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Von, Pianeta Everis

Non vedevo l’ora di tornare a letto. Per dormire, sognare. Per sognare lei. Era vicina, così vicina che mi sentivo costantemente eccitato. Dopo essere tornato dallo spazio e aver combattuto contro lo Sciame, non avevo desiderato altro che la pace, la tranquillità del vento che smuove gli alberi e dell'acqua che si riversa sulle rocce. Volevo la tranquillità e la solitudine.

Ma non le avevo ottenute. La grande casa data come ricompensa al mio battaglione dopo che eravamo tornati a casa dalla terra era abbastanza grande da accoglierci tutti. Il nostro compito era di governare la regione, risolvere le controversie e decidere le punizione per chi infrangeva la legge. Adesso eravamo dei Cacciatori, i protettori dei deboli. Dovevamo mantenere la pace e consegnare alla giustizia tutti i criminali abbastanza folli da infrangere la legge di Everis.

Da quando ci avevano assegnati a Feris 5, non avevamo avuto un attimo di tregua. In tutto eravamo cinquanta guerrieri, con un piccolo esercito di servitori e sottoposti pronti ad eseguire tutti i nostri ordini. Ma la Pietra Miliare, la fortezza dove venivano inviate le compagne da reclamare, si trovava al centro del mio territorio, e ogni paio di settimane, quando arrivava un nuovo gruppo di potenziali compagne, portavo almeno venti uomini con me per mantenere la pace.

Le compagne marchiate erano preziose, e tutte le spose che arrivavano alla Pietra Miliare erano pronte per essere reclamate. Da sole. Protette solo dal protocollo e dall’onore degli uomini che competevano per conquistarle.

Ma il mio letto era vuoto. Erano anni che era così, ma da quando ero ritornato su Everis e mi ero sottoposto al testi, ogni notte il vuoto dentro di me si faceva sempre più grande. Ero abituato a stare da solo. Ero bravissimo nel farlo. Non mi aveva mai dato fastidio - fino alla scorsa notte, quando avevo fatto il primo sogno.

Quando avevo sognato lei. La mia compagna. La mia compagna marchiata.

Era arrivata qui da un altro pianeta, non poteva essere altrimenti. Ieri, quando il mio marchio si è risvegliato. Ha cominciato a formicolare, si è scaldato. Era una delle compagne marchiate provenienti da un altro pianeta. Non c’erano altre spiegazioni.

Siccome il mio marchio non si trova sul palmo della mia mano, pensavo di essere difettoso, che non ci fosse nessuna compagna per me. Nessuna. Ma ora si era scaldato, così come avevo sentito da ogni altro Everian che era entrato in contatto con la propria compagna marchiata. Sì, si trova in un posto strano, ma funzionava!

La mia compagna ora era qui. I miei sogni ne erano la prova. Non sapevo il suo nome, ma la sua mente aveva toccato la mia. L’avrei trovata. L’avrei sedotta. Non avrei avuto nessuna pietà. Dèi, erano anni che speravo di trovare una compagna. Combattere contro lo Sciame era una cosa brutale, e solo l’idea che un giorno forse avrei potuto trovare la mia compagna era riuscita a farmi andare avanti. Le probabilità di trovare la propria compagna marchiata erano meno di una su cento. La maggior parte di noi si accontentavano di una sposa qualunque, di una donna con cui si trovavano bene. Non tutti i maschi Everian avevano il privilegio di sentire il loro marchio che avvampava. Ma io mi ero aggrappato a questa speranza. Avevo sfruttato questa magra possibilità per restare in vita, così da avere la possibilità di trovarla. Di farla mia.

E ora l’opportunità era qui. Lei era qui su Everis. Qui alla Pietra Miliare.

Avrei avuto solo trenta giorni per convincerla ad accettare la mia reclamazione. Lei era la mia compagna marchiata, ma niente le impediva di scegliere un altro uomo come suo compagno. Niente mi garantiva che avrebbe scelto me.

Solo la mia bocca sulla sua fica che la faceva gridare, il mio cazzo che la riempiva. Avrei dovuto prendere il suo corpo in tutti e tre i modi per reclamarla. L’avrei fatta fremere di piacere, si sarebbe immersa nel mio odore, nel mio tocco, fino a quando non avrebbe smesso di pensare agli altri uomini. Fino a quando non avrebbe desiderato che me.

Il cazzo mi si fece duro e mi mossi sulla panca su cui ero seduto. Di fianco a me c’era Bryn, un altro Cacciatore.

Normalmente, Bryn non se ne stava mai zitto, stava sempre a parlare, a tormentarci. Ma ora, mentre era seduto di fianco a me, se ne stava stranamente in silenzio e finiva di consumare il proprio pasto a base di verdure e carne. Da quanto eravamo tornati a casa, pasteggiavamo ogni giorno con del breet del nord e uccelli arrostiti provenienti dalla nostra terra natia. Le unità S-Gen sulle corazzate della Coalizione offrivano diverse migliaia di cibi tra cui scegliere ma, con così tanti pianeti membri, era irragionevole aspettarsi di trovare qualunque cibo da qualunque pianeta. Gli ingegneri incaricati di programmare le unità S-Gen analizzavano i benefici nutrizionali dei pasti più comuni su ogni pianeta e si assicuravano che ogni singolo guerriero potesse nutrirsi a dovere e restare in salute. C’erano concesse una o due delicatezze ogni tanto. Ma ora eravamo a casa, e i miei uomini si erano dato un bel da fare cercando di riportare i semplici piaceri dei nostri pasti.

“Quando partiamo per la Pietra Miliare?” mi chiese Bryn ruotando il bicchiere pieno di birra.

“Col primo volo.” Non ci aspettavano prima del tardo pomeriggio, quando sarebbero cominciate le presentazioni ufficiali, ma io non potevo più aspettare. Lei era lì. La mia compagna. Non potevo rischiare, non potevo fare tardi. A causa di impegni di lavoro, dovevamo passare la notte qui. Non che io avessi intenzione di sprecare l’oscurità, non ora che la mia mente aveva trovato la sua. Non vedevo l’ora di ritornare nelle mie stanze. Non vedevo l’ora di sognarla di nuovo.

Bryn annuì e portò gli avanzi del suo pasto nell’unità per il riciclo nel muro. Senza dire una parola, uscì dalla sala mensa e scomparve.

La conversazione era terminata. Il suo strano umore mi fece accigliare.

Non che mi preoccupasse. Io avevo un sonnifero ad aspettarmi nella mia camera da letto, così da poter addormentarmi subito. Stanotte, nei miei sogni, sarei andato a caccia. Di lei. Avrei scoperto come si chiamava. Forse sarei riuscito persino a vederla in faccia.

I Cacciatori e gli altri residenti della fortezza continuarono a fare avanti e indietro, conversando, mangiando, ridendo, vivendo.

Mi ero dimenticato di come si faceva. Di come si viveva. Avevo passato troppo tempo a combattere contro lo Sciame, a vedere il caos e la distruzione. Speravo che la mia compagna potesse tirarmi fuori dall’oscurità che circondava il mio cuore. Quattro anni di battaglie. Non sembravano molti, ma mi ci voleva del tempo per riadattarmi al ritmo rilassato della vita da civile. Sarei mai stato di nuovo in grado di sentire un urlo senza temere il peggio? Di sentire un ramo spezzarsi senza aspettarmi di dover affrontare il nemico? Senza che il ronzio dei ventilatori mi tormentasse facendomi ricordare il sistema di ventilazione della corazzata?

“Cacciatore Von, signore. Ho nuovi rapporti per lei. Dobbiamo dare indicazioni ai Cacciatori prima di partire per la Pietra Miliare.” A parlare era un Cacciatore junior. Era seduto dall’altra parte del tavolo. Annuii per fargli capire che lo avevo sentito. Il mio sonno avrebbe dovuto aspettare. La mia compagna avrebbe dovuto aspettare. Ma era l’ultima volta che anteponevo il lavoro alla mia compagna.

Domani, lei sarebbe diventata mia.

“Dammi un momento.”

Il ragazzo girò i tacchi e si allontanò per dirigersi verso la stanza di comando. Lì avremmo sbrigato gli ultimi impegni, avrei assegnato un compito a ogni uomo. Alcuni si sarebbero occupati di prestare aiuto a chi ne aveva bisogno, altri avrebbero investigato eventuali crimini.

Le guardie della fortezza erano i Cacciatori dell’élite. Era un lavoro importante, affidato solamente a pochi uomini Everian. Eravamo i Cacciatori più forti, più veloci e più abili. La maggior parte di noi erano soldati addestrati che avevano combattuto per la Flotta della Coalizione e, dopo essere stati congedati, erano stati assegnati alle fortezze sparse per tutto il pianeta. Il nostro compito era di vitale importanza per mantenere la pace e la stabilità su Everis. Assumere quest’incarico era stato un privilegio per me, un privilegio che mi ero guadagnato dopo anni passati a combattere contro lo sciame. Non lo prendevo a cuor leggero. Il mio ruolo era di fondamentale importanza.

Lo sapevo. Ma, per la prima volta, che il mio popolo avesse bisogno di me non bastava più.

Che sia dannato il mio debole cuore per desiderare dell'altro. Ma era così. Volevo quello che avevo visto, udito, odorato, sentito nel mio sogno.

Non vedevo l’ora di ritornare nei miei alloggi. Andai al centro di comando e assegnai velocemente un compito a ciascuno dei miei uomini. Un forte gruppo di guerrieri sarebbe rimasto qui a proteggere la fortezza, ma i Cacciatori più forti e fedeli di tutti sarebbero partiti come l’indomani.

Stanotte... Avrei sognato.

Sbrigato il mio dovere, andai nei miei alloggi privati e tirai fuori il sonnifero dal cassetto. Lo assunsi e mi distesi. Volevo vederla di nuovo. Volevo toccarla. Anche se era solo un sogno. Domani - sarebbe stato reale.


Von, Mondo dei sogni

I suoi lunghi capelli neri erano sparsi sulle lenzuola bianche che ricoprivano il letto, offrendo un netto contrasto sotto la luce pallida della luna. La brezza faceva ondeggiare le bianchissime tende che ornavano la finestra aperta. La camera da letto era ampia, con un divano e un tavolo e due sedie dove si poteva riposare, leggere o scopare. D’improvviso, mi venne voglia di piegarla a novanta su quel tavolo e di scoparla fino a farla implorare. E allora l’avrei posizionata sul bordo del tavolo in modo tale che la dura superficie di legno colpisse la sua clitoride ogni volta che la penetravo con il mio cazzo. Il tavolo avrebbe oscillato mentre la prendevo, mentre la facevo urlare di piacere. Ma tutto ciò doveva aspettare.

L’avrei presa rispettando il sacro ordine delle tre verginità. Una alla volta. Avrei visto la sorpresa risvegliare il suo corpo, la sua mente. Avrei reclamato ognuno dei suoi buchi come mio. Prima, sarebbe toccata alla sua bocca. L’avrebbe spalancata per prendermi fino in gola, per ingoiare il mio seme. Poi sarebbe toccato al suo culo. Un buchetto stretto, e sarebbe stata una sensazione dolcissima vederla che si sottometteva a me mentre la prendevo in un modo così intimo, e il nostro legame sarebbe riuscito ancora più rafforzato dalle sue grida di piacere. Infine, mi sarei preso la sua fica, l'avrei sentita contrarsi e pulsare attorno al mio cazzo. Avrei visto i suoi occhi appannarsi in preda all’eccitazione, avrei sentito i suoi umori sul mio cazzo. E allora l’avrei riempita, avrei riempito la sua pancia con il mio seme, l'avrei reclamata in modo ufficiale - e permanente - come mia.

Sì.

Il grande letto rivestito di bianco. Le luci soffuse che mi permettevano di studiare il bellissimo volto della mia compagna mentre dormiva. Era distesa su un fianco, le braccia piegate e le mani accoccolate sotto al mento, in una posa tanto innocente quanto stuzzicante - le sue braccia stringevano i suoi ampi seni gonfiandoli e spingendoli all’insù. Conoscevo questa stanza. Era una delle suite assegnate alle nuove spose appena arrivate al centro della Pietra Miliare. Mi sentii sollevato.

Qui sarebbe stata al sicuro, protetta, fino a domani, quando l’avrei trovato. Sempre se non sceglieva un altro.

La sfida mi fece indurire il cazzo. Volevo unirmi a lei nel letto, passare le dita nella massa abbagliante dei suoi capelli neri, bloccarle le mani e baciarla e introdurla al piacere. Era mia. Nessun altro poteva toccarla. Non se volevano vivere. Dovevo solo convincerla che io ero il suo compagno marchiato, che ero il suo destino. Che ero perfetto per lei.

Mi avvicinai al bordo del letto e mi distesi di fianco a lei. La sua pelle emanava il profumo fresco dei fiori di primavera e del miele caldo. Ma questo era solo un sogno. Era la mia mente a riempire le mancanze, a convincermi che l’avevo toccata, stretta, assaporata - ma era tutta una bugia, un trucchetto della mia immaginazione.

Qualunque cosa fisica sarebbe stata un’illusione.

Ma le sue parole sarebbero state vere. E così anche le mie.

Disteso su un fianco, allungai la mano e le passai il pollice sul labbro inferiore. Ah, era così morbido. Non vedevo l’ora di avere quella bocca innocente avvolta attorno al mio cazzo.

Passai le dita sopra le sue curve, dalla spalla al fianco. Le poggiai la mano sul fianco e diedi una leggera strizzata per farle sapere che ero lì. Questa bellissima femmina era mia. La mia unica compagna in tutto l’universo. Le nostre menti si erano toccate così come solo quelle dei compagni marchiati potevano fare. Volevo esplorarla. Cosa la faceva sorridere? Cosa la faceva arrabbiare? Volevo conoscere il sapore del dolce miele che sgorgava dalla sua fica, il sapore della sua pelle. Quali suoni avrebbe emesso mentre la scopavo? Dove le piaceva essere toccata?

Aprì gli occhi, e il suo sussulto fu dolcissimo. Il suo battito accelerò.

“Sei tornato.” Il suo sussurro sexy mi fece pulsare il cazzo. La mia mente cominciò a muoversi per conto suo, accarezzandole la spalla, i fianchi, la schiena. Ancora e ancora. Mi assicurai di accarezzarle il seno. Sapevo che lì, sotto la vestaglia da notte color crema, si celava il suo marchio. Il tessuto rilucente si avvinghiava attorno alle sue curve. Era bellissimo, ma non vedevo l’ora di strapparglielo di dosso. Avevo bisogno di vederla. Di sentirla Di reclamala.

“Certo che sono tornato Tu sei mia.”

Lei tremò, ma non distolse lo sguardo. “Questo è solo un sogno. Tu non sei reale.”

La guardai negli occhi, abbassai la mano e le strinsi il seno. Strizzai gentilmente il capezzolo turgido. “Sono reale. Eccome.”

La sua compagna vergine

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