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IX

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Il d’Eleda pensava di adoperare Giorgio Della Valle come intermediario ufficioso presso Maria. Giorgio sapeva già ogni cosa; dunque, confidandosi con lui, fosse amico o nemico, non arrischiava molto. Di più Maria per vendicarsi aveva finto con lui di essere innamorata ed egli con quella mossa da scaltro diplomatico rompeva la trama dell’innocente commediola.

– Ma… e se Maria non avesse mentito? – Era questa un’ipotesi sulla quale egli non avrebbe voluto fermarsi nemmeno: un’ipotesi stupida, assurda… che per altro intorbidiva, di tanto in tanto, tutto il sereno del suo ragionare.

– Che! che!… non è possibile; Maria non avrebbe confessato, se fosse proprio stato vero!… – Ad ogni modo, pensò che egli avrebbe capito la verità dal contegno di Giorgio, ed anche per questo lato il passo che stava per fare era molto abile. Intimamente sicuro, tuttavia un certo dubbio istintivo lo inquietava sempre; e quando poi si trovò alla presenza di Giorgio, cominciò a temere di poter scoprire un qualche indizio compromettente.

Oh, allora guai! la sua vendetta sarebbe stata terribile!

Al primo incontro, tanto il duca quanto il Della Valle si sentivano un po’ impacciati: Giorgio non riusciva a capire che cosa ci fosse sotto a quella visita, e Prospero Anatolio, come succede sempre a chi si trova impegnato in una risoluzione stata presa senza punto riflettere, dubitava di essersi spinto troppo oltre e, potendolo fare, sarebbe tornato indietro volentieri.

– Sono qui – disse infine al conte Della Valle – sono qui a trovarti, perchè ho… ho gran bisogno di te.

– Di me? – E Giorgio, notando l’aria stravolta, gli domandò se, per caso, era corsa una sfida.

– Appunto – rispose il duca, sorridendo – ho un duello!… Accetti di essere il mio primo?

– Volentieri, ma il tuo avversario chi è?…

– È mia moglie. – Così dicendo il duca fissò di traverso i suoi occhietti grigiastri nel volto del giovanotto.

– La duchessa Maria?

– Pur troppo. – E Prospero Anatolio, vedendo che l’altro era soltanto maravigliato, cominciò a respirare più liberamente.

– Allora accetto – rispose Giorgio, il quale aveva capito adesso che cosa doveva esserci di nuovo. – Accetto; ma confessandoti che mi riuscirebbe più facile una requisitoria contro di te, che una difesa.

– Ti ringrazio della franchezza.

– Che posso fare?

– Maria mi accusa, e non vuoi saperne di ascoltare giustificazioni.

– Ma come ha scoperto?

– Chi sa? non s’è voluta spiegare.

– Che cosa ti ha detto?

– Ha cominciato e ha finito, dichiarandomi soltanto che oggi o domani al più tardi vuol ritirarsi a Santo Fiore.

– Bisognerebbe cercare di persuaderla che si è ingannata o che è stata ingannata. La cosa per altro mi sembra difficile.

– Per ciò appunto sono qui a seccarti. Tu dovresti dire a Maria che io non sono… che lei non è… quantunque alcune apparenze abbiano forse potuto far supporre che fra me e quella signora… insomma, mi capisci?…

– Già, già; ho capito.

– E poi…

– E poi? Che cosa?

– Tu dovresti farle notare che il suo disegno è sconveniente sotto ogni rispetto. Per un dubbio soltanto, ella non ha diritto di allontanarmi dalla mia famiglia.

– È vero. La duchessa non può sapere fin dove arriva la tua… cioè la sua… – Giorgio adesso si trovava impacciato, anche lui, a spiegarsi chiaro.

– In secondo luogo – ripigliò il duca – con un tale procedere ella darebbe aiuto ai pettegolezzi e ne potrebbe venire uno scandalo.

– Tenterò di convincerla, e davvero sarebbe il minor male per tutti; ma non avresti qualche altra persona più influente di me?

– No; perchè lo zio, il conte di Santo Fiore, capirai, non mi conviene di metterlo a parte… di adoperarlo in codesto affare. -

– Certo non sarebbe opportuno; tenterò io.

Il conte Della Valle era buono: Prospero Anatolio aveva bisogno di lui, e ciò bastava perchè questi ottenesse l’indulgenza del giovanotto.

– Quando credi che io vada dalla duchessa?

– Anche subito, non c’è tempo da perdere.

Si concluse che il d’Eleda si sarebbe fermato là ad aspettar le novelle.

Come quell’altro aveva fatto prima, adesso anche Giorgio, durante la corsa, studiava tranquillamente il suo piano, non immaginandosi certo di quante commozioni doveva essere feconda, per la povera donna che gli voleva bene, quella visita così inaspettata.

Appena Lorenzo annunziò il conte Della Valle a Maria, ella si fe’ pallida in volto e tutto il sangue le corse al cuore. Pensò di non riceverlo, ma poi riflettendo che in tal caso egli sarebbe tornato, disse a Lorenzo di farlo entrare.

Uscito il servo, sedette per meglio nascondere il tremito convulso da cui era presa; le bastò un minuto per padroneggiarsi, per ricomporsi, e quando Giorgio fu innanzi a lei, la sua voce era tranquilla, la sua mano era ferma. Il giovanotto trovò Maria mutata, – diversa dal solito – la trovò più sostenuta, e, quando egli disse la causa di quella sua visita, fu costretto a notare in lei un vivo malcontento.

– Se io vi parlo di ciò, lo faccio perchè ne fui pregato da Prospero e perchè sentirei di essere per lo meno sconoscente se mi tenessi estraneo a quanto succede nella vostra famiglia. – Giorgio, a mano a mano, sempre più accalorandosi, fece la sua brava difesa, tentando tutti gli argomenti. Parlava col cuore ed era eloquente, perchè in lui la sicurezza di fare un’opera buona suppliva il difetto di convinzione. Maria non parea persuasa, e neanche commossa; ma dentro di lei() c’era un cozzo di affetti, una battaglia angosciosa, indescrivibile. Giorgio le inondava il cuore di una gioia suprema, rivelandosi come lo aveva sognato, onesto, nobile, generoso; ma, nel confronto ch’era costretta a dedurne fra lui e suo marito, confronto che terminava coll’essere troppo favorevole al cugino, la coscienza, giudice severissimo, le faceva scontare quella gioia, rimproverandola, quasi fosse una colpa.

Perchè mai lo aveva fatto Iddio così buono, così diverso da tutti gli altri?… Se invece di difendere con tanto calore suo marito, egli lo avesse accusato tentando di volgere in suo pro la collera della moglie tradita: se invece di confortarla al bene, avesse tentato di sedurla al male, allora… oh, allora, infranto l’ideale, il suo cuore avrebbe riavuta la pace.

Senza menomare i meriti del conte Giorgio, non era Domeneddio che lo faceva sublime; era la donna innamorata, che lo pensava tale in cuor suo. Maria non rifletteva nè punto nè poco, che tutto quel nobile disinteresse nasceva anche dall’indifferenza medesima di Giorgio per lei.

Intanto, mentre la duchessa d’Eleda imparava a sue proprie spese quanto la passione fosse potente, sarebbe stata più proclive di certo all’indulgenza verso il marito s’egli non l’avesse offesa di nuovo andando a scegliere appunto il conte per suo intercessore. Essa gli aveva pur confessato di amarlo e di volerlo fuggire; perchè dunque lo adoperava in quel modo?… Era una derisione o una sfida?

– Scusate, conte – disse interrompendolo a un tratto – scusate, ma non c’intendiamo, mi sembra. Voi, come mio marito poco fa, alludete a cose estranee del tutto, che non influirono punto sulla risoluzione che ho dovuto prendere.

– Nulla di meno…

– Vi prego, dite a Prospero che vi faccia conoscere, s’egli crede di poterlo fare, la cagione, la vera cagione per cui gli ho detto che volevo ritirarmi a Santo Fiore; altrimenti, credetelo, nemmeno noi due non potremo intenderci.

– Riporterò al duca le vostre parole; ma vi assicuro, credevo di godere più influenza presso il vostro cuore. – E un po’ indispettito e mortificato, Giorgio era lì per uscire, quando sulla porta, voltatosi per salutarla, vide gli occhi di Maria pieni di lacrime. Prestamente le ritornò vicino e prendendole tutte e due le mani, con leggera violenza, gliele strinse, baciandole:

– Vi supplico… siate buona… non vi ostinate nel mentire con me; non mi volete forse più bene?… – Lei?… Non volergli più bene?… Poveretta, se lo avesse potuto, si sarebbe attaccata stretta al suo collo, coprendo di baci quegli occhi che sapevano guardarla con tanta soavità.

– Voi, sempre buona – insisteva Giorgio Della Valle – vorreste essere oggi implacabile?

– Vi ho già detto, conte, ciò che dovete ripetere a mio marito.

La duchessa d’Eleda si era fatta di ghiaccio: la commozione, le lacrime erano cessate ad un tratto; ma non mai, come allora, aveva capita la necessità di fuggire.

– Chi spiega le donne? – pensava Giorgio Della Valle, ritornandosene a casa. – Ieri pareva una sorella per me, ed oggi non mi può soffrire. Se veramente fosse stata un’amica, non avrebbe fatti tanti misteri, nè avrebbe mantenuto tutto quel sussiego. Per dire la verità, ella pareva molto offesa, ma poco addolorata. Ci sarebbe dubbio che avesse anche lei più orgoglio che cuore?

– Dunque… fiasco?… – domandò Prospero Anatolio, quando lo vide entrare con una faccia che non lasciava sperare nulla di buono. Prospero, adesso, sapeva fingere con Giorgio abbastanza bene; ma era rimasto là ad aspettarlo con mille sospetti e mille inquietudini nel cuore. Egli vedeva a mano a mano farsi sempre più grave la propria imprudenza e il rischio sempre maggiore. Cominciava a dubitare della lealtà dell’amico, della fedeltà di sua moglie, e si sentiva meno sicuro: ci fu un momento nel quale aveva pensato d’interrompere quel colloquio troppo pericoloso e forse lo avrebbe anche fatto se Giorgio avesse tardato ancor a ritornare.

– Fiasco… irreparabile.

– Come ti ha ricevuto?

– Mi ha ricevuto trattandomi in un certo modo, con una sostenutezza quasi diffidente, che accresceva la scabrosità dell’argomento.

– Almeno le hai potuto parlare?

– Cioè, ho cominciato; ma lei non mi ha lasciato finire, concludendo in poche parole, che non potevamo intenderci se tu prima non mi dicevi il vero motivo per cui essa vuol partire, e vuol partire subito; e che del resto… non ha nulla da perdonarti!

– Ah! Ah! Va bene; va bene. – E suo malgrado, Prospero Anatolio arrossì fino al bianco degli occhi.

– Dimmi la verità, c’è sotto forse qualche altra cosa che non mi hai raccontato?

– Che!… scuse, pretesti, e niente altro! – Ti ringrazio, intanto, dal profondo del cuore – continuò il duca – per la seccatura che ti sei presa; Sei buon testimonio che io volevo usare la persuasione, l’amorevolezza; ma, vedendo, che con ciò non si riesce, cambierò metodo. A conti fatti, il padrone sono io.

– Non dimenticare peraltro che tu, con tua moglie… sarai sempre dalla parte del torto.

– Chi lo dice?

– Tutti.

– Chi mi ha veduto?

– Nessuno.

– Dunque, calunnie.

Ma nonostante tutte le proteste, le minacce, la collera di Prospero Anatolio, la duchessa Maria, rimasta inflessibile, partì il giorno dopo per Santo Fiore, sola con Lalla e con miss Dill; ed egli, benchè contro genio, questa volta dovette pur riprendere la vita di scapolo.

– No, quella donna non mi ha mai amato, come non ama quell’altro, come non amerà mai nessuno, nemmeno un Santo che volesse dannarsi per lei! Non ha sangue nelle vene, non ha che orgoglio – pensava il duca d’Eleda la prima notte che si trovò solo nell’ampio letto matrimoniale, mentre non era capace di pigliar sonno. Inquieto, perduto in quell’imbroglio di trine e coperte, fu preso da un senso di malinconia; in quel silenzio uggioso la cabaletta di un Ernani ubriaco gli riusciva gradita dapprima, come voce amica che lo confortasse nel suo isolamento, e poi finiva, indispettito, col diventare invidioso di quella volgare e spensierata allegrezza. Allora, rannicchiandosi, si tirava le coltri fin sopra la faccia e là, solo solo sentiva di aver freddo. Ma, così raggomitolato nel talamo deserto, mentre il suo corpo a poco a poco si riscaldava, si riscaldava anche la sua fantasia e volgeva a più miti pensieri verso la moglie; egli stesso era pur costretto a riconoscerlo: in quella donna si era rivelato un carattere singolare. – Quanto orgoglio, quanta dignità, quanta fermezza! – Come tutti lo avrebbero invidiato se una tal donna lo avesse potuto amare… una donna così rara e così piacente!… In quegli ultimi giorni, Il dolore, che ella voleva nascondere, l’aveva fatta ancor più pallida e ancora più bella. I suoi occhi profondi erano circondati da una tinta azzurra, cupa, che tradiva veglie angosciose e lacrime invano celate… Rosse le labbra, i bei capelli in disordine e… e il povero marito che la vedeva, in tutto quello scompiglio della vaga persona, disegnarsi viva nel suo pensiero, sentiva i nervi che martellavano, tormentato da tentazioni affannose.

E dire che quella donna era stata sua, là, in quel medesimo letto, accanto a lui; ma allora insensibile a tanta bellezza, sedotto da allettamenti volgari, egli aveva trascurata tutta quella dovizia di voluttà, di passione, ed oggi, oggi che ne capiva il valore, oggi l’aveva perduta per sempre. Per sempre?!… A questa idea credette di soffocare. Gittò con ansia le coperte dal letto e, puntellandosi coi gomiti, si alzò quasi a sedere: guardò intorno, balbettò senza volerlo il nome di lei, e poi con un movimento repentino del capo, fissò trasognato il letto vicino. Ma lì, dove altra volta egli vedeva le coltri fremer di vita, disegnandosi in leggiadre curve, ora quelle, disanimate, tese con una regolarità desolante, annunciavano il vuoto. La nicchia non aveva più la sua statua.

Gli pareva ancora di vederla: com’era cara in quel disordine, del quale egli pure aveva la sua parte di colpa! Egli che si svegliava sempre colla prima luce del mattino, si godeva a spiare la vaga dormente… I capelli biondi, disciolti coprivano quasi tutto il guanciale, disegnandosi in capricciosi errori attorno al collo e sulle spalle seminude. La bocca umida, le guance fatte rosee da una mite traspirazione… Ricordava ancora quel seno turgido e candidissimo che si rialzava ad ogni respiro. Vinto dalla seduzione di quelle memorie, Prospero Anatolio chiuse gli occhi e, piegandosi dove lo trascinava l’immaginazione sua riscaldata, fece l’atto col quale gli piaceva meglio di risvegliare la giovine sposa: Egli con un soffio leggerissimo usava smuovere prima i capelli dalla fronte di lei, poi i riccioli ribelli che le si torcevano sulla nuca moltiplicandosi: accarezzava col fiato quella bocca socchiusa, fresca, ridente, quel seno pulsante di giovinezza; e, in preda sempre alla irritante visione, egli la vide ancora una volta scuotersi con un fremito, aprire gli occhi, guardarlo trasognata; la vide arrossire, sorridere, gettare un grido di bambina, e poi, vergognosa, stringerlo colle bellissime braccia, nascondergli la testa sul petto, coprendogli il volto con una grossa onda di capelli. Ma tutto ciò gli appariva come in un sogno. Maria era sparita… sparita per sempre.

In preda a tanta follia di desideri, Anatolio si rivoltò smaniando nel letto e finì, senza volerlo, col buttarsi là, rannicchiandosi, dove avrebbe voluto la donna; la donna non c’era più, ma le coltri, le lenzuola, tutta insomma quella parte del letto esalava ancora il profumo della sua carne… un profumo caldo, acuto, inebbriante, che lo aveva involto, con fascini occulti, in quella frenesia convulsa e voluttuosa. Ansando, febbricitante, strinse allora, contro il petto villoso, il guanciale di sua moglie; lo baciò, lo morse e: – Mio Dio – balbettò – co… come so… sono infelice!

Mater dolorosa

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