Читать книгу Casta diva - Gerolamo 1854-1910 Rovetta - Страница 6

IV.

Оглавление

Indice

L'onorevole Parvis non dormì bene quella prima notte; anzi, non dormì affatto. Era troppo stanco e troppo agitato. E poi non era ancora abituato all'aria, al clima, alla montagna alta.

Non potendo dormire, era rimasto tutta notte in preda al «Je t'adoore!», anche dopo che la marchesina D'Albaro, ricevuta una duplice salva di applausi, si era ritirata con la sua istitutrice ed era andata a dormire.

Il Parvis aveva sentito i complimenti che le erano stati fatti giù in strada, i saluti e il ricambio della buona notte.

— Al teatro!... Sarebbe andata a finir male!

L'onorevole Parvis, che in vita sua era stato assai poco a teatro e che non era forse mai salito sopra un palcoscenico, aveva tutti i pregiudizi comuni a chi vede da lontano le quinte e i camerini.

— Sola e libera? Sul teatro!

Gerardo era contrariato e indispettito. L'onda di simpatia era svanita. Egli, ad un tratto, provava quasi del risentimento contro la marchesina. E lì, nel buio, dalla Gilda alla Tosca, tutte le eroine delle poche opere che ricordava, gli passavano innanzi nella loro posa più provocante... ma tutte col viso, colla bocca e con gli occhi della giovane e bella amica di Teo.

— Farà certo fortuna con quella sua bellezza! E anche con quell'espressione che sa dare al caaro e al «Je t'adoore!».

— Auf!... Non si può dormire all'Abetone!...

Era venuto per godere il fresco e invece soffriva un caldo, un'afa, che gli mettevano la smania addosso!

— Che letto incomodo!... E quanta gente antipatica, odiosa!

Ma a lui che cosa importava della gente? Era venuto all'Abetone per passeggiare e per riposare con la testa e con lo spirito. Avrebbe fatto una vita assolutamente solitaria. Poi aveva tante cose da leggere e tante lettere e tanti articoli da scrivere!

— Non voglio conoscere nessuno e non voglio parlare con nessuno. Lunghe escursioni, faticare tanto da poter dormire e poi a tavolino!... E se qui non mi sentirò sicuro, cambierò locanda... e se occorre, anche paese!

La mattina dopo, si alza prestissimo, gira nel bosco per un paio d'ore e poi, evitando la gente, ritorna all'albergo e sale in camera sua, dove trova Teo che gli fa quattro salti e una corsa in giro, ma che torna subito ad accucciolarsi, avvolgendosi in sè stesso sulla poltrona.

— Ha sonno! È stanco, povero piccolo!...

Gerardo non s'è accorto di chiamarlo piccolo, «povero piccolo» come l'ha chiamato la signorina del cappellone.

— Povero piccolo!... Tu dormi ed io mi metto a lavorare.

Infatti, siede al tavolino e comincia il suo primo articolo al Daily Express.

Ma quando si dorme male, non si può poi scrivere bene. È impossibile! — L'onorevole Parvis quella mattina non è di lena.

... E il pianoforte della Succursale che non tace mai!

— È un'ira di Dio!... È proprio la terra dei suoni e dei canti, l'Abetone!

Ma non sono gli accordi della sera innanzi! Non sono gli accordi della romanza di Massenet; non è il Je t'adoore!

Il Parvis resta per una buona mezz'ora assorto e pensoso... e la carta che ha dinanzi, per quella mattina, rimane bianca e intatta.

— Andiamo, Teo! Andiamo a fare un'altra passeggiata! L'articolo al Daily Express lo scriveremo dopo colazione.

Si era di piena estate, eppure lassù si respirava un'aria fresca di primavera! Il verde ancora tenue sotto il verde carico e cupo dei vecchi abeti; nei prati le margherite e i vergiss, nelle rive ombrose fra il murmure del rio e lo spionciare delle cingallegre, le violette e le fragole. La primavera! La primavera!

Come consola gli occhi, come accarezza il viso e penetra nel sangue ed anche nel cuore con un infinito e dolce benessere!

— Mi sento più giovane in montagna! — Andiamo Teo! Andiamo a fare una bella passeggiata! Siam qui per riposare e non per lavorare! Ci divertiremo, mangeremo di buon appetito e ci faremo buona compagnia!... Noi soli, sempre soli!... E tu, bravo Teo, sta attento e fa la guardia! Se vedi un seccatore da lontano, abbaia! E se ti viene vicino, ringhia e mordi! Qui non sei costretto a portare la museruola; all'occorrenza approfittane!

Teo, che ha ascoltato il lungo discorso, standosene attento con una gamba davanti ripiegata e sospesa, con la testa inclinata da un lato, alzando, allargando le orecchie, fissando, dilatando le pupille, fa un atto di assenso con un piccolo starnuto e via come il vento, giù dalle scale, guaiolando prima, non di dolore ma di gioia, e poi fuori all'aperto, innalzando lui pure il suo inno alla primavera e alla montagna con festevoli latrati che echeggiano risonanti nel silenzio della valle!

Ma in quanto al non fare conoscenze, il signor Matteo è di tutt'altro avviso e di tutt'altri gusti dell'onorevole Parvis! All'Abetone lui vuol vivere nel bel mondo, giuocare con tutti, divertirsi con tutti! E specialmente con le signore! Quando ne vede una in distanza si acquatta, prima, allungandosi e poi prende la corsa saltandole addosso.

— Teo! Qui, Teo!

Il grande stradone fiancheggiato dagli abeti comincia a popolarsi. Dai boschi spuntano le signore nelle bianche toilettes mattinali, circondate, seguìte dagli eleganti cavalieri. E Teo, ormai reso popolare dalla scena del giorno innanzi con le due vecchie stizzose, riceve da tutti saluti e carezze, che gli sono prodigate anche per ingraziarsi il padrone.

— Teo! Qui!... Teo!

Teo si volta un momento con la testa, sbatte le orecchione ricadenti come foglie di lattuga appassita, e poi di nuovo salti, giravolte, cerimonie, di qua e di là, con tutti quelli che incontra, purchè sia gente ben vestita.

A un certo punto, dove la strada si biforca nel bosco, l'occhio di Gerardo si fa torbido, il viso accigliato:

— Teo! Qui! Teo!

Ha visto sbucare dal verde folto il grande cappellone a trine bianche e a nastri rosa, seguìto dai due soliti giovinotti o giovinetti, vestiti pure di chiaro, il berretto bigio, e con in mano le racchette e la reticella, con le palle del tennis.

— Teo! Qui! Teo!

Ma che!... Teo si è già abbassato, allungato e all'invito di un — piccolo caaro! caaro! caaro! — si precipita incontro alla sua amica del dì innanzi, le salta addosso, riesce a leccarle la faccia, poi, sempre di corsa, torna indietro a far festa al padrone, e poi di nuovo alla signorina, e poi di nuovo, al padrone, come per far capire all'una e all'altro che ormai devono essere amici tutti e tre!

La bella marchesina saluta l'onorevole Parvis con un cenno grazioso e signorile del capo: i due giovanotti o giovanetti si fermano a due passi di distanza, diritti, come due aiutanti di campo, scoprendosi rispettosamente.

Non c'è verso! L'onorevole deve salutare, deve fermarsi, deve parlare...

— È una grande seccatura questa mia bestiola! Si permette troppe confidenze, e si prende troppe libertà!...

— È tanto caaro!

— Il mio servitore... È stata un'idea infelice del mio servitore, quella di tirarselo dietro, fin quassù! Giù! Fermo! Bestiaccia sconveniente!

— Teo, una bestiaccia?! Oh, povero piiccolo!

Teo, con il petto giallo sporgente e le gambette anteriori puntate ad arco, scrolla la testa e starnuta di nuovo con l'atto di dire anche lui di no, che non è una bestiaccia.

— È carino, carino, carino! È un tesooro, lui; è un amoore! Soltanto l'intelligenza che ha dimostrato ieri sera!

— Già, interloquisce uno dei due pallidi cavalieri. Quando voleva mangiare il naso a miss Kean e a mrs Brand!

La marchesina ride, con tutti i suoi bei denti luccicanti e chinandosi e tenendo Teo per le zampe gli scocca due bacioni sulla grossa testa di raso.

Caaro! Caaro! Tesooro!

Gerardo ha un barbaglio agli occhi e sente una scossa in tutto il corpo: il barbaglio di quella bocca, di quei capelli.... Ha la scossa dei due baci sonanti.

Si parla del tempo, del fresco, del buon odore di resina.

— Ritorna all'albergo, marchesina?

— Vicino all'albergo, al tennis. Facciamo due ore di tennis tutti i giorni, prima di colazione. Lei giuoca al tennis?

— Giuocavo!...

L'onorevole Parvis, guardando la marchesina, mette involontariamente un sospiro, un rimpianto in quel verbo giuocare al tempo passato.

La marchesina è molto intelligente, coglie al volo la mesta intonazione.

— Adesso, non giuoca più?... È naturale! A Roma! La Camera! Tante occupazioni! Tanto lavooro! Ma qui vorrà ben riposare un po'! Farà qualche partita con noi? Accetta una sfida?

E si volge, senza aspettare risposta, ai due giovinotti rimasti fermi, impalati e li chiama per presentarli:

— Se permette, Eccellenza....

— Non sono più un'Eccellenza!

— Come devo dire, allora?... Onorevole?... Se permette, onorevole, le presento il conte Annibale e il conte Cesare Mattioli, miei cugini.

L'onorevole Parvis saluta l'uno e l'altro, con una stretta di mano, e tutti insieme ritornano fin al campo del tennis, che è giù, basso, in una conca verde, proprio sotto l'albergo.

L'onorevole cammina al fianco della marchesina D'Albaro, con Teo che gli passa fra le gambe: Cesare e Annibale, che non hanno dei due grandi conquistatori altro che il nome, rimangono dietro, sempre a due passi di distanza.

La marchesina parla e fa ammirare il paesaggio: l'onorevole tace e ammira la marchesina. — Come sa essere amabile e vivace, pur rimanendo sempre... bambina! Non è civetteria, è schiettezza, è naturalezza giovanile la sua!... Ha bandite — si vede — tutte le stupide formalità, tutte le ipocrisie del suo ambiente, ma per altro, ne conserva tutta la grazia signorile. È proprio «marchesina» fino alla punta dei capelli! — Che capelli meravigliosi!... E che occhi! Neri, neri, nerissimi! Da perdervi dentro, l'anima e il corpo!

— Teo, Teo! Finiamola!

Teo diventava troppo insopportabile!... Aveva visto da lontano le due vecchie quacquere, e s'era messo a correre per saltar loro addosso!

— Teo, qui!

Teo si ferma sulle tre gambe: dall'aria birichina, lo si vede, non c'è da fidarsi! La bella fanciulla, ridendo, lo piglia in braccio, accarezzandolo e baciandolo di nuovo, finchè le due vecchie non sono sparite.

— Caro, caro, caaro!

Gerardo ne è ormai più che persuaso: bisogna rinunziare, da quel momento, ad ogni speranza di solitudine, ad ogni proposito di non voler fare conoscenze. La signorina D'Albaro, prima ancora di arrivare al tennis, è circondata da una frotta di villeggianti, che approfittano dell'occasione per essere presentati all'onorevole. Molti, anzi, dichiarano di averlo già visto, già conosciuto altre volte e citano luoghi, date, particolari.

Di qualcuno, il Parvis si ricorda davvero: di un vecchio generale, fra gli altri: il generale Bonferreri, messo da parecchi anni in posizione ausiliaria dalla gotta e dai reumatismi.

Addio solitudine! Addio quiete! Addio pace!

Giunti vicino al tennis, la marchesina ripete l'invito: il Parvis crolla il capo, ringraziandola con un inchino.

— Oggi no? Proprio no?... Ma domani?... Domani sì?... Promette?

— Giuocare al tennis? Io?... Ma io non sono più un giovanotto! Sono vecchio, marchesina!

— Vecchio? Leei!

Quanti e, in quel lei! E tutti, uno più delizioso dell'altro!

— Bella ragazza! — esclama il generale Bonferreri, rimasto solo coll'onorevole. L'onorevole lo guarda: il generale, lungo lungo, secco secco, un po' dondolante sulle gambe malferme, ha i capelli e i grossi baffi d'un bianco d'argento, che dànno risalto al rosso vivo della faccia. Quell'ammirazione per la marchesina è tutta paterna. — Bella ragazza... e buona! Le piace scherzare, divertirsi, ma non c'è nulla da dire sul conto suo!

Il Parvis ha uno slancio di simpatia per il generale e lo piglia sotto braccio... senza appoggiarsi troppo.

— Quando l'avete conosciuta, onorevole?

— Stamattina; un momento fa. È stato Teo a presentarmi.

— La signorina D'Albaro viene all'Abetone tutti gli anni. Conosce tutti! Qui, è come un po' la padroncina di casa.

— Ed è... sola?

— La signora De Paolis, la sua antica governante o istitutrice, adesso è la sua dama di compagnia. Bisogna sentirla cantare! Come canta! È una Patti! Una Stoltz!

— La signora De Paolis?

— No, che! La marchesina Sofia! La faremo cantare! Sentirete!... Una voce! Un talento! Straordinario! Ha intenzione di darsi al teatro e farà bene.

— Farà male. Giovane, bella e sola.

— Non c'è pericolo! È una donnina piena di giudizio! Saprebbe tener testa a un reggimento! Oh, sono molti anni che la conosco. E poi è d'un carattere calmo, freddo, positivo. Sapete come la chiamo io, per farla arrabbiare?... Notte di gelo! E poi, per farla ridere, la casta diva!

Così discorrendo, sono giunti, passo passo, fin sulla soglia dell'albergo. L'onorevole Parvis, salutando il generale, gli stringe la mano con grande e sentita effusione.

— Sono contento, contentissimo di avervi trovato quassù, caro generale! Spero che ci vedremo spesso e ci faremo buona compagnia.

... Che mattina deliziosa! Che aria balsamica!

Il Parvis, messo di buon umore dall'aria e dal cielo, fa le scale cantarellando. Appena in camera, chiude la finestra in faccia alla Succursale, — vi entrava troppo sole, — e apre l'altra di fianco, dalla quale si domina tutta la vallata e si vede, proprio, sotto, il giuoco del tennis.

Egli rimane a lungo alla finestra, ma tenendosi nascosto dietro le persiane.

— Che bel verde! Che bel cielo limpido! E che fragranza, che buon odore di pino!

Teo, visto che il padrone non si occupa di lui, è sparito. È andato in cerca di Prospero e della colazione.

Casta diva

Подняться наверх