Читать книгу La sorella - Giambattista della Porta - Страница 4
ATTO I
SCENA III
ОглавлениеErotico, Attilio, Trinca.
Attilio. Ecco, l’abbiam pur trovato al fine.
Erotico. (Non ci è piú fede al mondo, non si trova piú uomo di cui possa fidarsi. Al tempo d’oggi la fede è ritrovata per ingannar la fede. Ma io vo’ tradir e ingannar ciascuno, poiché ciascuno cerca tradir e ingannar me).
Attilio. Parla da sé solo.
Trinca. Come quello che sta ne’ travagli dove tu sei.
Erotico. (Vo’ andarmene in qualche isola diserta, per non esser ingannato da uomo piú. Sulpizia farsi d’altri, eh?).
Trinca. Forse che parla d’altro?
Attilio. Come amor entra in un cuore, ne scaccia ogni altro pensiero, perché vuol regnar solo.
Erotico. (Ma Idio non mi dia cosa che desio, se non ne farò vendetta tale, qual merita il mio dolore e la rabbiosa gelosia).
Trinca. Salutatelo.
Attilio. Signor Erotico, buon giorno.
Erotico. (Mi dá il buon giorno chi desia darmi il malanno. Ma sará ben che gli parli; ché, se non posso impetrar da lui che la lasci, impetrare almeno che la lasci per qualche giorno). Idio vi salvi, signor Attilio.
Attilio. Come state?
Erotico. Tal che non posso trovar modo per dolermi del mio dolore.
Attilio. Di che vi dolete?
Erotico. Che non si trova piú fede né amicizia, perché un che mi credea fidel amico, sotto color d’amicizia m’ha tradito e assassinato.
Attilio. Costui sará il piú tristo uomo del mondo.
Erotico. Tal lo stimo io.
Attilio. Ditemi, di grazia, chi sia il traditor di fede e assassino d’amici, che prometto farne la vendetta per voi.
Erotico. È vostro grande amico.
Attilio. Tanto piú dovete manifestarlomi, accioché possa guardarmi da lui.
Erotico. Fareste ben a farlo, perché è ragionevole e debito vostro.
Attilio. Come si chiama?
Erotico. Attilio. E voi sète quello che mi tradite e assassinate, e mi fate il peggior officio che possa farsi; e avete un gran torto.
Attilio. Avete voi torto maggiore aver una tal stima di me – e io vi compatisco, perché sète fuor di voi stesso – perch’io son lealissimo con gli amici.
Erotico. Ma vi prego per quella cara amicizia, che un tempo fu sí perfetta e incorrotta fra noi, che mi siate cortese di quello ch’è mio, per rigor di giustizia e per debito di amore…
Attilio. Io non intendo il vostro parlare: o ch’io sia troppo goffo o che voi non esprimete bene il vostro concetto.
Erotico.... che non prendiate Sulpizia per consorte.
Attilio. Deh, caro Erotico, chi ve lo dice?
Erotico. Tutta la cittá. Ma sappiate che Sulpizia è mio dono irrevocabile, perché ci abbiamo data la fede di essere sposi, e i nostri amori non son stati sterili: però non sarete per possederla legitimamente mai per moglie, né senza gelosia.
Attilio. Io prender la vostra Sulpizia per moglie?
Erotico. E sappiate che, se ben l’uomo per sé non val nulla, la disperazione lo fa valoroso. Almeno trattenetevi per qualche tempo, accioché non vedano gli occhi miei cosí nemico spettacolo e io abbia tempo a partirmi per andar disperso per il mondo: cosí viverete senza mio sospetto.
Attilio. Voi potete promettervi di me come di voi stesso, perché stimo voi come un altro me stesso; e vi do potestá che ve la godiate e procacciate per moglie, ch’io vi rinunzio ogni interesse che pretendesse in lei, e ve la rifiuto.
Erotico. Ella non è cosa di rifiuto, però non voglio crederlo.
Attilio. Se non volete credere il vero, crederete il falso.
Erotico. E che credete ch’io creda?
Attilio. Ogni altra cosa, fuor che la veritá.
Erotico. Piacesse a Dio che cosí fusse!
Attilio. A Dio piace che cosí sia.
Erotico. Dubito che non lo diciate, ché, confidandomi nelle parole vostre, mi attraversiate e la conseguiate con piú agevolezza.
Attilio. Io stimo che i nostri travagli abbino gran somiglianza e corrispondenza fra loro; ma accioché io non mi doglia di voi di quello che voi vi dolete di me, vi narrerò il tutto, e vederete che, se voi avete ragione, io non ho il torto.
Trinca. Signor Erotico, se voi non tacete, e voi, padrone, non scoprite il fatto, consumaremo il giorno; e noi abbiamo carestia di tempo.
Erotico. Io taccio e ascolto, e per ascoltar meglio comprarei un altro paio di orecchie.
Attilio. Sappiate che, trovandosi Pardo mio padre a’ serviggi della regina Bona in Polonia, ché la serviva di scalco, per stanziarvi piú aggiatamente mandò a chiamar Costanza sua moglie e Cleria sua figlia, allora bambina, da Nola, perché condusse me seco, ch’era un poco grandetto. Accadde che, essendosi imbarcate in Bari per andar a trovarlo, per una fiera tempesta non s’ebbe piú nuova di loro; talché in avisi e in lettere a diversi amici, in diverse parti, s’andar consumando il tempo e le speranze, e fra tanto si tenne suspeso il dolore. Poi venne aviso come la barca era sommersa: e sommerse mio padre in un mar di lacrime e in una amarissima memoria di lor duro caso. Appresso s’ebbe nuova che, da alcune fuste di turchi rapite, erano state condotte in Constantinopoli. Duo anni sono, ebbe nuova di Costanza sua moglie, ch’era schiava di un bassá, che, per esser decrepita, l’avrebbe venduta a buona derata; e che Cleria serviva un sangiacco fuor di Costantinopoli. Pardo mio padre mi sforzò a far questo viaggio, e mi diede trecento scudi per lo riscatto e altri per lo viaggio, con lettere di favore a quei clarissimi in Vineggia, ché di lá m’imbarcassi per Constantinopoli. Giunsi a Vineggia, in casa di un napolitano, chiamato Pandolfo, dove sogliono alloggiare tutti i passaggieri napolitani. Venne l’ora della cena, e ci sedemmo a tavola; e una giovane, chiamata Sofia, ci serviva. Ella, nel volgermi gli occhi sopra, mi lanciò una fiamma nel core, che non cessò mai serpir per tutto, fin che non fece ben l’officio suo. Io, sentendomi le vene diseccate dal fuoco, chiedea da bere, e per rinfrescarmi e per godermi di quella divinissima vista piú da presso. Ma facea contrario effetto, perché amor avea mischiato veleno e fuoco in quel vino che mi avvelenava e uccideva in un tempo. Cosí, tra vivo e morto, non sapeva che mangiava o beveva o aveva; ma parea un di quei che si sognano mangiare: ché la mia cena fu la sua bellezza. Si levò la mensa, e tutto inebriato di amore, me ne andai a dormire, con speranza di riposare, pensandomi che l’infirmitá dell’animo fossero come quelle del corpo, che col sonno s’acchetassero. Ma il sonno fu peggio che la cena: perché l’infirmitá dell’animo nel giorno s’addormentano per la conversazione degli amici, ma nella quiete della notte si destano le pene e gli amorosi pensieri. Pur, verso l’alba, un leggier sogno m’occupò le luci: neanche quel sogno mi lasciava riposare, perché mi rappresentava le parole e gli atti di Sofia. Parlava seco de’ miei tormenti, l’abbracciava e baciava; e, pensando abbracciar lei, abbracciava me stesso e le lenzuola, e finalmente tutte fur larve e imagini del desiderato bene. Vien Trinca la mattina a sollecitarmi che m’alzi per partire, e m’interrompe cosí gran piacere.
Erotico. V’alzaste, vi poneste in viaggio per riscattar la madre e la sorella.
Attilio. Che madre? che sorella? che viaggio? Tutte queste cose in tanto odio mi caddero, che maggior dispiacere non potea sentire, se col pensiero caduto vi fussi. Cosí, fingendomi indisposto, ci componemmo con Pandolfo di riposarmi per alcun giorno in casa sua, non mancando mai con soffrenza e umiltá batter l’inespugnabil rocca del suo pudico core. Quando mi passava da presso, la toccava un poco; e tanto m’eran piú care quelle rapite dolcezze, con quanti piú piacevoli sdegni e con piú modestia mi eran contese. E veramente la modestia è quella che dá spirito e ravviva la bellezza. Al fin mi rese certo che non meno ella mi amava, ch’era amata da me; come era donzella e gentil donna, che desiderarla per altro modo che per moglie, era un perder tempo. E veramente le sue azioni e maniere erano tanto oneste e d’incorrotta pudicizia, che mi toglievano ogni ardir di usarle violenza; e i suoi costumi mostravano lo splendor de’ suoi natali e, anco schiava, mostrava la dignitá del suo merito. Cosí mi trovai servo della serva e schiavo della schiava. Al fin pagai ducento ducati, che per tanti Pandolfo l’avea riscattata; e feci libera chi ligato mi avea. Ma non tanto la feci libera del corpo, quanto ella mi rimase serva con l’animo. La sposai e fui possessor della sua bellezza....
Trinca. Deh, rassumete il fatto in breve somma, che, se volete raccontargli ogni cosa appuntino, consumaremo il giorno.
Attilio.... Cosí consigliato da Trinca, scrissi a mio padre da Vineggia, come fossi in Constantinopoli, che Costanza sua moglie era morta, e che avea riscattato Cleria per ducento ducati, e con lei me ne veniva a Nola – e portai Sofia mia innamorata sotto nome di Cleria mia sorella. – dove fin ora con grandissima consolazione vissuti siamo. Or considera, Erotico caro, che voglia abbia io di aver la tua Sulpizia per moglie, che non cambiarei la mia Sofia per quante reine ha il mondo.
Erotico. Non ascoltai mai narrazion di comedia con piú piacere, perché mi toglie da un mar di travagli. Or ditemi, come potremo aiutarci l’un l’altro?
Attilio. Ho fatto la parte mia in comedia, il resto tocca a Trinca.
Trinca. Ho caro che il signor Erotico ascolti la mia invenzione, accioché non m’ingannassi il giudizio. Ascoltate, e non mi replicate insin al fin del mio ragionamento. Pardo vuol maritar Cleria col capitano, perché non gli dá dote; e Gulone parasito tratta le nozze. Proporremo voi a Pardo con la medesima condizione; e come che voi sète di maggior merito, stimo che l’otterremo. Poi diremo che Attilio vuol prender Sulpizia, perché il vecchio lo desia molto, e vuol che si sposino per la sera che viene. Diremo che volete abitare insieme, come amici di molti anni, o nella vostra o nella sua casa: il giorno, Sulpizia sará moglie di Attilio, e Cleria di Erotico dalla cintura in su; la notte, Sulpizia di Erotico, e Cleria di Attilio dalla cintura in giú; e bisogna scambiar le mogli fin che vive il vecchio, il qual non potrá viver molto.
Erotico. Se sposerò Cleria, come potrò goder la mia Sulpizia? e se Attilio sposerá Sulpizia, come potrá goder la sua Cleria?
Trinca. Con la vostra impacienza interrompete me e turbate voi stesso: se mi ascoltavate, come v’ho detto da prima, intendevate il modo. Troveremo un amico, lo vestiremo da prete e diremo che sia il parocchiano; e sposeravvi. Come poi il vecchio sará morto, vi sposarete con i legitimi modi.
Erotico. Ah, ah, ah, come si può trovar il piú bel caso, e da ridere?
Attilio. E da rider, sempre che ce ne ricordaremo. Giá il cuor, ch’era sepolto nella disperazione, comincia a ravvivarsi nella speranza.
Erotico. Ed il mio respira, ch’era giá morto nell’angoscia; e giá spero posseder la mia Sulpizia.
Attilio. Ed io la mia Cleria.
Trinca. Ed io la forca o la galera, se si scuopre.
Attilio. Speriamo che amore e la fortuna ci favoriranno.
Erotico. L’invenzione è tanto bella, che porta seco i rimedi di tutti gli infortuni che ci potessero intervenire.
Attilio. Speriamo bene, che il mal non manca mai.
Erotico. La forza d’amore è incredibile, quando egli guida gli avvenimenti: però speriamo in lui, che, come ha vinto tutti i dèi, cosí vincerá la fortuna.
Attilio. Amore innamorò tutte le cose, non mai la fortuna.
Erotico. Non ci avviliamo ne’ contrari avvenimenti.
Trinca. Non piú consigli: è fatta la rissoluzione, comincisi l’essecuzione. Abbiam bisogno di prestezza, perché il tempo ne stringe; e quanto ci ha nociuto la passata tardanza, tanto ci giovi la presente prestezza: il mondo è goduto da solleciti.
Attilio. Eccoci all’ubbidirti.
Trinca. Voi, Attilio, perché i vecchi sono ostinati, e i loro cervelli si muovono al moto della luna, umiliatevi a vostro padre. Gli ostinati si vincono piú tosto con l’umiltá che con l’arroganza; e mostrate desiderar Sulpizia, ché, sí come l’avarizia s’inganna con la liberalitá, cosí col mostrarsi volontoroso s’inganna chi vi crede. E voi, Erotico, parlandovi il vecchio di voler Cleria, mostrategli desiderarla.
Erotico. Sará pensiero mio particolare: fingerò ben la parte mia.
Trinca. Né bisogna mostrar tanto affetto, che paia affettato.
Attilio. Che faremo del parasito che, s’almen non ci impedisce, ci differisce?
Erotico. Che del capitano?
Trinca. Lasciate fare a me, che fra il parasito e il capitano, e ambidue col padrone ci porrò tanta zizania, che scompigliarò e porrò sossopra quanto s’è fatto.
Erotico. Trinca, non potendoti or render premio condegno, ricevi almeno la mia confessione: che ricevo da te la vita e l’onore e quanto bene ho al mondo, e spero col tempo fartelo conoscere.
Attilio. Trinca, questo serviggio ti porterá tanto utile, quanto serviggio che sia fatto a persona che faccia professione di conoscere i benefici.
Trinca. Fate che i fatti corrispondano alle parole. Partetevi, ché io vo a ritrovare il padrone, per cominciar ad ordir l’inganno.
Erotico. Mi parto: a dio.
Attilio. Tra tanto andrò a casa; ché amor mi ha fatto bussola di naviganti, che, volgendola di qua e di lá quanto si voglia, come si lascia libera, da se stessa si riduce alla sua tramontana: cosí né per travagli che mi turbino, né per affanni che mi molestino, da una amorosa violenza mi sento tirar dove splende la chiara luce della mia stella.