Читать книгу Istoria civile del Regno di Napoli, v. 9 - Giannone Pietro - Страница 8
LIBRO TRENTESIMOSESTO
CAPITOLO I
Di D. Antonio Alvarez di Toledo Duca d'Alba, e del suo infelice e travaglioso governo
ОглавлениеVenne il Duca d'Alba a ristorar il Regno dalle precedenti calamità e miserie; ma per trovar efficaci rimedi a tanti mali, riusciva l'impresa pur troppo dura e malagevole. A fin d'evitare il disordine, che seco portava l'uso delle Zannette, se n'era incorso in un altro maggiore, per la ordinata loro abolizione, non essendovi materia, nè modo per surrogare in lor vece una nuova moneta: cagionossi per ciò un danno gravissimo non meno a' pubblici Banchi, che a' loro Creditori, li quali Banchi si trovavano avere di Zannette la somma di quattro milioni e quattrocentomila ducati. Molti altri particolari Cittadini si trovavano pure quantità grande di Zannette, che furono costretti a venderle a peso d'argento, con ciò impoverironsi molte famiglie, che per tal cagione si ridussero in una estrema mendicità, donde nasceva ancora la penuria di tutte le cose, e l'impedimento del commercio. A riparar questi mali applicò l'animo il Duca d'Alba nel principio del suo Governo, ed avendo formata una Giunta di Ministri e d'altre persone pratiche, commise allo scrutinio di quella di trovare opportuno espediente per restituire nel Regno l'abbondanza ed il commercio. Esaminato l'affare, fu conchiuso d'imporre una nuova gabella per riparare in parte a perdita sì grave, poichè ripararla in tutto era impresa disperata ed impossibile. Ma s'urtava in un altro scoglio, per la difficoltà, che s'incontrava, che non v'era materia sopra dove potesse imporsi. Era il Regno gravato di tante gabelle e dazj, che quasi tutte le cose, delle quali hassi bisogno per conservar la vita, n'erano gravate: pure, consideratosi che solo i vini, che si vendevano a minuto nell'Osterie pagavano il dazio, e gli altri, che entravano nella Città per vendersi a barile, o a botte per uso de' Cittadini, non portavano peso alcuno, fu risoluto d'imporre un ducato di gabella per botte. Così fu imposta questa nuova gabella, la quale affittatasi per la somma di circa ducati novantamila l'anno, fur queste entrate assegnate a' creditori de' Banchi per la terza parte de' loro crediti, de' quali ne riceverono un'altra terza parte in moneta nuova di contanti: e si assegnarono a' Partitarj, in soddisfazione del prezzo degli argenti somministrati per la nuova moneta, le rendite de' forastieri, delle quali era stata dal Cardinal Zapatta predecessore ritenuta un'annata da riscuotersi in quattro anni. A queste ordinazioni s'aggiunse la moderazione fatta a' prezzi de' cambj, alterati ad un segno, che non potevano tollerarsi; onde si cominciò un poco a respirare, ed a restituirsi, nel miglior modo che si potè, in parte il commercio.
Ma nuovi accidenti tennero ne' seguenti anni non meno travagliato il Regno, che il Duca. Nel 1624 per un'infausta e scarsa raccolta di viveri, si vide la città in una grande angustia. Al flagello della carestia si accoppiò il timore della peste, che dipopolava la vicina Sicilia; ma rese al Duca più travaglioso il suo governo la guerra, che per lo Marchesato di Zuccarello s'accese tra il Duca di Savoja e la Repubblica di Genova, dalla quale, nel progresso di quella, per la fama del suo valore, reso celebre nelle guerre di Fiandra ed altrove, fu preso al suo servizio il nostro Maestro di Campo D. Roberto Dattilo Marchese di S. Caterina, figliuolo del Sargente Maggiore D. Alfonso, e confidatogli il comando della soldatesca pagata. Vi si aggiunse ancora l'altra guerra della Valtellina, per l'una e l'altra delle quali, per comando del Re, bisognava assistere di gente e di danaro. Mancava per sostenerle massimamente il danaro: le passate sciagure, in un governo senza economia, e con tutto ciò sempre profuso, posto in mano di Favoriti, che non come pastori legittimi, ma mercenarj, non curando le stragi e le calamità de' Popoli, aveano impoverito non meno i vassalli, che il Sovrano, e l'Erario Regale non era meno esausto che le borse de' sudditi; ma con tutto ciò il Conte Duca premeva il Vicerè, che dal Regno si spedissero milizie, e si soccorresse di danaro. Bisognò per provvedere all'estrema penuria di raccorlo con modi soavi, e che meno incomodassero i sudditi: fu per ciò ritenuta in due volte la terza parte dell'entrate d'un anno, che i creditori della Corte tenevano assegnate sopra le gabelle e fiscali, dato loro l'equivalente sopra il nuovo dazio del cinque per cento, aggiunto alle Dogane del Regno. Dall'entrate de' forestieri si tolsero venticinque per cento, e fu ordinata l'esazione di due carlini a fuoco.
Per raccor gente fu conceduto il perdono a tutti i delinquenti, contumaci e banditi, che andassero ad arrolarsi sotto l'insegne. Raccolte le soldatesche, fecene il Duca mostra sul piano del Ponte della Maddalena: oltre le milizie Spagnuole, ed i Reggimenti italiani de' Maestri di Campo Carlo di Sangro, ed Annibale Macedonio, si videro in buon'ordinanza schierati i Battaglioni delle province di Principato citra e Basilicata, sotto il comando del Sargente Maggiore Marco di Ponte: quello del Contado di Molise e Capitanata, sotto il comando del Sargente Maggiore D. Pietro de Solis Castelbianco: l'altro di Principato ultra, era condotto dal Sargente Maggiore D. Antonio Caraffa Cavaliere di S. Giovanni: quello di Terra di Lavoro, era guidato dal Sargente Maggiore Vespasiano Suardo; e quel di Terra di Bari dal Sargente Maggiore Giantommaso Blanco.
Oltre a ciò furono raccolti seimila altri uomini dalle Comunità del Regno, tassate a dar questo numero a proporzione de' fuochi; e questi furono parimente spediti sotto il comando de' Maestri di Campo D. Antonio del Tufo, e D. Roberto Dattilo, quello stesso, che poi fu richiesto al servizio de' Genovesi, come di sopra s'è narrato; ed il Principe di Satriano D. Ettore Ravaschiero guidò pure sotto la sua scorta altre squadre.
A queste spedizioni fatte dal Duca d'Alba s'aggiunse l'aver egli proccurato un donativo dalla città di centocinquantamila ducati per supplire alle spese di queste guerre, per le quali non tralasciarono di somministrare altri ajuti molti Titolati e Cavalieri napoletani. E fu duopo al Duca d'accorrere a' bisogni non solo delle guerre d'Italia, ma insino a Fiandra mandar dal Regno gente e denaro.
Nè pur di ciò sazio il Conte Duca, poichè le guerre d'Italia tuttavia continuavano, e n'andavano sempre mai pullulando altre nuove, avea mandato ordine a tutti i Governatori degli Stati, che il Re possedeva di qua dell'Alpi, che per accorrere in ogni bisogno che mai potesse nascere, era mestieri mantener sempre pronti, anche in tempo di pace, ventimila fanti e cinquemila cavalli, e che perciò trovassero espedienti per sostentarli. Ma, avendo il Vicerè proposto l'affare nel Consiglio di Stato, fu risoluto, che si rappresentasse al Re, che questo sarebbe stato un peso insoffribile al Regno cotanto aggravato; e che l'aggiungerne altri nuovi particolarmente in tempo di pace, sarebbe stata un'oppresione, che avrebbe distrutti i mezzi di poterlo poi servire in tempo di guerra, e nelli più urgenti bisogni.
Non tralasciarono ancora a questi tempi i Turchi di travagliar le nostre marine, li quali profittandosi dell'occasion dell'assenza delle squadre marittime dal Regno, comparvero ne' nostri mari, e sotto il Monte Circello alcune Galee di Biserta presero sei Navi, che andavano a caricar grani per l'Annona della città; poscia assalirono la Terra di Sperlonga presso Gaeta, il Castel dell'Abate e la Torre della Licosa. Altri quattordici vascelli Turchi infestarono le marine del Capo d'Otranto; e se il Marchese di S. Croce non fosse qui giunto coll'armata di Spagna, che gli pose in fuga, d'altri più gravi danni sarebbero stati cagione.
Pure i tremuoti vi vollero avere la lor parte. Nel mese di marzo del 1626 fecesi sentire in Napoli, ed in molte parti del Regno, un così orribile tremuoto, che empì la Città d'orrore e di spavento. Nel seguente mese d'aprile scosse più fieramente la Calabria, con gran danno della città di Catanzaro, di Girifalco e d'altre Terre. Ma nel nuovo anno 1627 si fece con maggior violenza sentire in Puglia, dove abbattè molte Terre, e fece strage grandissima degli abitatori, a' quali non bastando i sepolcri, fu duopo incendiar i cadaveri, perchè l'aria non si contaminasse.
Cotanto travaglioso e così pieno di fastidiose cure fu il Governo del Duca d'Alba; ma con tutto ciò non si sgomentò egli mai, nè mancò col suo valore e costanza andar incontro a' Fati. Egli ancora in mezzo a tanti travagli, non mancò dimostrare l'animo suo magnanimo e generoso in tutte le occasioni, che in Napoli durante il suo Governo gli s'offersero così nelle pubbliche allegrezze per la natività d'una figliuola, che in questo tempo nacque al Re, e delle funzioni celebrate nel Palagio Regale per li Tosoni dati a' Principi della Roccella, d'Avellino, e di Bisignano, come nella venuta, che, per l'occasione del Giubileo generale dell'anno 1625, fece in Napoli il Principe Ladislao, figliuolo di Sigismondo III Re di Polonia, e degli altri Signori ed Ambasciadori del Re, che si portavano in Roma. Ma sopra tutto rilusse la sua magnificenza, che seguendo i vestigj de' suoi predecessori, volle abbellir la Città o con nuovi edificj, o con ristorare, ed ingrandir gli antichi. Egli rifece quella Torre della lanterna al Molo, e la ridusse in quella altezza, che oggi si vede: costrusse un Baloardo nella punta del Molo con quattro Torrioni, per difesa del Porto; ed aprì quella magnifica Porta, che dal suo ancor ritiene il nome di Port'Alba, per comodità di coloro ch'andavano a' Tribunali. Costrusse il Ponte sopra il fiume Sele nel territorio della città di Campagna, un altro nella città d'Otranto; e sopra il Garigliano per comodità de' viandanti ne fece innalzar un altro. Per li timori conceputi della peste, che travagliava la vicina Sicilia, fece egli trasportare l'Espurgatojo dal luogo, ove allora si trovava presso Posilipo, in quello dove sia oggi vicino a Nisita. Fece ancora condurre l'acqua di S. Agata e d'Airola in Napoli per servigio de' Cittadini e delle fonti della città, e spezialmente del fonte vicino al Regio Palazzio da lui abbellito.
Nè mancò render la città vie più vaga e dilettevole con aprir nuove fonti, come fece nella strada di S. Lucia, d'allargar le strade, come fece in quella di Mergellina, affinchè coloro, che ricevono incomodo dal Mare, potessero andarvi comodamente per terra, ed egli fece abbellire di pitture il Regal Palazzio del famoso pennello di Belisario. Ma sopra tutto, di che il Regno gli deve, fu d'aver comandato al Reggente Carlo Tappia di perfezionare lo Stato dell'entrate e de' pesi di tutte le Comunità del Regno, e limitare le quantità che doveansi spendere in ciascun anno per servigio del pubblico: ciò, che tolse in gran parte agli amministratori di quelle la comodità di profittarsi del pubblico peculio. Parimente molto gli si deve per aver nel 1626 comandato a Bartolommeo Chioccarello quella Raccolta di tutte le scritture attinenti alla Regal Giurisdizione, ch'egli fece in 18 volumi, e che poi nell'anno 1631, per ordine del Re Filippo IV, consegnò al Visitator Alarcone, per doverli portare in Ispagna, dove furono conservati nel supremo Consiglio d'Italia.
Ma mentre il Duca d'Alba con universal soddisfazione ed applauso amministrava il Regno, avendo finiti appena sei anni del suo Governo, gli pervenne l'avviso, che il Duca d'Alcalà gli era stato dalla Corte destinato per successore: di che molto contristossene, e con tutto che non potesse sfuggir la partita, proccurò nondimeno con vari modi differirla: tanto che l'Alcalà partito dalla Corte e giunto a Barcellona, aspettando la comodità delle Galee per imbarcarsi, e queste mai non giungendo, fu costretto, dopo aversi per suo sostentamento in sì lunga dimora impegnati gli argenti, che seco portava per suo servigio, d'imbarcarsi sopra le Galee di Malta, che inaspettatamente lo condussero a vista di Napoli.
Giunse l'Alcalà a' 26 del mese di luglio dell'anno 1629, e smontato alla riviera di Posilipo, fu alloggiato dal Principe di Cariati nel Palagio di Trajetto, dove colla Duchessa sua moglie, col Marchese di Tariffa suo primogenito e con tutta la sua famiglia, fu magnificamente trattato. Il Duca d'Alba era allora travagliato in letto da fieri dolori nefritici, ed il nuovo Vicerè fu a visitarlo; ma con tutto che stasse infermo, non tralasciava l'applicazione a' negozj; ed alzatosi poi da letto, e restituita la visita all'Alcalà, si portò agli 8 d'agosto in S. Lorenzo a terminare il Parlamento già cominciato, il quale per l'infermità sopraggiunta a D. Giovan-Vincenzo Milano creato Sindico della Piazza di Nido, era rimaso sospeso. In questi ultimi giorni del suo governo ottenne egli un donativo d'un milione e ducentomila ducati dal Baronaggio ed Università del Regno, rimettendo alle medesime tutto ciò che doveano al Re di pagamenti fiscali già maturati; ed oltre a ciò ottenne un dono per se medesimo di settantacinquemila ducati. Proseguiva ancora il suo governo, ed a far molte grazie, ed a provveder diverse cariche Militari e di Toga; ed intanto l'Alcalà si tratteneva in divozioni, ed in esercitar opere di pietà in Posilipo. Finalmente partì il Duca d'Alba a' 16 agosto, lasciando di se a' Napoletani un grandissimo desiderio per la sua giustizia, bontà e prudenza civile, siccome lo dimostrano ancora le sue leggi, che ci lasciò, tutte savie e prudenti per le belle ordinazioni che contengono, le quali possono vedersi nella Cronologia prefissa al primo tomo delle nostre Prammatiche.