Читать книгу Casta diva - Gerolamo 1854-1910 Rovetta - Страница 5

III.

Оглавление

Indice

Gerardo Parvis era un polemista ed un oratore violento e, certe volte, persino aggressivo. Sul terreno, in quegli anni in cui i duelli erano ancora di moda, era stato un avversario pronto e assai temibile; tuttavia nel suo carattere c'era un fondo di timidezza che pure nelle lotte della tribuna parlamentare e nelle vicende rumorose della vita pubblica non era ancora riuscito a vincere interamente. Anzi, questa sua timidezza, non scemava punto, ma, al contrario, si faceva più viva, a grado a grado che aumentavano la sua fama e la popolarità del suo nome.

Al primo presentarsi in un teatro o in una sala o in qualunque altro luogo, in mezzo alla gente, egli rimaneva un istante confuso, impacciato da tutti gli sguardi curiosi che gli si fissavano addosso. Egli doveva sempre fare uno sforzo per vincersi, per mostrarsi sicuro e disinvolto; ma questo sforzo non sempre gli riusciva e allora il Parvis nascondeva la propria timidezza sotto una apparenza seria, quasi dura, pronunciando poche parole tronche e imperiose.

Quel primo giorno, in montagna, entrando per far colazione nella grande sala, lunga, bassa e così affollata e rumorosa della locanda, egli si sentì ancor più viva e più fastidiosa l'impressione di debolezza che lo turbava e lo impacciava.

Le due lunghe tavole erano piene. Non un posto vuoto. Subito al suo presentarsi, era cessato per un istante il cicalìo e il risonare delle posate e dei cristalli; tutti gli sguardi si erano alzati e fermati sopra l'onorevole Parvis.

«Per un ex-ministro era ancora giovane! E molto elegante!... Aveva un aspetto simpatico!... — Doveva avere del talento! — Certo, per arrivare, sia pure soltanto alle «Poste e Telegrafi», di talento ce ne vuole!

Lo fissavano con ostinata curiosità anche gli occhi neri, nerissimi, della bella signorina del grande cappellone tutto bianco e tutto rosa.

Gerardo, aveva veduta l'amica di Teo, prima di guardarla; anzi, più che averla vista, l'aveva sentita.

— Che combinazione! Era lì, proprio lì, dinanzi, in faccia al suo tavolino!

Per restar solo, per non conoscere nessuno, l'onorevole aveva ordinato per sè un tavolino a parte, e glielo avevano tenuto e preparato proprio in faccia all'amica di Teo!

Il primo cameriere, in atto di grande deferenza, aspettava i suoi ordini, porgendogli la lista del giorno.

Gerardo la guardò un momento.

— Devo ordinare, invece, per sua Eccellenza, una costoletta alla milanese con patate soufflées? Oppure un buon chateaubriand au beurre d'anchois?

— Come volete. Quello che c'è. Purchè si faccia presto!

— E vino, Eccellenza?

— Niente Eccellenza e niente vino! Soda e cognac.

Gerardo ha fra le mani la Tribuna, e mentre aspetta che gli portino la colazione comincia a scorrerla lanciando occhiate in giro, senza parere.

Varie di quelle facce non gli riuscivano del tutto nuove.

— Quanta fatica dovrò fare per impedire le conoscenze, i riconoscimenti e i complimenti!

Nella sala erano ricominciate le conversazioni e a mano a mano diventavano più animate e rumorose. Le pronunzie delle varie regioni spiccavano più nettamente fra quel brusìo festevole e cerimonioso. L'accento piemontese rispondeva al toscano, il napoletano e il siciliano al milanese, e la parlata veneta rumorosa alla romana aggraziata e melodica. Ma ben chiara, scolpita, fra quelle mille voci diverse e stonate, giungeva al suo orecchio la voce fresca di quella tal signorina — l'amica di Teo.

— Piccolo caaro!

Parlava benissimo; senza tradire nessun dialetto. Doveva essere dell'alta Italia... milanese no. L'avrebbe veduta qualche volta a Milano.

— Signorina? — Perchè signorina?... — Che cosa ne sapeva Prospero? — Poteva essere benissimo anche una signora.

Gerardo, colla scusa di voltare la pagina della Tribuna, lanciò un'altra occhiata.

— Signorina! È ancora signorina...: Pure, per essere una signorina, è molto disinvolta! Troppo disinvolta!

Seduta in mezzo a due giovanotti, che sembravano piuttosto due giovinetti, col viso sbarbato e smorto, rimpicciolito dall'abbondante e folta capigliatura, ella parlava molto, rideva molto, si moveva molto.

— Signorina, sì; ma già un po' civetta!

Ecco il cameriere col chateaubriand, l'onorevole ripone la Tribuna, e intanto guarda ancora il cappellone rosa e i due vicini.

Dalle giacche bigie, larghissime, spuntavano i colli impiccati negli alti solini rigidi.

— Che caricature... Con la marca autentica dell'imbecillità fatua e pretenziosa!

— Pure, bisogna essere così per piacere alle donne!

E al Parvis, sfugge un sospiro. È forse il rammarico di essere diverso!

— Com'è più viva e radiosa lei, di quei due lì,

Pareva un caldo fiore dell'Oriente, un sole di luce, in mezzo a due candele spente!

— Eh! Se io fossi ancora giovane! Mah!... Potrò diventare presidente del Consiglio, ma giovane non lo ritorno più, pur troppo!

E l'onorevole, per la prima volta, sospira alla bella gioventù sparita, sparita per sempre, senza che egli nemmeno se ne sia accorto!

All'Abetone, le noie della celebrità furono, per fortuna, di breve durata. Quel giorno stesso all'ora di pranzo, la sua entrata nella sala non fece più voltar la testa a nessuno.

Come mai?... La bella amica di Teo è partita?

Così pensa Gerardo mettendosi a sedere, ma poi la vede al suo posto, fra i due soliti cavalierini rigidi, impettiti e angolosi, come due cavallette nell'abito di sera.

— C'è! C'è!

Ma non c'è più il cappellone!... Peccato!

Nessuna signora aveva il cappello. Gli uomini in smoking o in frak, le signore in toilette; non c'era più nella sala l'allegria espansiva della mattina; correva invece per le due lunghe tavolate un'aria compassata di grande sussiego e di musoneria.

— Peccato! Stava così bene con quel grande cappello alla moschettiera!

Mentre l'onorevole pensa al cappellone, il signor Vincenzo — il primo cameriere, — aspetta i suoi ordini.

— Date anche a me il pranzo del giorno!... Il solito della pensione.

L'inchino del signor Vincenzo si fa, involontariamente meno profondo. Tante raccomandazioni e tanto strepito per un ministro... che non ordina nemmeno un extra e beve la soda!

Bel ministro e bel Governo «da carovana!»

Il Parvis si accorge d'essere un po' in ribasso nella considerazione del signor Vincenzo e nota pure di non destare più nessuna curiosità nell'amica di Teo, la quale mangia di buon appetito e come alla mattina parla, ride, scherza... ma senza occuparsi affatto di Sua Eccellenza!

— Ha un tipo espressivo; tuttavia dev'essere una ragazza inconcludente! Come può divertirsi tanto ai discorsi di que' due scimuniti?... — Perchè sono due scimuniti!... Positivo!... — Senza cappello ci perde moltissimo! È molto meno bella; non sembra più lei!

— Desidera senape inglese, o worcester sauce! — domanda il signor Vincenzo passandogli vicino.

— Datemi il Secolo e il Corriere della Sera.

E fra un boccone e l'altro comincia a leggere i due giornali.

Dio, la politica!... Sembra una cosa tanto grande e non è che un pettegolezzo così piccolo! — Baruffe chiozzotte! — Invidie e gelosie, ambizione e volgarità! È l'interesse proprio, colla scusa di fare quello degli altri.

L'amica di Teo aveva però una voce ben singolare! Che voce strana! Non era forte, eppure come la si sentiva bene, anche da lontano! Che bella voce, calda, penetrante!

— Una bella voce è una gran bella cosa! Deve avere anche dello spirito, la signorina. Quelle due mummiette vive sono condotte per il naso — si vede — che è un piacere! — Come ride di gusto e come ride bene! — Sfido io a non rider bene con quei denti! Che bianchezza! È una bocca abbagliante!

— I bei denti sono una gran bella cosa! — Che età potrà avere? Non deve essere più giovanissima!...

L'onorevole Parvis l'osserva, questa volta con coraggio, attentamente.

La giovinezza trionfava in lei, in tutto il suo pieno rigoglio: ogni linea, ogni contorno era vivente e fiorente, mentre il volume enorme e capriccioso dei capelli nerissimi sembrava dare alla sua carnagione un brunito di sodezza e di forza.

— E pensare che con tante belle ragazze e con tante belle donne che ci sono al mondo, io ho speso le ore migliori della mia vita con Saracco... e con Zanardelli! — Al diavolo il Governo e la politica, la Camera e il Senato! — E sua madre? — Ci sarà la mamma, certo. — Dov'è? — La vecchia gialla che le sta di faccia? — No! No!... Non le somiglia affatto! Più che altro, ha l'aria di essere un'istitutrice. — Ad ogni modo, madre o istitutrice, perchè non le sta accanto? Una ragazza seduta in mezzo a due giovanotti, che le fanno la corte... Come sono cambiati i costumi e gli usi del mondo! A' miei tempi...

Ma a questo punto, mentre l'onorevole Parvis, occupato da così gravi pensieri, si serve distrattamente dell'arrosto e dell'insalata, è richiamato d'improvviso alle piccole realtà della vita e dell'Abetone da una gravissima disobbedienza commessa da Teo.

... Com'è stufo il povero Teo di passeggiare su e giù dinanzi alla locanda, legato e tenuto al guinzaglio dal vecchio Prospero! Ogni tanto dà una grande strappata e tenta di mordere il laccio. Peggio ancora quando passa vicino al portone dell'albergo: si ferma, puntando le quattro zampe, s'allunga prodigiosamente. Ma non c'è verso! — Prospero continua passo passo, trascinandoselo dietro inesorabile e muto come il destino.

Teo si arrabbia, brontola riottoso, ma intanto medita il colpo, e sta attento.

Un po' innanzi, passato l'albergo, la valle si apre spaziosa e libera, tutta verde di abeti; e in fondo alta, nuda, rocciosa la vetta del monte Cimone prende, in quell'ora del crepuscolo estivo e dopo l'ultima doratura infocata del sole, una tinta arancia, poi violacea, poi quasi rosea, in sullo sfondo, limpido e terso, del cielo azzurrino.

La giornata non era stata mai tanto bella, nè il tramonto tanto maraviglioso. Prospero contempla a bocca aperta, e Teo, che lo vede in estasi, non perde l'occasione: una terribile strappata e via come una saetta! Infila la porta dell'albergo, infila l'uscio della sala da pranzo e sempre a tutta carriera e sempre tirandosi dietro il guinzaglio passa sotto le tavole, fra le gambe della gente, fra le sottane delle signore, fiutando, annusando, frugando di qua e di là, in cerca del padrone di cui sente l'odore, ma non trova ancora la traccia.

Il monotono sussiego della table d'hôte è rotto come per incanto: due vecchie inglesi — detestate alla lor volta dai villeggianti, per l'odio che portano alla sigaretta — si alzano spaventate e inorridite, sbattendo i tovaglioli per difendersi. Teo, credendo l'atto uno scherzo e un incitamento, corre loro addosso saltando e abbaiando. Tutti ridono e molti gridano per far del chiasso.

— Teo! Qui! Teo!...

— Piccolo caaro! — esclama l'amica, colla sua voce più languida e più tenera e con un accento di ammirazione e di protezione.

Caaro! Caaro! Piccolo caaro!

— Teo! Teo! — L'onorevole è furioso. Quel piccolo caaro gli rimescola il sangue più dell'ira ridicola delle due vecchie inglesi.

— Teo! Qui! Subito!

Teo comprende al tono che non è il momento di scherzare. Prima si rimpiatta sotto la tavola, poi esce fuori quatto quatto, tutto basso, tutto lungo, tutto storto, la coda fra le gambe e sbirciando il padrone.

Gerardo afferra il guinzaglio e di colpo, sollevandolo mezzo da terra, lancia il povero Teo fra le gambe di Prospero che aspettava timoroso sull'uscio e che a sua volta acchiappa il cane e scompare.

— Povero piiccolo... Che cattiveria!

L'onorevole sente appena queste parole volare nell'aria, sente il lamento, il rimprovero che gli è diretto e torna a sedere al suo tavolino con una faccia così seria e torva, come se non si trovasse dinanzi ai quarti di un pollo arrosto, ma di fronte ad una schiera di ostruzionisti!

Passata la collera, gli resta in corpo la stizza. Va presto su, nella sua stanza per dormire. Lo ha preso la stanchezza delle due notti passate in ferrovia e più ancora dell'aria diversa della montagna. Ma prima di coricarsi, dà una lavata di testa sonora, al povero Prospero, che lascia passare la burrasca senza fiatare e questa volta senza metter muso, perchè riconosce il proprio torto.

— Dov'è quella bestiaccia maledetta?

— Lì.

Prospero indica una poltrona in fondo alla camera sulla quale c'è una coperta e sulla coperta Teo, raggomitolato, ma che è stato attento, senza parere, a tutta la grande sfuriata.

— Se lo fai un'altra volta! Se vieni in sala un'altra volta, stai fresco! — E Gerardo, che ormai s'è sfogato, alza ancora la mano, ma nell'atto, più che una minaccia, c'è adesso un invito... Teo non si muove: gli occhi bassi, socchiusi, guardano da un'altra parte; invece di Prospero è lui, questa volta, che tiene il muso al padrone.

— Bravo Teo! Hai più fierezza e più carattere di molti miei colleghi!

Gerardo, ridendo, si avvicina al povero Teo per accarezzarlo e far la pace, ma a un tratto si ferma sospeso e sorpreso...

Dalla sala terrena della Succursale di faccia — la sala dell'albergo riservata al ballo, alla musica e alla conversazione — dopo i primi accordi incerti del pianoforte, si è levata e sale nell'aria una bella voce di soprano, limpida e squillante, un canto largo e pieno che riempie tutta la strada e tutta la valle.

È una romanza del Massenet che ripete ad ogni ritornello in tutti i toni, con tutte le cadenze, e con l'estasi più appassionata le parole: Je t'adoore!...

— È la signorina! — borbotta Prospero vedendo il padrone come incantato.

— Quale signorina?

— Quella del Teo!

Non c'era dubbio: i due oo del t'adoore, avevano la stessa intonazione dei due aa del «piccolo caaro!»

— È una signorina di famiglia molto nobile; ma vuol darsi al teatro lo stesso, perchè non ha più nè padre, nè madre e ha pochi soldi.

— Come lo sai?... Chi te l'ha detto?

— La signora Clotilde.

— E chi è questa signora Clotilde?

— La cameriera della signorina. Siamo vicini di tavola. — La signorina è una marchesa. Marchesa D'Albaro di Genova.

Gerardo fissa il servitore stupito.

... Oh bella! Quella mutria taciturna del signor Prospero che all'Abetone diventa loquace e pettegolo!

Casta diva

Подняться наверх