015 permise la creazione di un salone letterario al pianterreno, sopravvissuto solo fino al 2016.
13. La facciata della Karl-Marx-Buchhandlung nel 1954. La celeberrima insegna è protetta come bene storico-culturale.
Molti altri esercizi commerciali non sopravvissero alla riunificazione: nel 1993 ne erano ancora aperti solo 26 dei precedenti 149. Negli ultimi anni la situazione è molto migliorata, anche grazie al completo restauro dei palazzi che ha fatto tornare attrattiva la zona, ma il viale lunghissimo e larghissimo rimane in effetti più adatto alle parate che al passeggio e allo shopping.
A fianco dell’ex libreria resiste ancora il Cafè Sibylle, inaugurato nel 1953 insieme al viale e poi rinominato così in omaggio a una celebre rivista femminile considerata “la Vogue della DDR”, la cui redazione spesso si riuniva e organizzava eventi lì. Sibylle era una rarissima vetrina sul mondo della moda e del lusso, che però doveva essere proposto senza riferimenti al consumismo occidentale. Perciò, ad esempio, gli abiti non erano accompagnati dall’indicazione della casa di moda occidentale che li aveva realizzati, ma da cartamodelli per riprodurli. L’importanza della rivista non riguarda però il solo mondo della moda: mentre nella DDR le altre pubblicazioni subivano una forte censura, la moda non era presa sul serio, quindi era poco controllata. Ciò permetteva ai fotografi di avere una libertà molto maggiore di mostrare il Paese com’era nella realtà e addirittura di mandare messaggi in codice di critica politica e sociale attraverso le loro immagini. Di conseguenza molti professionisti di talento si diedero alla fotografia di moda per Sibylle come unico mezzo per esprimersi ed essere pubblicati con una certa frequenza.
La rivista fu vittima della caduta del Muro (dopo una serie di esperimenti falliti, cessò di essere pubblicata nel 1995), mentre il locale, chiuso subito dopo la riunificazione, ha riaperto negli anni 2000 cercando di offrire l’atmosfera di Stalinallee di un tempo. Infatti ha ancora alcune decorazioni originali e ospita una piccola ma interessante mostra sulla storia del viale. Fra gli oggetti in esposizione, un orecchio e i baffi della statua monumentale di Stalin che si trovava poco distante, portata nel 1951 da Stalingrado in aereo.
14. La statua di Stalin di fronte alla “Casa della cultura degli operai edili” nel 1952. Tutto intorno i cantieri per la costruzione di Stalinallee.
Poco dopo l’avvio del progetto del viale a lui dedicato, nel 1953 Stalin morì e passò presto dall’essere il leader indiscusso dell’Unione Sovietica a essere fortemente criticato dai suoi successori, che avviarono il cosiddetto processo di destalinizzazione. Il leader della DDR, Walter Ulbricht, si uniformò alla decisione di Mosca di dimenticare Stalin e voltare pagina: in una notte del 1961 fece asportare, distruggere e fondere la statua di Stalin e cambiare il nome alla strada. Stalinallee divenne Karl-Marx-Allee.
L’orecchio e i baffi conservati al Café Sibylle furono raccolti clandestinamente e nascosti da uno degli operai incaricati dello smantellamento. Al posto della statua furono costruite 3 fontane, che sono state restaurate e rimesse in funzione nel 2019.
15. La vista odierna del luogo in cui si trovava la statua di Stalin. Dopo il suo abbattimento furono costruite al suo posto tre fontane, che rimasero poi abbandonate e cintate da grate di metallo fino al restauro del 2019.
Proseguendo, su Strausberger Platz si affacciano due condomini (Haus des Kindes e Haus Berlin), ispirati al grattacielo a Weberwiese, che richiamano le due torri di Frankfurter Tor e segnalano la continuazione del percorso del visitatore proveniente da est verso il centro della nuova Berlino. Nelle intenzioni dell’architetto i due edifici, sviluppati in verticale con al centro una fascia quasi trasparente creata da moltissime finestre, avrebbero dovuto rappresentare il futuro luminoso della società e la serenità dei futuri abitanti degli appartamenti.
16. Strausberger Platz nel 1953, nel pieno dei lavori di costruzione di Stalinallee.
Questi due palazzi sono fra gli elementi più riconoscibili dell’iconica scena del film Good Bye, Lenin!, in cui la madre del protagonista esce di casa per la prima volta dopo la caduta del Muro e osserva la statua di Lenin trasportata da un elicottero sopra Karl-Marx-Allee. Se da Strausberger Platz si percorre Lichtenberger Strasse verso nord, si raggiunge infatti piazza delle Nazioni Unite (Platz der Vereinten Nationen), la ex piazza Lenin al centro della quale si trovava la famosa statua.
Il film si prende una serie di libertà creative rispetto agli eventi storici – la vera statua non aveva quella forma, era di granito e non di metallo, fu asportata nel 1991 e non nel 1989 e ridotta in pezzi molto più piccoli prima del trasporto – ma riesce a trasmettere alcuni dei sentimenti provati da una parte degli abitanti della zona, che insieme a storici e ad artisti protestarono contro l’asportazione. Dopo 24 anni di sepoltura sottoterra fuori città, la testa di Lenin si trova ora esposta nella mostra permanente “Svelata. Berlino e i suoi monumenti” (“Enthüllt. Berlin und seine Denkmäler”) alla Cittadella di Spandau.
17. La testa della statua di Lenin esposta nella Cittadella di Spandau.
Oltre Strausberger Platz, in direzione Alexanderplatz, si vedono le costruzioni più recenti e più vicine all’architettura che siamo abituati ad associare all’ex blocco sovietico: palazzoni squadrati, prefabbricati, quasi identici a quelli che troveremmo in una qualsiasi altra città di un qualsiasi altro Paese ex socialista, ma anche edifici simbolici arricchiti da particolari decorazioni. Questo fu il secondo lotto di costruzione del viale, realizzato fra il 1959 e il 1965.
Abbandonato il monumentalismo stalinista abbinato alle tradizioni costruttive nazionali – che aveva caratterizzato la seconda fase dell’architettura della DDR, dopo quella della ricostruzione dell’immediato dopoguerra – qui fu adottato per la prima volta in larga scala il cosiddetto modernismo socialista. Ispirato alle avanguardie sia dell’Est che dell’Ovest, rappresenta la terza fase dell’architettura della DDR, la più originale e fiorente, e sarebbe poi stato ampiamente utilizzato per una serie di edifici di rappresentanza sorti dalla metà degli anni Sessanta (v. Palazzo del Consiglio di Stato, Palazzo della Repubblica, Gästehaus di fronte al Castello di Schönhausen).
La scelta di questo stile ebbe diverse ragioni ideologiche e pratiche: staccandosi dal precedente voluto da Stalin, era in linea con la destalinizzazione avviata da Mosca dopo la sua morte, che impose un nuovo corso non solo alla politica ma anche all’architettura dei Paesi socialisti; si avvicinava a ciò che andava di moda e quindi avrebbe potuto ottenere maggiore riconoscimento in Occidente, mentre lo stile stalinista era stato ridicolizzato come stile da torta di matrimonio; comportava tempi di costruzione e costi inferiori, con l’uso esclusivo di grandi pezzi prefabbricati.
Non solo cambiò lo stile architettonico, ma anche l’utilizzazione del verde pubblico: rispetto al lotto precedente, fu eliminato dal centro del viale e dai marciapiedi per creare uno spazio più adatto alle parate, dove poter facilmente erigere dei palchi.
18. La facciata e la parete laterale del Cinema Internazionale in occasione della parata per il 39° anniversario della fondazione della DDR, il 7 ottobre 1988.
Il Cinema Internazionale (Kino International) è un’icona del modernismo socialista. È anche un edificio simbolo della DDR che dopo la caduta del Muro non ha cambiato né la sua funzione né il suo aspetto interno ed esterno: un caso eccezionale per Berlino, che rende questo cinema molto prezioso dal punto di vista storico. La facciata, con l’enorme vetrata che illumina il famoso “Panorama Bar” di fronte alle porte della sala e la scritta che la sovrasta, le pareti esterne interamente decorate a rilievo, l’elegante foyer e tutta la sala, tranne le poltrone, sono originali.
Dall’inaugurazione nel 1963 si proiettavano qui le prime dei film prodotti dalla DDR, ma anche di film stranieri, alla presenza delle massime autorità del regime. A esse erano riservati la fila 8, che affacciandosi sul corridoio offriva più spazio per le gambe ma anche una via di fuga più veloce in caso di attentati, una sala privata, oggi ribattezzata ironicamente Honecker Lounge, e il bunker antiatomico sotterraneo. Il cinema era anche il centro sociale e culturale della zona: ospitava una biblioteca, sale conferenze, spazi per attività sportive e un club musicale ed era circondato da hotel, bar, ristoranti e negozi.
I rilievi su lastre di cemento delle pareti esterne, nello stile del cosiddetto realismo socialista, sono un ottimo esempio della funzione politico-didattica dell’arte, molto presente negli edifici pubblici della DDR (soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta) e fondamentale qui, dove si dovevano rappresentare ideologia e lusso. Il tema è la vita quotidiana nella società socialista, caratterizzata da gioia di vivere e ottimismo anziché dallo sfruttamento imposto dal capitalismo.
Il Kino International, come punto di riferimento sia del paesaggio urbano che della vita sociale di Berlino Est, ebbe un ruolo anche al momento della caduta del Muro. Il 9 novembre 1989, proprio durante la conferenza stampa in cui fu annunciata la libertà di viaggio per i cittadini della DDR (v. Ministero della Giustizia), era in corso la prima proiezione di “Coming Out”, primo film della DDR che trattava esplicitamente il tema dell’omosessualità. Solo alla fine del film gli spettatori, increduli, iniziarono ad avere qualche notizia, da chi aveva una radio portatile, su ciò che stava per diventare realtà: la possibilità di “uscire” per tutti i cittadini della DDR.
19. Il centro di intrattenimento intorno al Kino International nel 1965. Dall’alto a sinistra il Berolina Hotel (oggi abbattuto), di fronte il Kino International, alla destra del cinema lo storico locale Mokka-Milch-Eisbar e di fronte il Ristorante Mosca. Nell’angolo in alto a sinistra del ristorante si vede una piccola sfera in cima a un palo: è la riproduzione dello Sputnik.
Proprio di fronte al Kino International e parte integrante del centro ricreativo fondato nella zona era il Ristorante Mosca (Restaurant Moskau, ora location per eventi nota come Cafè Moskau). Si trattava di uno dei tanti cosiddetti “ristoranti delle nazionalità”, diffusi lungo Stalinallee/Karl-Marx-Allee, ma non solo, che avevano l’obiettivo di avvicinare i cittadini della DDR alla cucina e alla cultura degli altri Paesi socialisti, da cui di solito proveniva il personale stesso dei ristoranti. Fra gli elementi che aveva in comune con il cinema, e con altri edifici significativi del modernismo socialista, si notano tuttora la grande vetrata, che unisce l’esterno e l’interno dando grande luminosità (sempre simbolo di un futuro radioso), e il mosaico murale intorno all’ingresso, intitolato “La vita dei popoli dell’Unione Sovietica”. Come ulteriore segno di fratellanza fra Berlino Est e Mosca, e simbolo dei successi socialisti nell’industria aerospaziale, per l’inaugurazione del ristorante l’ambasciatore sovietico regalò una riproduzione in scala 1:1 dello Sputnik, il primo satellite artificiale mandato in orbita intorno alla terra nel 1957, che fu installata sopra il tetto.
20. Il mosaico di Bert Heller che decora la facciata del Café Moskau.
Questo lotto di Stalinallee fu completato con la costruzione fra il 1961 e il 1964 della Casa degli Insegnanti (Haus des Lehrers): il primo edificio della nuova Alexanderplatz, rifatta completamente fra la metà degli anni Sessanta e gli anni Ottanta. La scelta di iniziare proprio da questo palazzo non fu casuale ma chiaramente ideologica: prima della guerra vi era la sede dell’associazione degli insegnanti berlinesi, dove si erano svolte nel 1919 la commemorazione dopo l’omicidio dei rivoluzionari comunisti Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht (v. Palazzo del Consiglio di Stato) e nel 1920 la fusione fra il Partito comunista tedesco e il Partito socialdemocratico indipendente. Questo era quindi il punto perfetto su cui fondare, ideologicamente e fisicamente, il nuovo centro della Berlino socialista.
La Casa degli Insegnanti e la Casa del Viaggio (Haus des Reisens), entrambe all’incrocio dell’attuale Karl-Marx-Allee con Alexanderstraβe e Otto-Braun-Straβe, segnalano appunto l’ingresso ad Alexanderplatz: continua così, dopo le torri-grattacieli di Frankfurter Tor e Strausberger Platz, il percorso delle piazze che si susseguono lungo il viale monumentale da cui entra in città il viaggiatore proveniente da est.
21. Alexanderplatz oggi. 1. Casa degli Insegnanti. 2. Casa del Viaggio. 3. Fontana dell’Amicizia fra i popoli. 4. Orologio universale (dietro all’edificio, non visibile). 5. Torre della Televisione. 6. Hotel Park Inn. 7. Alexanderhaus e Berolinahaus.
L’elemento più emblematico della Casa degli Insegnanti è la fascia che avvolge il 3° e 4° piano dell’edificio, dove si trovava la Biblioteca pedagogica centrale: un mosaico colorato alto 7 metri e lungo 125, composto da circa 800.000 tessere, che rappresenta la visione ideale della società socialista, basata su progresso tecnologico, pace, amicizia fra i popoli ed eliminazione delle classi sociali.
22. Il mosaico di Walter Womacka che adorna la Casa degli Insegnanti.
L’artista è Walter Womacka, che fu autore della gran parte dei fregi, mosaici, dipinti e vetrate che adornavano gli edifici più rappresentativi di Berlino Est nello stile del realismo socialista. Alcune sue opere furono distrutte nella fretta delle demolizioni subito dopo la caduta del Muro, come nel caso di un celebre dipinto murale che decorava il Ministero degli Esteri della DDR (v.), mentre altre sono state conservate, ad esempio le vetrate del Palazzo del Consiglio di Stato (v.) e dell’edificio di ampliamento del Castello di Schönhausen (v.), oltre all’incisione di rame “L’essere umano supera il tempo e lo spazio” della Casa del Viaggio.
23. Il rilievo di Walter Womacka che decora la “Casa del Viaggio”.
Questo palazzo è un altro esempio molto significativo di modernismo socialista, sia per la sua architettura, che va molto oltre quella dei palazzi prodotti in serie, che per il suo messaggio ideologico: l’edificio, che ospitava la direzione dell’agenzia viaggi della DDR e gli uffici della compagnia aerea Interflug ed era decorato dal fregio che glorificava i viaggi, addirittura quelli nello spazio, fu eretto dopo la costruzione del Muro che impediva ai cittadini della DDR di viaggiare.
Sempre di Womacka, in collaborazione con altri artisti, è la Fontana dell’Amicizia fra i popoli. Costruita nel 1970, si trova al centro della piazza e ne è uno dei simboli più famosi insieme all’Orologio universale e alla Torre della televisione, inaugurati l’anno prima durante le celebrazioni per il 20° anniversario della nascita della DDR.
Anche in questi casi l’ideologia non mancava: l’orologio mostrava la grandezza del mondo fuori dai confini della DDR, che i cittadini non potevano vedere, mentre la sfera della torre della televisione doveva ricordare lo Sputnik e diffondere una luce rossa, in omaggio all’Unione Sovietica. In realtà, come si vede tuttora, il sole si riflette sulla sfera formando una croce di luce: effetto certamente non gradito al regime, così come il soprannome “San Walter” (da Walter Ulbricht) che il popolo diede alla torre proprio per questo motivo.
Altro edificio rappresentativo dell’Alexanderplatz della DDR è l’Hotel Stadt Berlin, attuale Hotel Park Inn, tuttora il più grande hotel di Berlino, inaugurato nel 1970 per il 21° anniversario della DDR.
Chi conosce da tempo Alexanderplatz la vede oggi molto diversa anche solo rispetto a com’era nei primi anni Duemila, ma i cambiamenti avrebbero potuto essere molto maggiori se fosse stato realizzato un progetto del 1993, che prevedeva la costruzione di una serie di grattacieli e l’abbattimento di alcuni degli edifici che abbiamo descritto.
In due fasi, all’inizio degli anni Novanta e vent’anni dopo, sono stati posti sotto tutela diversi palazzi costruiti all’epoca della DDR, la fontana, l’orologio e Alexanderhaus e Berolinahaus, gli unici due edifici della piazza che erano sopravvissuti alla Seconda Guerra Mondiale. Costruiti fra il 1929 e il 1932 in stile Bauhaus, furono distrutti da incendi e bombardamenti, ma poterono essere ricostruiti nei primi anni Cinquanta perché ne era rimasta intatta la struttura.
24. Il vecchio e il nuovo ad Alexanderplatz nel 1971: a destra l’Alexanderhaus, a sinistra la Casa degli Insegnanti, fra le due la sala congressi che fu anche sede temporanea della Casa del Popolo della DDR. In primo piano l’Orologio Universale.
25. La Torre della Televisione in costruzione nel 1969. A sinistra della torre il Municipio Rosso e, accanto, il quartiere di Nikolaiviertel ancora distrutto prima della ricostruzione (v. capitolo successivo).
1 - Museo della Stasi
2 - Frankfurter Tor
3 - Cinema Kosmos
4 - Case di ringhiera
5 - Grattacielo a Weberwiese
6 - Karl-Marx-Buchhandlung
7 - Café Sibylle
8 - Fontane dove si trovava la statua di Stalin
9 - Strausberger Platz
10 - Cinema Internazionale
11 - Ristorante Mosca
12 - Casa degli Insegnanti