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Nel dolce tempo de la prima etade,

che nascer vide et anchor quasi in herba

la fera voglia che per mio mal crebbe,

perché cantando il duol si disacerba,

canterò com'io vissi in libertade,

mentre Amor nel mio albergo a sdegno s'ebbe.

Poi seguirò sí come a lui ne 'ncrebbe

troppo altamente, e che di ciò m'avvenne,

di ch'io son facto a molta gente exempio:

benché 'l mio duro scempio

sia scripto altrove, sí che mille penne

ne son già stanche, et quasi in ogni valle

rimbombi il suon de' miei gravi sospiri,

ch'aquistan fede a la penosa vita.

E se qui la memoria non m'aita

come suol fare, iscúsilla i martiri,

et un penser che solo angoscia dàlle,

tal ch'ad ogni altro fa voltar le spalle,

e mi face oblïar me stesso a forza:

ché tèn di me quel d'entro, et io la scorza.

I' dico che dal dí che 'l primo assalto

mi diede Amor, molt'anni eran passati,

sí ch'io cangiava il giovenil aspetto;

e d'intorno al mio cor pensier' gelati

facto avean quasi adamantino smalto

ch'allentar non lassava il duro affetto.

Lagrima anchor non mi bagnava il petto

né rompea il sonno, et quel che in me non era,

mi pareva un miracolo in altrui.

Lasso, che son! che fui!

La vita el fin, e 'l dí loda la sera.

Ché sentendo il crudel di ch'io ragiono

infin allor percossa di suo strale

non essermi passato oltra la gonna,

prese in sua scorta una possente donna,

ver' cui poco già mai mi valse o vale

ingegno, o forza, o dimandar perdono;

e i duo mi trasformaro in quel ch'i' sono,

facendomi d'uom vivo un lauro verde,

che per fredda stagion foglia non perde.

Qual mi fec'io quando primier m'accorsi

de la trasfigurata mia persona,

e i capei vidi far di quella fronde

di che sperato avea già lor corona,

e i piedi in ch'io mi stetti, et mossi, et corsi,

com'ogni membro a l'anima risponde,

diventar due radici sovra l'onde

non di Peneo, ma d'un piú altero fiume,

e n' duo rami mutarsi ambe le braccia!

Né meno anchor m' agghiaccia

l'esser coverto poi di bianche piume

allor che folminato et morto giacque

il mio sperar che tropp'alto montava:

ché perch'io non sapea dove né quando

me 'l ritrovasse, solo lagrimando

là 've tolto mi fu, dí e nocte andava,

ricercando dallato, et dentro a l'acque;

et già mai poi la mia lingua non tacque

mentre poteo del suo cader maligno:

ond'io presi col suon color d'un cigno.

Cosí lungo l'amate rive andai,

che volendo parlar, cantava sempre

mercé chiamando con estrania voce;

né mai in sí dolci o in sí soavi tempre

risonar seppi gli amorosi guai,

che 'l cor s'umilïasse aspro et feroce.

Qual fu a sentir? ché 'l ricordar mi coce:

ma molto piú di quel, che per inanzi

de la dolce et acerba mia nemica

è bisogno ch'io dica,

benché sia tal ch'ogni parlare avanzi.

Questa che col mirar gli animi fura,

m'aperse il petto, e 'l cor prese con mano,

dicendo a me: Di ciò non far parola.

Poi la rividi in altro habito sola,

tal ch'i' non la conobbi, oh senso humano,

anzi le dissi 'l ver pien di paura;

ed ella ne l'usata sua figura

tosto tornando, fecemi, oimè lasso,

d'un quasi vivo et sbigottito sasso.

Ella parlava sí turbata in vista,

che tremar mi fea dentro a quella petra,

udendo: I' non son forse chi tu credi.

E dicea meco: Se costei mi spetra,

nulla vita mi fia noiosa o trista;

a farmi lagrimar, signor mio, riedi.

Come non so: pur io mossi indi i piedi,

non altrui incolpando che me stesso,

mezzo tutto quel dí tra vivo et morto.

Ma perché 'l tempo è corto,

la penna al buon voler non pò gir presso:

onde piú cose ne la mente scritte

vo trapassando, et sol d'alcune parlo

che meraviglia fanno a chi l'ascolta.

Morte mi s'era intorno al cor avolta,

né tacendo potea di sua man trarlo,

o dar soccorso a le vertuti afflitte;

le vive voci m'erano interditte;

ond'io gridai con carta et con incostro:

Non son mio, no. S'io moro, il danno è vostro.

Ben mi credea dinanzi agli occhi suoi

d'indegno far cosí di mercé degno,

et questa spene m'avea fatto ardito:

ma talora humiltà spegne disdegno,

talor l'enfiamma; et ciò sepp'io da poi,

lunga stagion di tenebre vestito:

ch'a quei preghi il mio lume era sparito.

Ed io non ritrovando intorno intorno

ombra di lei, né pur de' suoi piedi orma,

come huom che tra via dorma,

gittaimi stancho sovra l'erba un giorno.

Ivi accusando il fugitivo raggio,

a le lagrime triste allargai 'l freno,

et lasciaile cader come a lor parve;

né già mai neve sotto al sol disparve

com'io sentí' me tutto venir meno,

et farmi una fontana a pie' d'un faggio.

Gran tempo humido tenni quel vïaggio.

Chi udí mai d'uom vero nascer fonte?

E parlo cose manifeste et conte.

L'alma ch'è sol da Dio facta gentile,

ché già d'altrui non pò venir tal gratia,

simile al suo factor stato ritene:

però di perdonar mai non è sacia

a chi col core et col sembiante humile

dopo quantunque offese a mercé vène.

Et se contra suo stile essa sostene

d'esser molto pregata, in Lui si specchia,

et fal perché 'l peccar piú si pavente:

ché non ben si ripente

de l'un mal chi de l'altro s'apparecchia.

Poi che madonna da pietà commossa

degnò mirarme, et ricognovve et vide

gir di pari la pena col peccato,

benigna mi redusse al primo stato.

Ma nulla à 'l mondo in ch'uom saggio si fide:

ch'ancor poi ripregando, i nervi et l'ossa

mi volse in dura selce; et così scossa

voce rimasi de l'antiche some,

chiamando Morte, et lei sola per nome.

Spirto doglioso errante (mi rimembra)

per spelunche deserte et pellegrine,

piansi molt'anni il mio sfrenato ardire:

et anchor poi trovai di quel mal fine,

et ritornai ne le terrene membra,

credo per piú dolore ivi sentire.

I' seguí' tanto avanti il mio desire

ch'un dí cacciando sí com'io solea

mi mossi; e quella fera bella et cruda

in una fonte ignuda

si stava, quando 'l sol piú forte ardea.

Io, perché d'altra vista non m'appago,

stetti a mirarla: ond'ella ebbe vergogna;

et per farne vendetta, o per celarse,

l'acqua nel viso co le man' mi sparse.

Vero dirò (forse e' parrà menzogna)

ch'i' sentí' trarmi de la propria imago,

et in un cervo solitario et vago

di selva in selva ratto mi trasformo:

et anchor de' miei can' fuggo lo stormo.

Canzon, i' non fu' mai quel nuvol d'oro

che poi discese in pretïosa pioggia,

sí che 'l foco di Giove in parte spense;

ma fui ben fiamma ch'un bel guardo accense,

et fui l'uccel che piú per l'aere poggia,

alzando lei che ne' miei detti honoro:

né per nova figura il primo alloro

seppi lassar, ché pur la sua dolce ombra

ogni men bel piacer del cor mi sgombra.

Francesco Petrarca: Canzoniere

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