Читать книгу Politica estera: memorie e documenti - Francesco Crispi - Страница 7
Оглавление— È purtroppo così; ma bisogna distinguere i tedeschi dalla Corte imperiale di Germania, i primi avversarii, l'altra amica della Russia.
Le frontiere della Russia sono rigorosamente chiuse alle nostre merci ed ai nostri cittadini. Voi non potete immaginare quante noie diano la polizia ed i doganieri russi ai tedeschi e quanto sia difficile viaggiare in Russia.
Ora, coteste voci si ripetono tutti i giorni e tutti i momenti, e siccome il popolo giudica dai fatti che toccano da vicino i suoi interessi, così le antipatie aumentano in proporzione del danno che esso riceve.
— È possibile tutto ciò, ma la Germania ha vincoli politici con la Russia e bisogna che tutte e due sappiano intendersi e procedere d'accordo.
La Prussia è interessata come la Russia a mantenere le provincie acquistate sul finire del secolo XVIII nel riparto della Polonia. Or bene, a cotesto scopo le Corti di Berlino e di Pietroburgo sono costrette a fare una eguale politica.
— No, voi v'ingannate. Cotesto è un affare d'interna amministrazione e la Germania non ha bisogno dell'ausilio degli altri per garentire i suoi possedimenti nelle provincie dove le popolazioni non sono tutte tedesche. Nella Prussia occidentale e nel ducato di Posen, i veri polacchi sono in campagna e questi sono docili, operosi ed obbedienti. Ivi i signori non hanno una vera influenza.
Le città sono in gran parte germanizzate. A Posen è tedesca metà della popolazione, e a Danzica se i polacchi sono in maggioranza, non per questo sono temibili (ils ne sont pas à craindre pour cela). La città fiorisce pei suoi commerci, e la popolazione non ci guadagnerebbe a separarsi dalla Germania.
Del resto, Danzica ha una forte guarnigione, e una piazza militare di prim'ordine ed in conseguenza non è facile a prendersi, e ricordate quello che ci volle al 1813 per farla capitolare.
— Che la Germania nella Prussia occidentale possa in tempi ordinarii mantenere la sua autorità, non ho ragione di contrastarlo. Dubito, però, che ciò possa fare in caso di una rivoluzione.
Ricorderete certamente la insurrezione polacca del 1863 e non avrete dimenticato che, allora, Prussia e Russia credettero necessario un trattato[7] per cooperare a reprimerla. Le insurrezioni sono contagiose, massime quando sono animate dal principio di nazionalità.
— Ma al 1863 non avevamo la Germania.
— Sia pure, ma bisogna anche ricordare che nelle provincie di origine polacca la popolazione è cattolica ed i cattolici danno molto da fare. Fra i cattolici, il clero e la popolazione di Posen sono i più attivi ed i più arditi.
— Questa è tutt'altra cosa. Il partito cattolico è forte in tutta la Germania; ha danaro, ha giornali, ha una potente organizzazione. Il partito cattolico però costituisce una vera minoranza in tutto l'impero. Può dare fastidii, ma non sarà mai temuto. È un partito come un altro, il quale è obbligato a rispettare le leggi e però può essere tenuto a freno.
— Permettetemi intanto di farvi osservare che nelle provincie polacche la questione è del tutto diversa.
Nelle provincie tedesche i cattolici sono tedeschi ed essi non possono volere la caduta dell'impero. I cattolici polacchi nulla hanno di comune con la Germania; la loro patria è altrove e nella lotta religiosa troverebbero anche il modo di rivendicare la loro nazionalità.
— Convengo con voi sulla gravità della questione, ma il principe di Bismarck sa il suo mestiere e ne ha dato prove in tutte le occasioni. A lui non riuscirà difficile tenere i polacchi al posto, qualora volessero turbare la pubblica pace. Nel novembre 1870, il clero di Posen, con lo arcivescovo alla testa, prese l'iniziativa per una agitazione in favore del potere temporale del Papa. Fu un inutile conato innanzi alla ferrea volontà del Principe. Il movimento si estese, ma non prese mai forma politica. Vennero le leggi di maggio col voto di tutti i partiti nazionali e col plauso di tutta la Germania ed altre leggi verrebbero, se mai fossero necessarie. Il Principe era interessato a mantenere salda l'amicizia della Germania coll'Italia, ed i cattolici dovettero cedere ed obbedire.
— Come italiano io devo essere riconoscente al governo tedesco pel suo contegno in tutto ciò che possa interessare il mio paese. Ma voi non avete trovato ragioni sufficienti per convincermi che, nella questione polacca, la Russia e la Prussia non abbiano bisogno di procedere d'accordo.
Dopo ciò, mi sono alzato ed il mio interlocutore comprendendo quale fosse il mio desiderio, si è congedato.
Vedo il di Holstein e lo prego a volermi avvisare se e quando potrei vedere il principe di Bismarck.
23 settembre. — Ricevo la seguente lettera del signor di Holstein.
«Monsieur le Président,
Le Prince part dans l'après midi de demain, lundi, plus tôt qu'il n'en avait eu l'intention. Cependant il espère vous voir encore. Peut-être aurez vous l'obligeance de venir me trouver un peu avant une heure. À une heure, le Prince compte être libre. Veuillez agréer, monsieur le Président, l'expression des mes sentiments de très haute considération.
Dimanche.
Holstein.»
Alla mezza mi recai dal sig. di Holstein, nell'ufficio della Grande Cancelleria. Egli mi annunziò che il Principe era molto occupato e che non aveva potuto ricevere alcuni ministri esteri. Soggiunse che mi riceverà domani all'una pomeridiana.
Il sig. Holstein mi disse che il Principe aveva incaricato il dottor Leonhardt, ministro di Stato, dello studio della tesi sulla parificazione degli italiani ai tedeschi nell'esercizio dei diritti civili in Germania. Mi consigliò di andare da Leonhardt e d'intendermi con lui su cotesto argomento.
Si parlò del banchetto e del pranzo alla Corte di Potsdam. Il Principe era lieto di coteste manifestazioni.
Alle due e mezza, accompagnato dal conte di Launay vado al Ministero di Giustizia per rivedere il dottor Leonhardt. Questi è un uomo sui 60 anni: viso aperto, maniere affabili. Entrammo subito in materia. Dissi come sia oramai giunto il tempo che all'infuori della vita politica cessi ogni disparità di trattamento tra i cittadini dei vari Stati. Nella sfera delle relazioni individuali un giure universale deve garentire gli stessi diritti in ogni paese a tutti gli uomini, senza distinzione di nazionalità. Ricordai che l'Italia col suo nuovo Codice aveva dato l'esempio agli altri popoli, ammettendo gli stranieri al pieno esercizio dei diritti civili. Osservai essere deplorevole che nessun governo ci avesse seguito in quella via. Dimostrai la necessità di un trattato tra la Germania e l'Italia per togliere ogni difformità nelle legislazioni dei due paesi.
Il Leonhardt si dichiarò favorevole e promise che si sarebbe adoperato per esaudire i nostri desideri.
23 settembre. — Alle 4 ½ giungono al Kaiserhof gli onorevoli Loewe e Dernburg; e ci rechiamo insieme alla trattoria dell'Europa (Poppenberg), la quale è sita nella strada Unter den Linden (Sotto i tigli).
Il banchetto era preparato nella gran sala, con molta semplicità, ma con vera eleganza.
Vi trovai il conte di Launay, il quale mi aveva preceduto, membri del Reichstag e delle due Camere del Landtag, plenipotenziarii al Consiglio Federale, direttori ministeriali, e sottosegretari di Stato, il Borgomastro di Berlino, artisti, scienziati, giornalisti. Al banchetto era rappresentato ogni partito politico, il nazionale in maggioranza, il progressista quasi al completo, e per la Destra era il sig. Grävenitz.
Appena arrivai, il presidente von Bennigsen fece le presentazioni; e poco dopo ci siam posti a mensa. Il presidente della Camera Prussiana aveva me alla sua sinistra, il conte di Launay a destra.
Venuta l'ora dei brindisi, il signor de Bennigsen si levò e propose un evviva a Guglielmo imperatore ed al re Vittorio Emanuele.
Tutti si alzarono entusiasti, acclamando i due sovrani.
Vi fu un momento di pausa; ed il Bennigsen surse nuovamente, e propose un brindisi in onore del Presidente della Camera italiana. Egli parlò in francese, ed i brindisi, che poscia seguirono, furono quasi tutti in francese.[8]
L'oratore ricordò gli antichi rapporti intellettuali e scientifici fra l'Italia e la Germania. Parlò delle bellezze artistiche e naturali della penisola, le quali in ogni tempo attrassero i tedeschi a visitarla ed esercitarono sui medesimi un predominio morale.
Accennò di volo alle lotte medioevali, ma subito soggiunse che, alle guerre di conquista, succedettero i tempi di pace, nei quali il mutuo affetto fra le due nazioni fu cementato dal vincolo degli interessi comuni.
«La Germania — egli disse — sente per l'Italia una franca e leale amicizia. Le due nazioni hanno le medesime aspirazioni e gli stessi scopi, il mantenimento dell'unità nazionale, lo svolgimento di una costituzione liberale e parlamentare. Esse devono difendere in comune cotesti beni, e devono con la loro unione rendersi prospere all'interno, forti e rispettate all'estero. Così nel presente, come nell'avvenire, l'Italia e la Germania sono interessate a procedere d'accordo.
Saranno pochi in questa sala coloro i quali non abbiano visitato l'Italia, mentre avvien di rado che un italiano giunga fra noi, ed affronti il nostro clima, forse troppo temuto. Quindi è che ci dobbiamo tanto più rallegrare della presenza del nostro ospite.
Nel sig. Crispi, noi onoriamo uno dei più valorosi uomini del suo paese, un uomo animato da un entusiastico amor di patria, eminente per grande avvedutezza politica e per conoscenza di tutto ciò che possa meglio giovare alla terra natia.
Vogliate dunque associarvi a me con un evviva all'unione delle due nazioni, alla gloria ed alla grandezza d'Italia, al Presidente della Camera dei deputati italiani, uno dei più nobili figli del suo paese».
Tutti si alzarono ed acclamarono. Fui quindi anch'io obbligato a parlare e mi dichiarai innanzi tutto dolente di non poter adoperare la lingua tedesca. Ringraziai in nome dell'Italia e dissi che al di là delle Alpi viveva per i tedeschi un popolo di fratelli. Il giorno in cui l'Italia e la Germania si sono rilevate, esse hanno compreso la solidarietà dei loro interessi. Ricordai lo stato dei due paesi dal medio-evo al 1815. L'antico impero non ebbe vera grandezza, fu reazione e dispotismo; il Congresso del 1815 negò all'Italia come alla Germania ogni esistenza politica nel vecchio continente. Fortunatamente il movimento nazionale iniziato nel 1848, dopo infinite prove e sacrifizi, e grazie alle due dinastie che compresero lo spirito del popolo e le tendenze dei loro tempi, ci ha condotto alla costituzione di due nazioni le quali, vivificate all'interno dalla libertà, sono all'estero un pegno di pace per l'Europa.
Il nuovo impero germanico nulla ha da fare con l'antico, la bandiera di Ratisbona fu abbassata; la bandiera attuale è segnacolo di libertà e di unità, e ispira fiducia all'Italia. Conclusi proponendo un brindisi all'Imperatore, rappresentante dell'unità germanica, e alla perpetua amicizia della Italia e della Germania.
Parlarono poi Schulze-Delitzsch; l'ambasciatore d'Italia di Launay, e il borgomastro di Berlino, Dunker, il quale dopo aver ricordato che l'Italia fu madre di civiltà agli altri popoli, propose un saluto a Roma, applauditissimo.
24 settembre. — Alle 11 visita alle carceri correzionali. Divisione dei giovani dagli adulti — gli opifici comuni e le nicchie da letto — la sinagoga e la cappella — le celle ed il lavoro — trenta mestieri — le scuole — la cucina, l'infermeria — gl'impiegati — i soldati di guardia alla porta del carcere.
All'una, visita al principe di Bismarck.
Seguendo il consiglio del barone di Holstein salii all'appartamento del Gran Cancelliere. Appena introdotto, il Principe si levò, ci siamo stretti affettuosamente la mano, ed io:
— Non volevo lasciar Berlino senza avervi veduto.
— Ed io son venuto apposta a Berlino per darvi la promessa risposta.
Per la reciprocità, fra i due paesi, nel godimento dei diritti civili, sulla base dell'art. 3 del vostro Codice, noi siamo pronti a stipulare il trattato.
Mandate la regolare autorizzazione e faremo tutto.
— Non è questo solo che io desidero, e che il mio Re domanda. Che mi dite del progetto di alleanza tra il regno d'Italia e l'impero germanico nel caso che l'uno o l'altro o ambedue fossero attaccati dalla Francia?
— Non ho visto ancora il Re e non è cosa di cui potrò scrivergli. Bisogna parlargli e riceverne gli ordini a voce.
— Ma in Germania chi più potente di Bismarck? Se siete deciso, se ritenete che quello che io propongo è utile ai due paesi, il Re non ha motivo di esservi contrario.
— Io sono pronto a negoziare. Fatevi spedire il mandato e ci metteremo d'accordo per la stipulazione del trattato.
— Su quali basi? Quali dovranno essere i principii regolatori? E che faremo per l'Austria?
— Vi dissi, che per la Francia son pronto a trattare: per l'Austria no. La posizione nostra coi due paesi non è la stessa. Lo stato attuale della Francia è incerto. Nella lotta tra Mac-Mahon e il Parlamento non sappiamo chi riuscirà vincitore. Il General Presidente, col suo proclama elettorale, si è molto compromesso e non sappiamo se dalle prossime elezioni generali verrà una Camera monarchica. Un Re non si potrà sostenere che con l'esercito, il quale vorrà la rivincita....
— Ed io vi soggiungo che si appoggerà anche sul clero, il quale vorrà la restaurazione del potere temporale del Papa.
— Nissuno di cotesti pericoli possiamo temere dall'Austria, ed a noi conviene tenercela amica. Vado anche più in là: io non voglio neanco presumere che possa divenirci nemica. Del resto, se essa cangerà politica, il che non credo, avremo sempre tempo per intenderci.
— Limitiamoci dunque alla Francia.... Ma su quali basi dovrà essere il nostro trattato?
— L'alleanza dovrà essere difensiva ed offensiva. Non perchè io voglia la guerra, che farò tutto il possibile per evitare, ma per la natura stessa delle cose.
Immaginate, per esempio, che i francesi raccolgano duecento mila uomini a Lione. Lo scopo è manifesto. Dovremo noi attendere che ci attacchino?
— Va bene. Riferirò al Re le vostre idee, e manderemo i regolari mandati per la stipulazione dei due trattati.
— Pel trattato sulla reciprocità nello esercizio dei diritti civili nei nostri paesi, i poteri potrete mandarli a di Launay, per l'alleanza preferirei trattare con voi.
— Va bene. Di questo argomento parlerò a S. M. il Re e prenderò gli ordini suoi.
— Vidi Andrássy, e gli dissi che eravate stato da me, e che il Governo italiano vuol vivere in una buona amicizia coll'Austria. Ne fu lieto e mi incaricò di salutarvi.
Ragionando, gli riferii che l'Italia non vorrebbe che l'Austria si prendesse la Bosnia e l'Erzegovina.
— Gli affari russi vanno male, e quest'anno la campagna è finita. L'Austria non ha intenzione alcuna di muoversi.
Fareste bene di vedere Andrássy. Troverete in lui un buonissimo amico.
— Permettetemi, Altezza, che or v'intrattenga di un argomento il quale è di vitale interesse per l'Italia.
Pio IX è avanzato negli anni e non tarderà quindi a partire da questo mondo. Avremo forse presto un conclave per la nomina del successore. È vero, che voi, Governo protestante, non siete nella posizione dei governi cattolici per preoccuparvi della futura elezione del romano pontefice, ma nella Germania avete popolazioni cattoliche e clero cattolico e non potete disinteressarvi di quello che avverrà nel Vaticano.
— A me importa poco chi possa essere il successore di Pio IX. Un Papa liberale sarebbe forse peggiore di un reazionario. Il vizio è nell'istituzione, e l'uomo, chiunque esso sia, qualunque siano le sue opinioni e le sue tendenze, poco o nulla potrà influire nell'azione della Santa Sede. In Vaticano quella che domina è la Curia.
— Purtroppo è così, e voi avete dovuto farne la prova nella acerba lotta che avete durato dal 1870 in poi col clero cattolico. Noi italiani ve ne siamo grati.
— Ma io non posso parimenti esser grato al Governo italiano.
Voi avete messo il Papa nella bambagia, e nissuno lo può colpire.[9] Sin dal marzo 1875 noi avevamo richiamato l'attenzione del governo italiano sui pericoli che contiene, per le altre Potenze, la legge sulle guarentigie della Santa Sede.
La questione è rimasta aperta.
— Come saprete, io combattei quella legge quando fu discussa in Parlamento.
Dopo lo scambio d'idee di minor importanza, ci siamo congedati con un arrivederci.
24 settembre. — Alle 8 pranzo a Potsdam — Il fidanzato della principessa Carlotta — Le fortificazioni di Roma — Principe di Sassonia-Meiningen.
25 settembre. — Pranzo da di Launay — Prima al Municipio.
«Berlino, 25 settembre 1877.
a S. M. il Re d'Italia.
Sire!
In esplicazione del mio telegramma del 10 corrente e di quello d'oggi, sento il dovere di rassegnarle come io abbia adempiuto presso S. A. il principe di Bismarck alla missione affidatami da V. M. d'accordo col Presidente del Consiglio dei Ministri.
I temi della missione, i quali furono oggetto dei colloqui avuti il 17 a Gastein ed il 24 a Berlino erano questi:
Alleanza eventuale con la Germania nel caso di una guerra con la Francia o con l'Austria.
Accordi nella soluzione delle varie questioni che potran sorgere in conseguenza della guerra turco-russa in Oriente.
Parificazione dei tedeschi e degli italiani nell'esercizio dei diritti civili in ciascuno dei due Stati.
Il Principe fu assolutamente negativo per un trattato contro l'Austria. Lo accolse volentieri contro la Francia, quantunque esprimesse la speranza che quest'ultima Potenza saprà tenersi tranquilla e non vorrà rompere la pace europea.
Anch'io dichiarai che noi nutrivamo cotesta speranza; ma feci riflettere — ed il Principe fu del medesimo avviso — che in caso di un trionfo, nelle prossime elezioni politiche, del partito reazionario, e della possibile caduta della repubblica, il governo il quale gli succederebbe avrebbe bisogno di ricorrere alla guerra per rifarsi delle sconfitte del 1870, e per avere autorità nel suo paese.
In quanto al contegno dell'Austria verso di noi, il Principe se ne disse dolente ed espresse il desiderio che fra i due governi si potesse stabilire un accordo cordiale.
Avendogli intanto fatto osservare, che se dopo il 1866 l'Austria ha bisogno di pace, essa non potrà dimenticare i danni patiti e sentirà, in un avvenire più o meno lontano, la necessità di riprendere la sua posizione in Germania, Sua Altezza rispose voler credere che ciò non avvenga. Una sola ragione vi potrebbe essere di dissidio tra i due imperi, e sarebbe quella in cui l'Austria volesse incoraggiare col suo contegno un movimento in Polonia. L'Austria — disse il Principe — solletica le ambizioni della nobiltà polacca. Nulladimeno — soggiunse — le cose non sono al punto da suscitar pericoli. Lasciatemi aver fede in quel governo. Se venisse il giorno che le mie previsioni fosser deluse, avremmo sempre tempo per intenderci, e potremmo allora stipulare un'alleanza.
La mia convinzione è che il Principe vuol tenersi stretto all'Austria, e parmi poter dedurre dalle sue parole che egli intenda esser d'accordo col gabinetto di Vienna, e vorrebbe che anche noi lo seguissimo in cotesta politica. La lontana ipotesi di una rottura fra i due imperi non mi parve conturbare l'animo di S. A. In quanto all'Italia mi dichiarò francamente che se Essa rompesse con l'Austria se ne dorrebbe, ma egli non farebbe la guerra per questo.
Sulle cose d'Oriente il Principe dichiarò che la Germania è disinteressata e che, in conseguenza, S. A. accetterebbe qualunque soluzione, la quale non turbasse la pace europea.
Immantinenti risposi, che l'Italia non potrà dirsi disinteressata anch'essa. Parlai allora delle voci in corso di mutamenti territoriali e delle proposte russe di far prendere all'Austria la Bosnia e l'Erzegovina onde averla amica.
Sul proposito ricordai le condizioni in cui ci troviamo dopo il trattato di pace del 1866 e come ogni aumento di territorio pel vicino impero sarebbe al nostro paese di danno. Le nostre frontiere, io dissi, sono aperte ad oriente, e se l'Austria si rinforzasse nell'Adriatico noi saremmo stretti come da una tenaglia e non saremmo punto sicuri.
Soggiunsi: «Voi dovreste aiutarci in questa occasione. Noi siamo fedeli ai trattati e nulla vogliamo dagli altri. Voi dovreste domani dissuadere il conte Andrássy da ogni desiderio di conquiste nel territorio ottomano».
Il Principe rispose ch'egli non voleva discorrere con Andrássy di tutto ciò, cotesti argomenti potendo essere dispiacevoli al Gran Cancelliere austriaco. Crede però che un accordo sarebbe possibile e propone, nel caso in cui l'Austria avesse la Bosnia e l'Erzegovina, che l'Italia si prendesse l'Albania, od altra terra turca sull'Adriatico.
Nel colloquio di ieri avendo discorso nuovamente delle varie materie trattate a Gastein, il Principe, mentre ero per congedarmi, mi dichiarò ch'egli aveva parlato col Cancelliere austriaco della nostra opposizione a che l'Austria prendesse la Bosnia e l'Erzegovina. E soggiunse: «Andate a Vienna. Son sicuro che potrete intendervi col conte Andrássy».
Un viaggio a Vienna è necessario per conoscere meglio le intenzioni dell'Andrássy sul problema orientale e per vedere se un accordo con l'Austria sarebbe possibile. Lo farò dopo essere stato a Londra, dove andrò domani, siccome ho già telegrafato a V. M.
Sulla parificazione dei tedeschi e degli italiani in ciascuno dei due Stati, nello esercizio dei diritti civili, il Principe non fece alcuna obbiezione, anzi l'accolse di buon animo. Il Principe mi parlò di un trattato che la Germania ha con la Svizzera, credo per i cittadini di Neuchâtel, e vorrebbe che lo prendessimo a base di quello che dovrebbe essere stipulato tra l'impero di Germania e il regno d'Italia.
Pel trattato eventuale di alleanza contro la Francia il Principe mi disse che avrebbe preso gli ordini dall'Imperatore. Per quello speciale per l'esercizio dei diritti civili, desidera che sia fatto presto, ed in conseguenza che se ne diano da V. M. i poteri al conte di Launay.
Altri argomenti di minore importanza furono discussi il 17 e il 24 corrente, ma tralascio di parlarne perchè dovrei estender molto i limiti di questa lettera. Ne farò una speciale esposizione a V. M. al mio ritorno in Italia in quella udienza che la M. V. si degnerà di accordarmi.
Sempre agli ordini di V. M., mi ripeto con tutta devozione e con affettuoso rispetto, etc.»
26 settembre. — Visita di congedo al segretario di Stato Friedberg e al ministro di Bülow.
27 settembre. — Prima di lasciare Berlino invio il seguente telegramma:
«a S. M. l'Imperatore Guglielmo.
Baden-Baden.
Essendo sul punto di dire addio alla Germania, sento il vivo rincrescimento di non aver potuto ossequiare personalmente Vostra Maestà, e l'obbligo di ringraziare vivamente la M. V. come capo supremo della grande nazione per le prove di simpatia date all'Italia dal nobile popolo tedesco.
Francesco Crispi.»
Parto da Berlino alle 10.45 di sera dalla stazione di Potsdam. A Potsdam il sonno mi coglie malgrado il freddo intenso.
27 settembre. — Mi risveglio a Kreiensen.
Alle 5 pom. siamo ad Ostenda; alle 8 ½ c'imbarchiamo per l'Inghilterra.
28 settembre. — Giungo alla stazione di Connon-Street alle 4 del mattino.
Il marchese Menabrea — Alla ricerca di Stansfeld — Presentazione all'Athenaeum Club — Carte da visita allo Speaker, al lord Chancellor, al lord Chief-Justice, a lord Beaconsfield, a lord Derby.
«Roma, 26 7.bre 1877.
Caro Crispi,
La mia salute s'è guastata a Stradella. Era uno de' soliti attacchi artritici che fu da me trascurato e mal curato dal medico. Costretto a recarmi a Roma ove la mia presenza era necessaria, ho inasprito il mio male colla fatica del viaggio, e a Roma l'attacco artritico si estese ai visceri. La malattia era nojosa e minacciava d'essere lunga quantunque non fosse grave. Vinse, però, la mia buona natura e mediante purganti e senapismi il male si è mitigato. Non posso ancora reggermi in piedi, ma è affare di qualche giorno. Fra tre o quattro giorni sarò intieramente libero considerandomi adesso in piena convalescenza.
Il tuo viaggio avrà questo notevole risultato: la diplomazia ha cominciato a conoscerci, a renderci giustizia, a trattare apertamente con noi. Fummo lungamente cospiratori per l'unità del nostro paese, siamo stati rispettati come deputati di parte liberale, ora otterremo di essere apprezzati come uomini di governo. Quando sarai qui c'intenderemo per rendere fruttuoso e sicuro il risultato della tua missione.
Ora eccoti alcune notizie che è bene tu sappia per regolare l'epoca del tuo ritorno a Roma.
E prima delle cose interne.
Zanardelli aveva offerto le sue dimissioni perchè gli avevo telegrafato che il ritardo nella stipulazione delle convenzioni era una calamità. Risposi con moderazione ed ottenni il suo assenso a proseguire i negoziati. Spero dunque ancora di conchiudere senza attraversare una crisi.
Da Mancini spero poco perchè non spero che la sua salute si ripristini completamente. Sarà uno dei nostri più grossi fastidj.
Ma vi è un altro guajo.
Venne a Roma Cialdini e si mostrò molto malcontento di Mezzacapo per le giubilazioni nell'esercito, e di Nicotera pei settanta commendatori, e parlò della sua dimissione non immediata, ma fra breve. La dimissione di Cialdini ci farebbe molto male ed è perciò che se ritornando in Italia passi da Parigi faresti bene a vederlo ed a persuaderlo di non toglierci il suo appoggio. Egli mi disse di averti parlato e che tu gli hai detto che un allargamento dei quadri sarebbe stato accettato dalla Camera. Io non so se la cosa sarebbe passata facilmente, e non voglio sostenere che nelle disposizioni date da Mezzacapo non ce ne siano di sbagliate, ma il certo si è che qualche cosa bisognava fare, e che adesso bisogna ad ogni costo impedire che il generale Cialdini si dimetta. Sai che il partito ha accolto bene i provvedimenti di Mezzacapo e che un atto ostile contro di lui ferirebbe e partito e ministero e forse aprirebbe una breccia per la quale potrebbero entrare i nostri avversarii politici.
Venendo alle cose estere, è bene che sappi che di Launay ha scritto a Melegari della tua visita a [Bismarck][10] e fece notare le parole che [Bismarck] disse ad [Andrássy]. Quelle parole sono però diventate per noi un programma, all'attuazione del quale è d'uopo adoperarci. Purtroppo non conosciamo la risposta di [Andrássy] e certo a [Vienna] le nostre esigenze incontreranno opposizioni vivissime; ci vorrà da parte nostra molta abilità, molta fermezza, ed anche un po' di fortuna per riuscire.
Le osservazioni che a questo proposito tu hai fatte a [Bismarck] bisognerà che le faccia con prudenza a [Derby]. Colla [Inghilterra] noi abbiamo molti interessi comuni, nessun interesse contrario. Vivissimo è il nostro desiderio di mantenerci con essa in perfetto accordo. E questo è anche il nostro interesse, poichè quando fossimo involti in una guerra l'amicizia del [Inghilterra] è la sicurezza delle nostre [piazze], cioè delle nostre grandi città.
Tu parlando con gli uomini di Stato [Inglesi] potrai toccare un argomento delicato e che non devesi sviluppare se non si presenta occasione propizia e sempre adoperando molta prudenza.
In questi ultimi tempi fummo male giudicati da una parte della stampa inglese. Vi fu chi sospettò un'alleanza dell'Italia con l'Austria, alleanza che non ha mai esistito nel pensiero di nessuno. Ultimamente il Foreign Office pubblicò un manifesto sui passaporti che i sudditi inglesi erano invitati a ritirare quando volessero recarsi in Italia. Quell'annunzio era un'offesa immeritata all'Italia e al suo Governo che sempre ha accolto, ed accoglierà sempre i sudditi britannici colla più grande simpatia. E non siamo noi gli avversarj del papato, che è il più antico nemico dell'Inghilterra? — Ora, molti credono in Italia che questi umori dipendono in gran parte da una sola persona. Noi non godiamo le simpatie dell'attuale Ambasciatore britannico a Roma, che è un amico intimo dei nostri avversarj politici.
Su questo punto, ed anche perchè ne dica una parola al nostro Ambasciatore, io mi rimetto alla tua prudenza.
Io ti sarò molto grato se vorrai telegrafarmi da Londra quello che vi si pensa sul risultato delle prossime elezioni in Francia. Questi pronostici mi saranno utili anche dal punto di vista finanziario.
E ti prego ancora di telegrafarmi il tuo itinerario per mia norma, e il giorno in cui speri di poterti trovare a Roma. La situazione parlamentare io la spero buona perchè la situazione delle finanze è buona: ma questo non è che un lato del problema che dobbiamo risolvere, e per consolidare al potere il partito liberale occorre ancora studio e lavoro non poco e fatica molta.
Credimi sempre
l'aff.mo tuo A. Depretis.
P.S. Telegrafa la ricevuta di questa per mia quiete.»
«Londra R 1 / 10
dº dº
(Telegramma).
Ho tua lettera.
Telegraferò mio ritorno, dopo che avrò visto Derby.
Crispi.»
«Londra, 3 ottobre 1877.
Caro Depretis,
Ebbi ieri la tua lettera. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Vedrò Cialdini al mio passaggio da Parigi, e se affretterò il mio ritorno tenterò di vederlo in Italia.
Parlammo con lui dell'esercito e della difesa del paese.
Non si mostrò contento delle disposizioni date da Mezzacapo. Ma venendo ai particolari convenne che molti dei giubilati erano ferri vecchi, e che quei messi in disponibilità o trascurati potrebbero alla prima occasione essere rimessi onorevolmente a posto.
In verità, al Ministero della Guerra si fu poco rispettosi degli elementi che venivano dalla rivoluzione, mentre si usarono tutti i riguardi a coloro che fino al 1860 furono nemici nostri. Che ti pare di Pianell, il quale comanda Verona, alle porte d'Italia, a pochi passi dal Tirolo? Ed aggiungi, che è una fortezza, cotesta, che avrebbe dovuto esser distrutta, e che gli austriaci ambiscono, che riprenderebbero alla prima occasione, e che facilmente muterebbero a nostra offesa. In Germania mi dicevano che non si è voluto atterrarla per non dispiacere al Pianell.
Comunque sia, coteste son cose che accomoderemo.
Cialdini se ne persuaderà ed io metterò tutta l'opera mia, perchè egli non proceda ad un atto che sarebbe interpretato a nostro danno.
Io non poteva nascondere a di Launay ch'ero stato con Bismarck. Siccome ti telegrafai, tenni a lui solamente segrete le trattative per l'alleanza contro la Francia. Egli però mi portò sempre a leggere le lettere ed i telegrammi, prima che fossero spediti. E voglio credere che tu li abbia letti tutti.
Bisogna assolutamente andare a Vienna e vedere Andrássy. Colà il partito militare è deciso, appena glie se ne offrirà l'occasione, di occupare la Bosnia.
Il Governo germanico non si oppone, ma non ha dichiarato che lo permetta. Anche qui non erano contrarii, a quanto me ne dice Menabrea, ma quando seppero che noi non potevamo permetterlo senza compenso territoriale alle Alpi, finirono per darci ragione.
In tale stato di cose un linguaggio franco e risoluto, una dichiarazione che li assicuri del nostro consenso e del nostro aiuto a condizioni nettamente determinate, ci dovrà giovare, e non potrà nuocere.
Io mi sento la potenza di farlo cotesto discorso e se tu consenti prenderò la via di Vienna. Se pensi altrimenti farò subito ritorno in Italia. Su questo attendo un tuo cenno col telegrafo, all'arrivo della presente.
Disraeli è malato. Derby è a Liverpool ed attendo un suo avviso per sapere il giorno in cui ci potremo vedere. Farò a lui le osservazioni opportune sull'argomento di cui più innanzi ti ho intrattenuto, e non dubito della favorevole di lui risposta. Mi verrà agevole discorrere di tutto ciò, dopo che so ch'egli è ben disposto.
La stampa inglese non ci è stata amica, e ne siete colpa un po' voi, perchè non l'avete curata e l'avete lasciata in balìa dei moderati. Ed in questo paese i giornali sono potentissimi, e bisogna saperne far conto. E vedi in proposito di ciò qualche cosa che mi riguarda. Ieri il Times pubblicò un telegramma del suo corrispondente romano, nel quale si dice che il mondo officiale e diplomatico di costà è male impressionato dei miei discorsi in Berlino e del mio telegramma all'imperatore Guglielmo. Cotesto è un eco di alcune parole dell'Opinione del 29, che i vostri giornali lasciarono passare.
I miei discorsi a Berlino furono costituzionalissimi e corretti. Nelle alte sfere ne furono contentissimi e me n'espressero la loro approvazione.
Del mio telegramma all'Imperatore ne parlai al ministro Bülow ed al barone Holstein, e non solo nulla mi osservarono sulla forma, ma si compiacquero che io abbia fatto risalire all'Imperatore il merito delle dimostrazioni fatte a me ed all'Italia dalla rappresentanza del popolo tedesco.
Ed aggiungi che questa volta anche l'etichetta di Corte fu messa da parte. Appena la Principessa Imperiale mi seppe a Berlino, mandò persona sua per manifestarmi il desiderio di una mia visita. E siccome l'Imperatore ed il Principe erano al campo delle manovre, essa tenne per me un pranzo alla residenza di Potsdam. A me personalmente tutto ciò poco importa, ma io ne son lieto pel mio paese e pel mio partito.
Farò al Foreign Office le tue dichiarazioni, e vedrò anche d'interessarne Menabrea, perchè possa anche lui togliere la cattiva impressione prodotta per l'affare dei passaporti. Non trascurerò cotesto argomento quando vedrò il conte Derby.
Avrai le notizie che mi chiedi sulle elezioni generali di Francia. E saprai il mio itinerario appena mi avrai telegrafato alla ricezione di questa mia.
Godo che lo stato delle finanze sia buono. Con la buona finanza potremo fare delle grandi cose. Pel resto, lascia a me la cura. Alla Camera tutto procederà in regola.
Ed ora lascia che ti stringa cordialmente la mano.
L'aff.mo tuo F. Crispi.»
4 ottobre. — Visita a Woolwich.
Telegrafo a Depretis: «Derby verrà domattina dalla campagna apposta per ricevermi. Sabato vedrò Gladstone. Domenica partirò pel Continente. Alla City ritengono sicuro il successo del partito repubblicano nelle elezioni generali francesi; all'Ambasciata francese non lo contrastano, ma credono che Mac-Mahon guadagnerà voti e governerà col Centro Sinistro».
Immagine ingrandita.
Autografo riprodotto fotograficamente: lettera di Gladstone a Crispi.
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Autografo riprodotto fotograficamente: lettera di Gladstone a Crispi.
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Autografo riprodotto fotograficamente: lettera di Gladstone a Crispi.
Howarden Castle
Chester
Oct 2. 77.
Dear Sir
I am truly sorry that a short visit paid by me to London last week should have failed by a day or two to coincide with your stay there.
Sir James Lacaita assures me that you might not be indisposed to take the trouble of visiting me here.
This I could hardly have been bold enough to ask; but if he is right I shall deem it an honour and pleasure to see you on any day this week. Our stations are Chester 7 miles off, Brompton Hall & Queensferry each 2 ½ but with fewer opportunities. We dine at 8. You would I hope be able to stay at least for a night or two if you cannot be more liberal,
I remain dear Sir,
with high consideration
Faithfully yours
W Gladstone
S. E.
Il Cavaliere Crispi
I regret to have no company to offer you beyond members of my own family during this week.
5 ottobre. — All'una colloquio con lord Derby. Il mio viaggio in Germania — Convenzione per la reciprocità dei diritti civili — Mutue simpatie — Francia e Germania: mutua diffidenza. Mi chiede l'opinione di Bismarck: dico che non farà la guerra se non trascinatovi — La Francia: alleati — Statu-quo territoriale — Mutamenti nell'Oriente: appello alla giustizia delle Potenze. Derby: «prendete l'Albania». — Nostra condizione rispetto all'Austria, potenza finitima.
Telegrafo al re: «J'ai été avec le ministre des affaires étrangères. Il a trouvé justes nos observations contre la occupation de la part de l'Autriche d'une province ottomane et le cas échéant il en tiendra compte. Il n'a pas fait aucune objection lorsque je lui ai dit que dans ce cas nous aurions droit à prétendre une compensation aux Alpes».
Telegrafo a Depretis: «Fui con Derby, soddisfatto della conversazione con lui. Accetta trattare per articolo 3 Codice Civile e terrà presenti nostre obiezioni circa evenienza ingrandimento Austria nello Adriatico».
Alle 8 partenza per Chester.
6 ottobre. — Parto da Chester alle 9 ¾ e giungo ad Howarden-Castle alle 10 ½. Coloro che non conoscono la Gran Brettagna restano meravigliati vedendo queste campagne tutte popolate e tutte coltivate.
Howarden-Castle è nella contea di Flint, nel paese di Galles, quasi alla frontiera dell'Inghilterra, alla quale fu annessa sotto Arrigo VIII.
La proprietà di Gladstone è proprio nel luogo in cui era il castello di Eduardo I.
Il castello è su di una collina e domina tutta la pianura. In cima al medesimo è issata la bandiera britannica a indicare la presenza di Gladstone.
La casa, in cui questi abita, è a pochi passi dal parco. È di stile gotico; fu costruita 60 anni addietro. Entrandovi si vedono libri da per tutto.
Il signor Gladstone mi ricevette come un amico di antica data. Mi espresse la contentezza di avermi con lui ed io gli manifestai la soddisfazione di stringere la mano ad un fedele amico d'Italia. Mi presentò la sua signora, gentilissima e cordiale donna, la quale, sentendo che io aveva interesse a ripartire subito per Londra, ebbe la cortesia di mostrarsene contrariata.
Il signore e la signora Gladstone desideravano che io rimanessi un paio di giorni con loro.
Il signor Gladstone, cui pel primo dichiarai che non potevo restare al di là di una giornata, esclamò: ma io vedo un baule con voi, quasi per dirmi: «non siete certo venuto per restare poche ore con me».
Cominciò subito la conversazione sulle cose del giorno e specialmente sulla guerra d'Oriente e sulle sue conseguenze.
Il signor Gladstone fu d'avviso che i russi finiranno per vincere. Egli dubita che vi possa essere una campagna d'inverno; ma non crede che i turchi ne usciranno vincitori.
— Ai turchi toccherà come ai sudisti d'America — egli disse. — Fin oggi hanno potuto resistere ed avere anche dei successi, perchè meglio armati dei russi, ma il numero trionferà, un impero di 80 milioni avendo maggiori mezzi d'un impero di 26. È una disgrazia che la questione orientale debba sciogliersi colle armi, ma non avvi altro mezzo. Per la Russia oggi trattasi di vita o di morte.
Richiamai l'attenzione del signor Gladstone sul malumore, e direi sulla malevolenza della stampa inglese per l'Italia.
— È difficile trovarne il motivo, perchè realmente non ce n'è. Bisogna cercarlo nella russofobia, la quale è giunta a tal punto che è proprio ridicola. Siccome l'Italia è amica della Germania e questa è amica della Russia, si suppone che voi partecipiate alla stessa amicizia. Ma anche questo sentimento non è nel popolo, è nella classe alta. Ora la classe alta fra noi è alla coda ed il popolo è alla testa. Fortunatamente non havvi più una questione italiana, nè ce ne può essere; ma se sorgesse, voi vedreste tutto il paese sollevarsi per voi.
— Io godo di quello che mi dite e non lo dimenticherò. Noi siamo amici della Germania, perchè abbiamo interessi identici ed abbiamo gli stessi nemici, ma non per questo abbiamo le relazioni politiche e le amicizie della Germania. Anche con voi siamo amici per motivi quasi identici.
Il colloquio si estese sul papato e sulla questione orientale, su l'Austria e su la Francia.
— L'Italia è in condizioni tali da potere essere per voi un buon alleato alla vece dell'Austria e della Francia, a cui non potete ricorrere.
— Avete ragione, ma vi assicuro che nel popolo inglese tutte le simpatie sono per voi e non dovete dare importanza a qualche articolo di giornale, che è l'effetto della russofobia, e non esprime il sentimento nazionale.
Viene la signora — Passeggiata al Castello — Camera — Merenda — Passeggiata nel parco — La parrocchia.
Lord Derby debole, ma senza pregiudizii per lo straniero. In fondo è liberale.
L'elezione dei parroci — Il papato — Il nuovo Papa — i candidati — Il cardinale Simeoni — il cardinale Antonelli — Le sue figlie — Il processo.
Il castello di Howarden fu assediato e distrutto dai parlamentarli ai tempi di Carlo I.
La parrocchia di Howarden conta seimila abitanti — è del secolo XVI — fu bruciata alcuni anni fa e non ne rimasero che le mura.
Il parroco vive con le decime.
Il pranzo — La partenza.
7 ottobre. — Ricevo il seguente telegramma dal Re: «Je vous remercie de votre dépêche. Je vous souhaite que les espérances ministerielles se réalisent. Je vous prie de me dire quand vous serez de retour.
Vittorio Emanuele».
Rispondo: «Je serai de retour le 22 ou 24 courant. Je vais partir pour Vienne où j'attends les ordres de V. M.».
8 ottobre. — Partenza da Londra alle 8 ½ pom.
9 ottobre. — Arrivo a Parigi alle 6 ½ del mattino — Gambetta.
11 ottobre. — Partenza da Parigi alle 9,20 del mattino.
12 ottobre. — Arrivo a Vienna alle 9 ½ di sera.
13 ottobre. — L'ambasciatore, generale Robilant, mi scrive di mettersi a mia disposizione; alle 12.30 vado a visitarlo — M'informa — Telegrafo a Depretis: «Ho tua lettera. Andrássy è in campagna. Sarà a Pesth il 20. Qui posizione molto difficile. Scriverò domattina. Fa' smentire notizia che io fui al discorso elettorale di Gambetta».
14 ottobre. — Ricevo da Depretis il seguente telegramma: «Attendo tua lettera. Intanto è necessario ti faccia conoscere che qui è giunta raccomandazione vivissima del di Launay, affinchè a Vienna si usi la più grande circospezione. Se ti riesce parlare con Andrássy, procura di stare sulle generalità esprimendo la nostra simpatia, ma restando nella maggiore riserva in ogni quistione che possa sorgere fra i due Stati. Noi desideriamo nella questione orientale poter procedere di accordo. Procura a questo titolo di affrettare tuo ritorno qui. Le cose si fanno gravi e la tua presenza qui è assolutamente necessaria».
Visita al ministro Glaser — Articolo 3.º del Codice Civile. — Procedura — Questioni che vi si rannodano. Accordo per una convenzione internazionale.
Visita al signor Orćzy — Articolo 3 — Trattato di commercio.
Visita a Schönbrunn.
«Caro Crispi,
Ti scrivo da Stradella ove ho potuto arrestarmi per alcune ore: non ebbi in questi tre giorni un minuto di libertà. Dopo aver assistito all'inaugurazione delle nuove ferrovie venete mi recai a Brescia, o per dir meglio in una campagna nelle vicinanze di Brescia, per veder Zanardelli: ebbi con lui un lungo colloquio, si mostrò decisamente avverso all'esercizio governativo e parvemi disposto ad assecondarmi. Io non gli tacqui la mia determinazione di non presentarmi alla Camera che con le convenzioni stipulate: fra pochi giorni Zanardelli, oramai guarito, verrà a Roma ed ivi la questione sarà risolta, essendo io in grado di conchiudere da un giorno all'altro. Bisognerà però che tu pure ti trovi a Roma giacchè se mai nascesse dissenso fra me e Zanardelli la posizione diventerebbe gravissima.
Venendo allo speciale argomento di questa mia lettera che ti ho annunciata nel telegramma che ti ho inviato da Padova, non occorre che ti preghi che a [Vienna] non bisogna parlare delle tue [conferenze] con [Bismarck] ed usare la più grande [riserva]. Il [partito] [cattolico] è a [Vienna] numeroso e potente e non mancherà di stare attento ad ogni tuo passo e di pesare e raccogliere ogni tua [parola] per divulgarla. La stampa dei nostri [avversarii] cerca di spargere tutte le più [maligne] [supposizioni] e sarebbe felice di trovare [nuovi] [pretesti].
Riguardo alla [conferenza] che avrai con [Andrássy] oltre l'art. 3 verrà certamente in discussione il [trattato] di [commercio] ed il possibile [ingrandimento] dell'[Austria] coll'[annessione] della [Bosnia].
Sul [trattato] di [commercio] basterà esprimere il nostro [desiderio] di riprendere e [condurre] a [termine] i [negoziati]; se non si può conchiudere con un [trattato] a lunga [durata] si veda almeno di mettersi d'accordo sopra un modus vivendi o [trattato] a breve [scadenza] ed in via di esperimento. Le basi del [trattato] definitivo furono da noi indicate ad [Haymerle] in un memoriale consegnatogli, nel quale abbiamo esposto che ad alcune dimande fatteci nei precedenti [negoziati] per esempio l'abolizione del dazio d'entrata in Italia sui [cereali] noi non possiamo consentire per gravi ragioni di [finanza]. Procura però di persuadere [Andrássy] che noi desideriamo vivamente di metterci d'accordo su altri [punti] che interessano il [governo] d['Austria.]
Vedi poi di spiegare la [posizione] del nostro [governo] nella questione della 9145 [?]
L'[Italia] ha bisogno di [pace] desidera conservare relazioni [amichevoli] coi paesi vicini; le nostre [simpatie] sono per [Andrássy] e pel suo [ministero] e pel [partito] liberale che lo sostiene, siamo disposti a fare ogni [sforzo] per mantenere le [buone relazioni] con lui, ma che non saremmo [capaci] di [dominare] la [opinione] in [Italia] in faccia ad un [ingrandimento] dell'[Austria] senza [compenso]. Questa è la verità. Quello poi che avverrà in [Italia] è difficile prevedere, ma è evidente che il [ministero] attuale non potrebbe restare al suo posto.
Converrà, mio caro Crispi, che tu usi molta [moderazione] di linguaggio sia per un riguardo alla grande [suscettibilità] di [Robilant] sia per non dar ragione al [partito] [cattolico e militare] di destare [apprensione] che importa assaissimo di evitare: le tue parole siano la [espressione] della franca tua [opinione personale]. Quello che ti dirà [Andrássy] ci servirà di norma.
Eccoti, mio caro Crispi, riassunta la mia maniera di vedere che ti espongo per debito di coscienza e che forse reputerai [superflua] ma tu devi essermi [indulgente] perchè sono ispirato dalla gravità della situazione attuale e dal desiderio di nulla trascurare che possa riuscire utile al nostro paese.
Credimi sempre
Tuo aff.mo Depretis.
Stradella 10 8bre 1877.»
«Vienna, 15 ottobre 1877.
Caro Depretis,
Siccome ti telegrafai la sera del 13, qui la posizione è molto difficile. La stampa, gli uomini politici, il Ministero, la Corte, tutti ci sono avversarii. Chi ci abbia creato queste antipatie non te lo saprei dire: constato un fatto, il quale è della massima importanza.
Robilant, il quale me ne ha fatto il ritratto, mi diceva che gli austriaci ritengono noi causa di tutte le loro sventure. Noi destammo lo spirito di nazionalità in queste contrade, e noi lo teniam desto con le nostre pretese sull'Illiria e sul Trentino. Senza di noi non sarebbe avvenuta la guerra del 1866, il cui risultato fu di escludere l'Austria dalla Confederazione germanica. Noi potremmo esser causa e dar principio allo sfasciamento dell'Impero se insistiamo nel volere il territorio italiano che l'impero possiede al di là delle Alpi.
Io non ho bisogno di rivelarti l'ingiustizia di cotesta accusa. Quando si dà corso al sentimento d'interessi inopportuni, i giudizii non possono esser sani.
Così stando le cose, il mio primo ufficio ha dovuto essere di calmare le ire e di riconquistare all'Italia le simpatie dei liberali austriaci.
Son venuti a visitarmi i redattori di vari giornali, tra cui il proprietario della Neue freie Presse e quello del Tagblatt, che hanno la più estesa pubblicità qui e fuori. A tutti chiesi il motivo pel quale han fatto da due anni la guerra al nostro Ministero. Quello della Presse mi rispose che il motivo era perchè il Melegari non ha una politica chiara nella questione d'Oriente, anzi dal suo contegno appare che noi parteggiamo per la Russia. Tutti poi, dicendosi amici d'Italia e desiderosi di mantenere con noi buoni ed amichevoli rapporti, han fatto comprendere che diffidano di noi.
Per la questione orientale ho detto che noi siamo stati e siamo in una perfetta neutralità, che non parteggiamo per alcuno dei belligeranti, ma siamo dolenti della peggiorata condizione delle popolazioni che si vorrebbero redimere. In quanto all'Austria ho soggiunto che siamo suoi amici e che vogliamo mantenerci con essa d'accordo in tutto ciò che possa giovare ai comuni interessi. Su cotesto argomento ho voluto estendermi un poco, ed ho sostenuto la tesi del necessario mantenimento e del consolidamento dell'Impero dell'Austria, la quale noi riteniamo esser elemento di civiltà verso l'Oriente.
Il proprietario della Neue freie Presse mi promise che ci ritornerebbe amico. Con quello del Tagblatt ebbi poco da fare, perchè venendo a trovarmi portò con sè un numero del suo giornale con un articolo lusinghiero sul conto mio, quantunque storicamente non sempre esatto.
Quando ieri sera mi giunse il tuo telegramma, io era stato dal ministro di Giustizia e dal barone Orćzy, quest'ultimo il braccio destro del conte Andrássy ed il suo rappresentante al Ministero degli Affari esteri. Quasi indovinando il tuo pensiero mi ero condotto con loro siccome desideravi. Il Robilant, che fu presente alla mia conversazione col sig. Orćzy, non potè fare a meno di esprimermi la sua completa approvazione.
Il conte Andrássy è nelle sue terre di Ungheria. Alcuni dicono che aveva prorogato di 24 ore la sua partenza, aspettando il mio arrivo; altri, al contrario, che aveva anticipato la partenza per evitarmi. Il conte Robilant è di avviso che nessuna delle due versioni sia esatta.
Il conte Andrássy sarà a Pesth dopo il 17, ed io andando in quella città facilmente potrò vederlo. Avendo annunziato il mio divisamento di fare cotesto viaggio ed avendone scritto ad amici di colà, i quali me ne avevan domandato, non posso cangiar di proposito senza suscitar sospetti e dar pretesto a malevoli congetture. Ti assicuro però che il mio contegno sarà riservato e che non comprometterò punto la nostra politica.
Immediatamente dopo la gita a Pesth ritornerò in Italia.
Niente altro che stringerti la mano.
Il tuo aff.mo F. Crispi.»
15 ottobre. — Visita del ministro Glaser. Si ritorna a discorrere lungamente della convenzione pel godimento dei diritti civili nei due Stati. Esecuzione dei giudicati. — Sequestro e questioni di merito — Limiti — La deliberazione senza il contraddittorio.
Carta da visita al Presidente della Camera.
Alle 7 pom. all'Opera con Robilant.
16 ottobre. — Il Presidente della Camera viene a visitarmi — Si discorre della procedura parlamentare.
A mezzogiorno vado alla Camera. Il vice-presidente Vidulich, istriano, m'accompagna. Sopraggiunge il Presidente.
Visita alle prigioni, alla Corte d'Assise e al Tribunale.
Alle 4 ½ pom. visita al ministro del Commercio.
17 ottobre. — Viene il vice-presidente Vidulich — I comuni in Austria — Sistema elettivo — Il Consiglio comunale — La deputazione comunale e il podestà elettivo. Tre ordini di elettori secondo il censo. Nei comuni con statuti proprii il podestà o borgomastro proposto dal Consiglio Comunale ed approvato dall'Imperatore. Le Diete provinciali — Potestà legislativa per l'amministrazione locale — da essa dipende la circoscrizione territoriale.
18 ottobre. — Parto da Vienna alle 8 ½ ant. Arrivo a Pesth alle 5 ½ pom.
19 ottobre. — Visita alle due Camere ungheresi e al Museo.
20 ottobre. — Alle 4.30 pom. visita a Buda al Presidente del Consiglio ungherese, signor Tisza.
— V. E. ha fatto un lungo viaggio. Andrà in Oriente?
— No, non ho motivo di andarvi. Vienna e Pesth sono le ultime tappe del mio viaggio. Avevo così stabilito partendo dal mio paese.
Prima tesi: Convenzione internazionale pel godimento dei diritti civili degli austro-ungheresi in Italia, e degli italiani in Austria-Ungheria. In principio non rifiuta, ma senza affermarsi su alcuna delle questioni che vi si riferiscono.
Seconda tesi: Trattato di commercio. Prorogando l'attuale si vorrebbero delle facilitazioni per i vini ungheresi. Avendo io osservato che iniziandosi una discussione, la proroga potrebbe non approdare, Tisza dichiara di voler questa brevissima.
Terza tesi: Accordo tra i due paesi. Risposta: non tutti la pensano come voi nel vostro paese. Osservo che il paese è rappresentato dal Parlamento e dal Governo. Il Parlamento è interprete legale della pubblica opinione. Serietà del regime costituzionale. Tutto in Italia si tratta alla luce del sole: questioni militari e internazionali. Potremo essere attaccati, non attaccheremo mai — I tre imperatori — Questione Orientale — Al 1854 il Piemonte profuse sangue e danari.
— Non fu una cattiva politica.
— Poichè lo riconoscete, dovete comprendere che non ce ne allontaneremo. Del resto, non fu tale quella dell'Austria.
Dichiarazioni di simpatia per l'Italia.
Mi congedo alle 5 meno un quarto.
Il Tisza sembra un presbiteriano. Ha un viso impassibile. Grandi lenti gli nascondono gli occhi. Non discute, sentenzia. Delle questioni di diritto civile si comprende che capisce poco o nulla. Vorrebbe un trattato internazionale europeo. Buono, se fosse possibile; ma è posto innanzi perchè non si concluda nulla.
Alle 5 ricevo la visita del ministro di Giustizia e del suo sottosegretario di Stato. Il Ministro mi dice:
«Nous ne voulions pas que vous quittiez Pesth sans que vous reste une bonne impression de nous».
Pranzo dal Presidente Ghyczy; v'intervengono deputati dei varii partiti e varii ex-ministri: Szlávy (Jórsef) già ministro-presidente — Gorosc, già ministro del Commercio, ora presidente del Club della Destra — Simonyi, già ministro del Commercio — Szapáry, già ministro dell'Interno — Bittò (István), già ministro-presidente — Eber, deputato — Wahermann Mór, deputato — Csernátory, deputato e direttore dell'Ellenor — Falk, deputato e direttore del Pester Lloyd — Zsedénzi, presidente della Commissione di Finanza — Pulszky, direttore del Museo — Kállay Beni, deputato di estrema destra — Hélfy Ignáez, deputato di estrema sinistra, ecc.
Telegrafo al Re: «Conto essere a Torino il 24. Prego V. M. di volermi telegrafare il giorno e il luogo dove potrò vederla. Agli ordini di V. M., ecc.».
Visita ad Andrássy alle 12 e mezza.
Questione dei diritti civili — Trattato di commercio.
— Non mi sono allarmato del vostro viaggio a Gastein ed ho lasciato dire ai giornali.
— Non avreste avuto ragione di allarmarvene perchè il principe di Bismarck ve ne parlò e vi disse quali erano le mie idee. Nulla dissi di cui potreste lagnarvi.
Mi parla della sua politica con l'Italia — Ultramontanismo — vecchie opinioni — non sono nell'interesse dell'Austria-Ungheria. Se fosse stato italiano, avrebbe fatto lo stesso. Necessità ora di tenersi amici e di non turbare l'accordo con esigenze praticamente non attuabili. Non crede ai giornali, convinto della nostra buona volontà. Soggiunge:
— Non sempre il principio di nazionalità è applicabile in tutti i luoghi, nè è norma la lingua a stabilire la nazionalità; non si fa la politica con la grammatica. La nazionalità è stabilita da varii elementi: precede innanzi tutto la topografia, e seguono le condizioni economiche che valgono ad alimentare la vita delle popolazioni. Prendetevi Trieste, se pur noi ve la dessimo, e voi non potreste starvi un giorno: sareste maledetti. Ho una nota su tale argomento, che vi farei leggere se avessi qui, nella quale svolgo questi concetti. E poi, bisogna parlar franco: volete altre terre? Ditelo; è una politica che comprendo. È questione....
— Accordo nei principî. La lingua non è da sola argomento di nazionalità, e se noi la prendessimo a norma dovremmo inimicarci molti Stati e far la guerra. Ora, la nostra è politica di pace. Vogliamo star bene coi vicini, stabilire accordi sulla base degl'interessi e rispettare i trattati. — Non attaccheremo; ci difenderemmo se fossimo attaccati. Fummo rivoluzionarli per fare l'Italia; siamo conservatori per mantenerla. Voi solo potete comprenderci, perchè anche voi foste rivoluzionario.
— Fui impiccato in effigie.[11]
— Orbene, voi sapete che quando l'indipendenza e la libertà di un paese furono acquistate con sacrificii, chi li ha fatti cotesti sacrificii non può con audaci avventure mettere in pericolo i beni raggiunti. — Fiume — ridicola imputazione; i porti sono sbocchi necessarii al commercio; chi li ha, deve possedere il territorio donde vengono i prodotti. Di Fiume che potremmo farcene?
L'opinione pubblica è interpretata dal Parlamento e dal Governo. Avete da lagnarvi del loro contegno? È necessario che i due Stati siano amici, e i governi d'accordo.
— Ho fatto sempre cotesta politica e nei sei anni che fui ministro, e nei cinque dacchè son Cancelliere — Non mi curo dei giornali, nè dei parlamenti — Sfido l'impopolarità, so quello che è necessario nell'interesse dell'impero. Una politica di ostilità con voi è contraria agl'interessi dell'Austria-Ungheria — Finchè sarò ministro non me ne distaccherò.
— Concludiamo da tutto questo. Trattato di commercio, relazioni civili.
— Adagio. La politica ha poco da fare con le relazioni commerciali. Sviluppo di questa tesi — Esempio con la Germania.
— Penso anch'io così; ma guardiamo alle conseguenze. Non dico che il trattato di commercio debba farsi ad occhi chiusi. Penso che convenga cominciare a trattare per venire ad una conclusione. La sospensione delle trattative farebbe cattiva impressione.
— Così va bene.
— Accordo sulla questione orientale?...
— Guerra russo-turca; come finirà. Questione di nazionalità anche qui; come scioglierla. Autonomia dei bulgari: fin dove — ai Balcani. E degli altri? Questo se vincono i russi — Ma se vince la Turchia? Bisogna dunque attendere la fine della guerra.
— Ma giusto allora dobbiamo già esser d'accordo.
Denari e uomini spesi — Questione rinascente periodicamente — necessità di scioglierla per sempre — Impossibile determinare il come e se quello che convenga stabilire è lo statu-quo territoriale.
— Ed anche su questo nulla può essere assoluto; bisogna attendere il giorno in cui le Potenze si riuniranno a congresso.
— Va bene. Vorreste però dare un territorio alla Russia?
— Questo no, ma per ogni altro riordinamento bisogna rimettersi al giorno opportuno.
— Benissimo. Anche su questo desideriamo esser d'accordo con voi.
Alle 3.30 da Helfy.
Ricevo questo telegramma, in risposta al mio di stamane:
«Je vous prie de venir loger à mon palais à Turin. Mercredi je vous ferai dire heure que j'aurai le plaisir vous voir. Bien des amitiés.
Victor Emmanuel.»
Alle 9.30 partenza per Vienna.
22 ottobre. — Arrivo a Vienna alle 6 del mattino. Alle 9 pom. sono alla frontiera.
23 ottobre. — Alle 7 a Verona.
A Torino. Conferenza col Re.
«Napoli, 30 ottobre 1877.
Caro Depretis,
. . . Spero che non avremo la guerra, ma siccome non possiamo noi arrestare il corso degli avvenimenti europei, ed abbiamo bisogno che l'Europa ci ritenga essere abbastanza potenti da far valere la nostra forza in caso di complicazioni in conseguenza della guerra d'Oriente, è giuocoforza tenersi pronti ad entrare anche noi in campagna. Su questo, amico mio, non ho parole per ripeterti che l'Italia deve, con qualunque sacrifizio, compiere i suoi armamenti. All'estero siamo considerati quale popolo prudente e savio, ma non tutti ci credono forti abbastanza.
A me Andrássy non lo accennò, ma Robilant mi disse che ragionando col Cancelliere austro-ungarico, questi in tutte le questioni territoriali avrebbe sempre risposto che l'Impero era pronto a farle decidere con le armi.
È quindi interesse di patria di tenerci in condizioni da poter dire anche noi di poter ricorrere alle armi se tale debba essere la sorte cui ci spinge l'avversario.
È il solo modo con cui potremo evitare la guerra.
Quando rifletto che fino dal 1870 io chiedeva al Ministero di destra di armare la nazione in previsione di grandi avvenimenti, e che non fui ascoltato, ne sento doppio dolore.
Ma oggi siamo noi al governo, e se qualche disgrazia avvenisse, i nostri avversarii direbbero subito che non abbiamo saputo fare il debito nostro. Mettiamoci dunque con ogni zelo all'opera, facendo tutto ciò che possa essere necessario.
Prego di telegrafarmi, e ti assicuro che mi avrai sempre con te in tutto ciò che possa fare il bene del nostro paese.
Spero che con Zanardelli finirai per metterti d'accordo.
Quella delle ferrovie è una quistione anche essa capitale, e che bisogna in un modo qualunque risolver presto.
In caso di guerra bisogna aver riordinato le grandi linee di comunicazione tra le varie parti d'Italia. Zanardelli è un gran patriota e deve comprendere quale responsabilità pesi su lui. Non deve passare il mese di dicembre senza essersi ricostituito questo ramo di pubblico servizio. È impossibile lasciare più a lungo le ferrovie dell'Alta Italia in potere della Südbahn. Quantunque il Direttore sia di tua fiducia, esso è costretto ad ubbidire ad una Società non amica. La quistione, a mio modo di vedere, non è solamente finanziaria, ma eminentemente politica.
Se tu parlando col ministro dei Lavori pubblici, toccherai questa corda, son sicuro che riuscirai.
Il tuo aff.mo F. Crispi.»