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Von

Allungai una mano e la strinsi a me fino a quando i nostri fianchi non si toccarono. Il suo sussulto mi assicurò che aveva sentito quello che volevo che sentisse, che avevo bisogno che sentisse, il mio cazzo duro e pronto a reclamarla. Abbassò lentamente le palpebre, il suo corpo si sciolse e i suoi occhi si fecero tenebrosi per la passione.

Dèi, era perfetta. Così innocente, eppure così sensuale. Me lo aveva detto la notte scorsa, durante il nostro primo incontro, che era vergine, non reclamata. Risvegliare la natura passionevole del suo corpo sarebbe stato un autentico piacere. Non vedevo l’ora di reclamarla in modo tradizionale – prima la bocca, poi il culo e, infine, quando avrebbe accettato la mia reclamazione, la fica, la fica che avrei riempito con il mio sperma. E così mi avrebbe dato un figlio. La volevo piena di seme, volevo che il suo corpo fosse maturo e sensibile. Erano anni che speravo di poter trovare una compagna, di avere un figlio, ma non mi ero mai considerato abbastanza fortunato perché accadesse una cosa del genere. Per così tanti anni, non avevo fatto altro che concentrarmi sul mio dovere, sull’onore, sulla sopravvivenza. Ma ora? Ora vedevo i suoi occhi scuri, i suoi neri capelli scintillanti, e li volevo. Volevo tutto.

“Guardami.” La misi alla prova, avevo bisogno di conoscere la sua vera natura. Avrebbe accolto di buon grado il tono autoritario della mia voce? O mi avrebbe sfidato?

Lei sussultò, si morse il labbro e il suo fianco si mosse contro il mio. Ma i suoi occhi erano aperti, il suo sguardo fisso sul mio. E ciò che vi scorsi mi fece quasi venire. Desiderio. Fiducia. Bisogno.

La mia piccola compagna provava quello che provavo io. Grazie agli dèi.

Sapevo che se avessi potuto infilarle una mano in mezzo alle cosce l’avrei trovata bagnata. Desiderava essere dominata, voleva essere comandata. Sapere che si sarebbe arresa tanto dolcemente mi costrinse a lottare per soffocare un ruggito.

“Dimmi come ti chiami, piccola.”

Lei scosse il capo, negandomi una cosa tanto semplice. Mi sporsi in avanti e la baciai, le morsi le labbra. “Io mi chiamo Von. Dimmi il tuo nome.”

Non era reale. Dèi, sapevo che non era reale, ma ora l’avevo assaggiata, e non riuscivo più a fermarmi. Le baciai il mento, il collo. Poi più in basso. Lei inarcò la schiena, premette i fianchi contro i miei e inclinò la testa da un lato, per accogliermi.

“Von.” Il mio nome sulle sue labbra fu un respiro ansimante. Il mio corpo reagì come se mi avesse preso il cazzo in mano.

La baciai sul collo, leccandola e succhiandola e assaporandola. Le baciai l’orecchio e le chiesi di nuovo: “Come ti chiami?”

Il suo silenzio mi eccitava e mi allettava. Non volevo una compagna scialba, docile. Io volevo una donna che aveva il fuoco dentro di sé, una compagna che avrebbe protetto i miei figli con ferocia. Una che avrebbe tirato fuori gli artigli in caso di bisogno - ma che, allo stesso tempo, si sarebbe sottomessa dolcemente a me quando eravamo a letto.

Mi misi sopra di lei e reclamai la sua bocca. La baciai. La reclamai. Strofinai il cazzo in mezzo alle sue cosce. I nostri vestiti e la sua mente innocente mi impedivano di penetrarla. Strofinai la mia asta dura su di lei, ed era la sua mente a permettere il contatto. Non era completamente sopraffatta, o scioccata.

Le misi la mano sul fianco e afferrai l’orlo della sua veste per infilarle le dita nella fica calda, ma fu allora che incontrai resistenza, una barriera invisibile che non potevo oltrepassare.

Ringhiai dentro di me. Non potevo toccarla. Non ancora. Nel sogno, non poteva accadere nulla che non fosse già successo nella realtà. E nessun altro uomo aveva mai toccato la parte più dolce del suo corpo, nessuno l’aveva mai assaporata, né l’aveva mai sentita gridare di piacere. Quel pensiero mi trasformò quasi in un animale. Gli istinti protettivi del Cacciatore si innalzarono come una marea pronta ad inghiottirmi.

Questa donna era mia. Avevo pensato che dovevo comportarmi con onore, che dovevo lasciarle la possibilità di scegliere. Ma ora, vedendola, assaporandola, toccando la sua mente, capii che avrei smosso i cieli pur di riuscire a tenerla per me. Niente avrebbe potuto impedirmi di sedurla, di guadagnarmi il suo amore.

La sua pelle era più soffice di quella di un neonato. I suoi sospiri erano musica per il mio cuore di guerriero. Non stava lottando con me. Era innocente. La sua mente era incapace di fabbricare cose che non conosceva, una passione menzognera.

La baciai di nuovo, fino a quando il suo corpo non cominciò a tremare per il bisogno, fino a quando il suo respiro si fece frenetico.

“Il tuo nome, compagna?”

“Io non sono la tua compagna.”

“Per il Divino, tu sei mia. La mia compagna marchiata.” Le strinsi le mani e gliele bloccai sopra la testa. Abbassai la bocca sul suo seno destro. Lì, avrei trovato il suo marchio. Lo sapevo per certo. Così come sapevo che io il mio ce lo avevo sulle costole. Era mia. Spinsi il naso contro il suo seno, e poi la bocca, il mento, strofinando la mia barba vecchia di due giorni sulla sua carne sensibile. E poi la baciai e la morsi attraverso la sua veste setosa. “Hai una voglia qui, compagna. Proprio qui.”

Lei sussultò e cominciò a lottare, ma io le tenni le mani bloccate e lei fece presto a sciogliersi, a dimenare la testa a destra e a sinistra sul cuscino.

Baciai il suo marchio. Afferrai la veste con i denti e la tirai via così da poterle baciare il seno nudo. Non appena le mie labbra entrarono in contatto con la sua pelle nuda, lei gemette. Tra di noi si scatenò una tempesta di fuoco e bisogno. Le baciai e le succhiai la voglia che aveva sul seno, il sacro marchio che ci univa. Che la rendeva mia. Ne era la prova. L’avevo vista. L’avevo sentita.

“Sto arrivando per te, compagna.” Aspettami. Non scegliere un altro.”

Le succhiai un capezzolo e lei scalciò. La sua voce si era ridotta a un sussurro. “Treva mi ha detto che ci saranno ottanta maschi tra cui scegliere domani. Ha detto che posso sceglie chi voglio.”

Le passai la lingua sul capezzolo fino a quando non urlò. Sollevai la testa e la baciai di nuovo prima di risponderle. “Sì. È la legge, puoi scegliere chi vuoi. Ma sappiamo entrambi che non lo farai.”

“Perché no?”

“Perché loro non saranno in grado di darti ciò di cui hai bisogno.”

Il suo battito accelerò. Abbassai la testa e le diedi un bacio sulla gola che pulsava.

“E di cosa ho bisogno?”

“Delle mie mani che ti stringono i capelli e della mia lingua che ti scopa la bocca. Della mia lingua sul clitoride, che ti riempie la fica fino a quando non mi avvolgi le gambe attorno alle spalle e mi implori di non fermarmi mai. Fino a quando non reclamo ciò che è mio. Fino a quando tu non reclami me.”

Adesso stava ansimando, ma non avevo ancora finito. Nient’affatto. Mossi i fianchi e le strofinai la mia lunga asta dura contro la clitoride. Lei gemette. Abbassai la testa e le sfiorai l’orecchio con le labbra.

“Hai bisogno di me che ti allargo il culo, che ti prendo con forza mentre riempio la tua fica con le dita, mentre ti faccio venire, ancora e ancora. E poi di nuovo ancora. Hai bisogno del mio cazzo dentro di te, che ti scopa, che ti riempie con il mio seme fino a quando non urli e mi implori di farti venire.”

“Oh, mio Dio.”

Scalciò sotto di me, gli occhi annebbiati dalla lussuria. Per me.

Ma ora era tempo di andare. Volevo continuare, ma non potevo fare nient’altro. Avevo fatto abbastanza, l’avevo fatta eccitare. Era eccitata per me. Mi desiderava. Poteva anche vedere gli altri uomini, ma non avrebbe desiderato che me. Dovevo esserne certo.

“Tu sei mia, compagna. Aspettami. Ti troverò.”


Alexis, pianeta Everis, la Pietra Miliare

“Come sapete, oggi gli uomini e le donne qui alla Pietra Miliare si conosceranno.” La donna, a cui tutti si riferivano come Ufficiante Treva, se ne stava in piedi davanti a noi, le dodici donne che erano state abbinate attraverso il programma spose e che erano state trasportate su Everis.

La donna sembrava un’umana, ma si muoveva con una meravigliosa efficienza che mi rendeva difficile staccarle gli occhi di dosso. Tutti gli Everian che avevo conosciuto sembravano umani, ma c’era qualcosa in loro, qualcosa che non riuscivo a definire e che me li faceva vedere come se fossero... di più. L’officiante Treva sembrava di dieci anni più vecchia di me, Dani e Katie e, a differenza nostra, sprizzava autostima da tutti i pori. Aveva i capelli del colore dell’ebano che le arrivavano alle spalle. I suoi occhi erano color ambra, come il whiskey. Era alta come Katie, poco più di una normale terrestre. La sua uniforme era blu scura, e i gradi che portava sul braccio erano argentati. Non sapevo niente di come funzionassero certo cose qui, ma lei e le altre ufficianti erano di certo di grado elevato. Nessun Everian osava contraddirla, uomini o donne che fossero. Il suo portamento e la sua confidenza non facevano altro che farmi sentire ancora più insicura, come un bambino che prova a giocare con i più grandi. E, a giudicare dai gesti agitati di Katie e Dani, era chiaro che si sentissero allo stesso modo.

Ci trovavamo su un altro pianeta, e stavamo aspettando un gruppo di sconosciuti. Eravamo come dodici innocenti agnellini che stavano per essere giudicati da una stanza piena di lupi. Nessuna di noi era un Everian, e nessuna di noi aveva mai lasciato il proprio pianeta. E nessuna di noi sapeva niente di tutta questa faccenda dell’essere compagne.

L’ufficiante Treva, tuttavia, ci aveva detto che, dopo aver combattuto contro lo Sciame, si era sottoposta ai test e che era stata abbinata. Sembrava felicissima. La sua uniforme le dava un aspetto compito, ma sembrava lo stesso molto rilassata. Se anche lei avesse avuto uno sconosciuto che le appariva in sogno per due notti di fila e le diceva tutte le cose oscene che aveva intenzione di farle, forse allora non sarebbe stata così calma. Se l’ufficiante avesse avuto un compagno, il suo uomo non avrebbe perso tempo a parlarle, avrebbe agito e basta.

Mi sistemai sulla sedia. Von. Così si chiamava. E mi aveva detto delle cose oscene. Per la prima volta in vita mia i vaneggiamenti arrapati di un uomo non erano riusciti ad offendermi. Anzi, volevo sentirne degli altri. No, questa volta volevo fare tutto.

Avevo visto altri soldati Everian - si chiamavano così - intorno a noi, che ci proteggevano e quant’altro, ma erano tutti così seri. Come i Servizi Segreti che proteggono il presidente. Sempre all’erta. Ma noi non correvamo nessun pericolo. La minaccia più grande erano i maschi Everian un po’ troppo eccitati. Forse non ci avevano detto tutto tutto. O, forse, eravamo molto più preziose di quanto non credessi.

Le Spose Interstellari erano davvero desiderate così tanto? Guardai Katie, si stava mordendo il labbro. Eravamo arrivate qui insieme, ci eravamo risvegliate insieme nell’unità medica. Nude, coperte solo da un lenzuolo, mentre i dottori agitavano una strana bacchetta sopra di noi, eseguendo degli strani test per assicurarsi che fossimo arrivate tutte intere. Una volta soddisfatti, ci avevano consegnato delle vesti fluttuanti, ci avevano fatte vestire e ci avevano mostrato le nostre suite. Al momento c’erano quattro suite occupate. Tre spose per appartamento. Katie, Dani e io avevamo chiesto di poter stare insieme. Volevamo tenere fede al nostro patto. Tutto questo era successo due giorni fa.

Da allora, la nostra amicizia non aveva fatto altro che rafforzarsi. Andavamo dappertutto insieme, imparavamo a conoscerci a vicenda, cosa facevamo sulla Terra, ecc. Non potevamo lasciare il palazzo, ma potevamo esplorarlo liberamente. Era un posto enorme, mi ricordava una chalet di montagna con le suite per gli ospiti, le sale riunioni e dei ristoranti a cinque stelle. Era meraviglioso. Eravamo solo noi ragazze – e le guardie che non ci rivolgevano mai la parola. Anche se una di loro, un uomo grosso e bellissimo vestito con un’uniforme blu, non aveva fatto altro che guardarmi. Era ovvio che tutti lo rispettassero, forse era un ufficiale o qualcosa del genere, ma non era l’uomo che volevo.

Non era Von.

Nessuno degli ottanta uomini che erano arrivati questa mattina era Von. Quando anche gli altri uomini si erano palesati, avevamo fatto presto a capire che le uniforme blu erano quelle indossate dagli ufficiali, mentre tutti gli altri indossavano quelle marroni. Sembravano tutti dei militari. Il controllo completo esercitato dagli Ufficianti e il senso di ordine mi aiutarono a calmarmi.

Nelle ultime ore, non avevo fatto altro che guardarmi intorno alla ricerca di quelle uniformi blu, sempre grata di vedere intorno a noi, all’erta. In tutta la mia vita, non mi ero mai sentita così osservata. Katie e Dani erano d’accordo con me, ci sentivamo come carne fresca. La maggior parte degli uomini ci salutavano con un cenno del capo e ricambiavano i nostri sorrisi, se gliene offrivamo uno. Nessuno provava a imporsi su di noi, né provava a parlarci. A quanto pareva, non gli era ancora concesso farlo.

Ma quell’uomo, quello biondo, continuava a fissarmi con insistenza. E fissava solo e soltanto me. All’inizio, mi ero sentita nervosa. Ma ora non sapevo cosa fare. Non stava nascondendo il proprio interesse, non faceva finta di essere indifferente. No, non faceva finta nemmeno di essere cortese. Mi fissava come se potesse spogliarmi con gli occhi. Come se sapesse qualcosa che io ignoravo.

E non mi faceva sentire come mi aveva fatto sentire Von nel mio sogno. Quest’uomo mi faceva venire i brividi, mi faceva tremare le mani. E non in senso buono. Era potente. Grosso. Forte. E mi stava guardando come fossi la sua preda.

La sua compagna vergine

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