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Paradiso e inferno

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La toccai, senza parlare, per due o tre giorni. Mi permise di esplorare il suo corpo, quel corpo che avevo tanto sognato, desiderato. Non mi sembrava vero: ero quasi infantile nella ricerca affannosa delle sue carni. M’infilavo sotto gli slip, sotto i seni umidi di sudore, la toccavo in tutte le posizioni; mi alzavo in piedi e mi mettevo alle sue spalle, per toccarla dall'alto oppure mi prostravo per terra, per infilarmi da sotto il tavolo nel profumo misterioso della sua intimità. Quando proprio non ce la faceva più, dopo ore di carezze libidinose, mi tirava la testa con le mani e mi affogava nella sua fregna. I peli trasudavano liquidi che io leccavo e suggevo, fino all'ultima gocciolina. Lei sussultava sulla sedia, o sul letto, quando veniva. Voleva che leccassi in fretta in quei momenti, e si mordeva le labbra mugolando per non gridare.

Poi venne la fine di quella settimana pazzesca, e c’era suo marito, di sopra. Poi il lunedì lei andò al controllo e il martedì nemmeno stette in casa. Impazzivo di desiderio: contavo le ore, i minuti. Non mi toccavo, resistevo. Speravo che Elena mi facesse fare ancora qualcosa, speravo che un giorno mi avrebbe chiesto di mostrarle il mio cazzo. Svevo i brividi solo a pensare alle sue carezze. Ma avevo troppa paura che non fosse durissimo, o che lei lo avrebbe trovato troppo piccolo, infantile.

Il giovedì, finalmente, mi chiamò. Si comportava come se non fosse mai successo niente ed io mi sentivo morire, non sapendo cosa fare per rompere il ghiaccio.

Mi chiese di leggerle un articolo di un giornale che non avevo mai visto, si chiamava abc. Prima non ci feci caso, per quanto ero impacciato, poi mi accorsi che c’erano storie eccitanti e foto di donne nude.

“Ti piace?” chiese con un sorriso malizioso. Poi la sua mano chiara s’infilò nei miei pantaloni e, piano, mi cercò il pene. Sentii che lo stomaco veniva come strizzato, e tremavo. Elena mi fece qualcosa che non scordai più. Era seduta sul bordo di un piccolo divano; con delicatezza mi fece girare, invitandomi, con la sola pressione delle mani, ad abbassarmi verso il tavolo del soggiorno. Non capivo cosa stesse per succedere ed ero incapace di reagire: mi chinai fino a poggiare i gomiti sul tavolo da pranzo.

Lei, da dietro, mi sbottonò la cinta e mi calò i pantaloni fino alle ginocchia, ma non tolse le mie mutande bianche; ricordo che arrossii mentre pregavo fossero pulite. Un ragazzo non ci pensa troppo a queste cose ma in quel momento mi vergognai fino al midollo. Mi aprì le gambe, stavolta agiva solo da dietro; dal bordo laterale delle mutande fece trasbordare i miei genitali, compreso lo scroto, con le palle che sentivo quasi bollire.

A questo punto le sue dita, prima delicate come una piuma, divennero forti ed energiche, come quelle delle infermiere: con fermezza piegò il pisello, che non era mai stato tanto duro e svettante, tutto giù, come se volesse spezzarmelo. Temetti di provare dolore, invece fu solo una sensazione strana, talmente piacevole che avevo paura di fumare dalle orecchie, tanto ero bollente. Con gesti decisi, quasi meccanici, Elena cominciò a mungermi l’arnese verso il basso. Andava su e giù, con un ritmo che mi annientava, sembrava un movimento automatico, inesorabile.

“Ti piace?” La voce era roca ma umana, perché per il resto sembrava che una macchina del piacere stesse riservando un trattamento incredibile al mio pistoncino.

Non riuscii a dire niente, non risposi. Dopo poco iniziai a traballare sulle gambe, mentre reagivano da sole, provai l’orgasmo più bello e più lungo della mia vita. Infinito, stupendo, mentre la mia aguzzina sembrava non accorgersi del latticello che, copioso, imbrattava il pavimento a ogni munta.

“Caccia, caccia tutto quello che hai, piccolo mio” disse con tenerezza. “Godi? Ti piace?”

Peccati Erotici Delle Italiane 2

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